Dai tavoli di portfolio

I carbonai di Serra San Bruno – di Marina Labagnara

.
 
.
 
.
 
.
 
Nei boschi di Serra San Bruno, un piccolo Comune nell’interno della Calabria, sono rimaste poche famiglie che producono il carbone vegetale, un’antica “arte” fenicia tramandata di padre in figlio, oramai quasi estinta. Il lavoro del Carbonaio è senza sosta e senza cognizione temporale tanto da richiedere la turnazione notturna ed è per questo che è coinvolta tutta la famiglia.
Si sceglie la legna migliore e si costruiscono strutture che sembrano piccoli vulcani: gli “Scarazzi”, all’interno dei quali la legna cuoce. Si tratta di un lungo processo che dura anche un mese: una pila di tronchi di spessore largo formano una canna fumaria al centro e via via si aggiungono pezzi di legna sempre più sottili fino a completare la costruzione semisferica che si ricoprirà di terra umida.
Finita la cottura il covone verrà dissotterrato e confezionato in sacchi di iuta pronto per la distribuzione. Il carbone una volta destinato soprattutto al riscaldamento, oggi viene utilizzato solo per la ristorazione.
Marina Labagnara
 
 

I carbonai di Serra San Bruno

di Marina Labagnara

 
 

 

Articoli correlati

4 commenti

  1. Possiede un fascino che “urla” in silenzio questo lavoro di Marina Labagnara, in apertura si propone un paesaggio di misteriosa bellezza, il cui sentiero conduce ad un lavoro denso di fatica, sacrifici e privazioni, quello dei carbonai di Serra san Bruno.
    La vita dell’uomo e della natura si intrecciano rappresentando forti similitudini, entrambi sono destinati a “consumarsi” dandosi agli altri, trovo Interessante come in un’immagine, il messaggio del tempo che passa espresso dagli anelli della sezione di un tronco, si “ritrova” rappresentato in un’altra evidenziato nelle profonde rughe presenti sul collo di un operaio.
    Le immagini proposte con un bianco e nero nitido e incisivo, con singolari punti di ripresa, tagli e prospettive “trasportano” lo spettatore all’interno della scena, descrivendo l’ambiente in cui i carbonai affrontano la loro durissima giornata lavorativa.
    Il racconto si conclude con la figura di un uomo che fuma una sigaretta, cosciente delle difficoltà che lo attendono e con lo sguardo immerso nei
    pensieri, spera di trovare in una pausa le energie necessarie per riprendere il suo faticoso impegno. Complimenti all’autrice.
    Cosimo Stillo

  2. Un sentiero tra noi -perché lì veniamo posti, ed un luogo di fitti fumi e vapori immerso nel fitto bosco. Ci stiamo ad esso avvicinando o voltando indietro mentre ci allontaniamo? Si rivela subito un racconto per me dalle ambivalenti interpretazioni. I fumi/vapori compaiono all’interno di un recinto piantato sul terreno ma nel fotogramma successivo il diverso taglio e la curvatura della recinzione, fanno emergere in me l’immagine di una barca che li ha trasportati sulla terraferma, o forse in partenza verso il mare aperto come fosse una pira.
    Per primo appare un bambino -il Guardiano del fuoco, lo direi. Tra i vapori emerge un uomo, ma qui gli uomini sono scolpiti nel legno a colpi duri, come i tagli di alcuni fotogrammi che fanno emergere il centro/essenza dell’intenzione sottesa; nei loro visi di carbone e nelle mani emerge a tratti un biancore di betulla a testimonianza delle loro radici/della loro natura. Due uomini, colti nella sospensione dei gesti, le loro braccia e i loro corpi sembrano avvolgersi o forse svolgersi rispetto all’altro.
    Un solo gesto definito e netto, quello di un uomo che affonda un forcone a squarciare quella sorta di capanna preistorica fumante. Mi sorprende, allora, quell’ultima immagine dell’uomo scolpito con quelle mani, tutt’uno col viso/labbra che rivelano il tempo di quel gesto.
    Capisco allora da questo stupore che la testimonianza offerta dall’autrice con immagini così incisive e efficaci inquadrature, oltre a dare luce alla sopravvivenza di questa produzione artigianale quasi estinta evidenziandone la fatica, la perizia e il particolare rapporto con gli elementi naturali, ha la capacità di suscitare anche altre riflessioni, naturalmente del tutto personali. Mi rendo conto infatti che man mano che osservavo i fotogrammi, si dipanava un filo conduttore che mi conduceva dritto a “la cosa/oggetto carbone” su due aspetti conviventi in esso: in ognuno di quei pezzi di carbone “riconosco” e ricostruisco la storia del carbone dalla preistoria ai nostri giorni con tutti gli stupori, gli usi artistici, quelli propulsivi, i pericoli, le battaglie a salvaguardia dei lavoranti e dell’ambiente che ha comportato. Al tempo stesso però, ogni pezzo di carbone vive una propria vicenda di trasformazione, con le mani che lo hanno estratto, toccato, utilizzato, con chi ascolta il suono/voce che emette quando lo si è usato, con chi annusa il suo “corpo” dal pungente odore, con chi, sulle pareti di una caverna comepure su un foglio di carta, utilizza la natura del suo “corpo” in grado di lasciare traccia su di essi consentendo la necessità di un’espressione artistica. Tutto questo racchiuso in un pezzo di carbone.
    Se poi pensiamo anche alle immagini che si condensano in noi quando osserviamo, se lo osserviamo, una qualsiasi “cosa del mondo” anche per la sua forma, non possiamo che godere della vita che scopriamo intorno a noi, che siamo noi.
    Ringrazio Marina Labagnara per avere creato un’opera con tante “porte da aprire”.

    1. Sono io che ringrazio te Eletta per la tua profonda lettura e per aver trovato nelle mie immagini tanti stimoli, ed averceli raccontati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button