Non ho mai conosciuto il mio prozio. La prima volta che l’ho visto è stata attraverso una cartolina del 1942. Era in piedi, vestito in divisa militare. In braccio teneva una bambina: non ho mai saputo se era sua figlia. Altre poche e sporadiche notizie sono arrivate a me attraverso mio padre e mio zio, il nonno anche lui, non l’ho mai conosciuto. L’unica certezza che avevo, confermata dai parenti, era che il prozio Giuseppe fosse disperso in Russia e di lui non si trovò il corpo per dargli degna sepoltura.L’altro ricordo del prozio che porto con me è quello della foto nella lapide commemorativa dentro la cappella di famiglia, nel cimitero di Fasano Sotto a Gardone Riviera. Ogni volta che vado a far visita ai parenti defunti, salendo i tre gradini della cappella trovo il prozio di fronte a me, sulla parete in fondo. E ogni volta mi coglie un sentimento di tristezza per quello che
la fotografia rappresenta, una generazione distrutta dalla guerra, partita per luoghi lontani e mai ritornata a casa. Una cosa così distante dalla pace dei giorni nostri.
Questo il racconto di una generazione, lasciata a terra, sotto il peso della neve, che non ha trovato la strada del ritorno.Partiva dal lago di Garda, il prozio Giuseppe,con quello che aveva in tasca. Verso dove non ci è dato sapere. Dove si riposerà in pace per l’eternità però lo sappiamo. Probabilmente anche lui si era illuso come i tanti al grido divittoria, ma sicuramente aveva scoperto di essere l’aggressore di una terra straniera, l’intruso, abbandonato a sé stesso con i suoi compagni, abbandonato da chi lì, lo aveva inviato. Non aveva fatto ritorno dentro i suoi confini, dopo la disfatta della campagna di Russia, nelle terre del gelo, alpino di pianura. Era dura combattere una battaglia a maninude e con una manciata di farina in tasca, ed altrettanto duro era stato il tentativo di rientrare, con scarpe di cartone.Dopo il 25 Aprile, il paese aveva festeggiato per mesi, dicevano “La guerra è finita, l’Italia è libera”. Le orme degli invasori nella neve d’inverno saranno cancellate dal sole della primavera, e poi tornerà l’estate, l’autunno e ancora l’inverno.
Ma quell’impronta era fatta di sangue, e il sangue aveva intriso la terra fino alle radici degli alberi.
Per molte persone il 25 aprile è stato un giorno di liberazione, di vittoria contro il nazi- fascismo. Anche per la nostra generazione nata negli anni ’70 che mai ha vissuto le atrocità della guerra. Per molti altri invece è stata la morte sul campo di battaglia e per altri ancora il mancato riconoscimento della propria identità dopo la morte, diventando uncorpo unico insieme alla massa degli altri. Solo il nome su una lapide, che merita di essere ricordato per il sacrificio compiuto. Tra i tanti “milite ignoto” c’era anche il mio prozio.
Andrea Biondo