MEMORIE_Elaborazione del Concept_09 – di Valentino Petrosino – LAB Di Cult 234 FIAF.
Laboratori Di Cult FIAF MEMORIE
ERA QUELLO IL TEMPO
testo di Giuseppe Cicozzetti (Scriptphotography), fotografie di Valentino Petrosino
LAB Di Cult 234 Fiaf – Tutor e Coordinatore Valentino Petrosino, collaboratori Luigi Cipriano ed Enza Sola
06 dicembre 2024
Ah, Memoria, madre delle Muse! Mi chiedo spesso dove finiscano i ricordi che abbiamo smesso di ricordare, cioè se dileguano superati da quelli più recenti.
In realtà nulla è perduto, possiamo non ricordare più un episodio lontano della nostra vita, un luogo che abbiamo visitato, un volto che abbiamo incrociato ma nulla di tutto questo è cancellato per sempre: tutto riposa immobile in un archivio da qualche parte della nostra mente; un archivio senza custodia né regole, a cui non possiamo attingere volontariamente finché una scintilla di presente non ci obblighi a ricordare. Più è lontano un ricordo e più a esso consegniamo la nostra commozione perché ci riconduce a un punto e un tempo che abbiamo amato e perduto fatalmente, nella disperata consapevolezza che quel momento non sarebbe più tornato.
Ecco perché ci è cara la memoria, perché è lo spazio dove le cose accadono ogni volta che lo vogliamo. E quando un ricordo, una volta recuperato dalla polvere della dimenticanza, si ordina nella vividezza di una cosa appena accaduta abbiamo come l’impressione di navigare nel tempo, d’essere cioè al centro d’una tempesta che scardina l’ordine temporale.
Spesso, osservando il lavoro di molti fotografi, mi assale la convinzione che fotografia e memoria siano sinonimi. Ai nostri occhi basterà una vecchia fotografia perché affiori lo spirito del tempo in cui è stata scattata, e insieme ai soggetti – se la fotografia proviene da un album di famiglia – ricorderemo noi stessi e ne ricaveremo la sensazione terribile e grandiosa che le fotografie cambiano come cambiamo noi, come se avessero una vita parallela e nascosta. Poi, ad arricchire il già largo territorio delle sensazioni c’è l’esperienza diretta di trovarsi in un luogo frequentato molti anni prima e che riverbera memorie lontane credute estinte, come parole di una lingua caduta in disgrazia e che da incomprensibili ora divengono chiarissime. E dicono: era quello il tempo. “Era quello il tempo” si muove in questo riverbero, per stabilire come la memoria dei luoghi sia anche quella dell’uomo.
Non induca in errore l’aforisma di Natalia Ginzburg scritto in un muro nella fotografia che apre il libro: “Era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so”. Non siano la disillusione né le amarezze a guidare il viaggio a cui Petrosino ci invita né sia l’ingannevole lente della retrotopia a farci credere che il passato sia stato migliore di quanto non sia il presente. Il punto centrale di “Era quello il tempo” si fonda invece nella negoziazione tra passato e presente alla luce della loro occasionale convivenza e del reciproco sforzo alla creazione di un vissuto creduto sterilizzato. I luoghi di Petrosino, che ci accompagna fin dentro l’intimità famigliare, sono luoghi che seppure abbandonati conservano intatti quei momenti di vita che li hanno visto funzionare. Tutto in essi risuona: risuona la vita, risuonano le risa e il pianto, risuonano le grida e i sussurri, gli oggetti, i riflessi. E tutto continua perché, come si è detto, la memoria non muore. E la memoria quando diventa fotografia esce dalla dimensione della “letteratura privata” per diventare patrimonio di tutti noi.
Valentino Petrosino vola sulle cose, niente gli è estraneo e dunque plana sugli oggetti per suggerne l’antico respiro, come se volesse sincerarsi che il corpo morente degli oggetti alitasse ancora un flebile respiro di vita. Ecco che la tensione narrativa si arricchisce di passione, di sincera passione e dove una croce, una vecchia auto, la carta da parati lancinata dal tempo, il letto di un ospedale che non c’è più, un accumulo di sedie diventano parte di un tutto, capitoli che compongono un romanzo, note che costituiscono una sonata.
E scopriamo che non siamo noi uomini a possedere la memoria ma è la memoria che ci possiede. Ah, Memoria, madre delle Muse, plana ancora su di noi, lascia che sia l’emozione a guidare i nostri giorni, di questo come di ogni tempo.
Valentino Petrosino
Tutor Fotografico FIAF