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Gotthard Schuh di Fausto Raschiatore

GOTTHARD SCHUH

di

Fausto Raschiatore

 

Inaugurate lo scorso marzo e visibili fino al 5 maggio prossimo, sono fruibili in due spazi espositivi, nel cuore di Venezia, due mostre in bianco e nero del fotografo svizzero Gotthard Schuh (1897-1969), proposte dal Museo delle Culture di Lugano: “L’isola degli déi” e “L’ultima Venezia”. Una breve passeggiata ai due lati del Ponte dell’Accademia conduce da una mostra all’altra, da un reportage all’altro, da Venezia a Bali, attraverso le opere presentate nelle due strutture espositive. Proposte presentate nell’ambito di un progetto culturale che nasce dalla collaborazione del Museo delle Culture di Lugano, dell’IVSLA e della Fotostiftung Schweiz di Winterthur, sotto l’egida della Confederazione Svizzera, con il patrocinio della Regione del Veneto e della Città di Venezia, e con il sostegno del Cantone Ticino, della Pro Helvetia, della Cassa di Risparmio di Venezia e della Fondazione «Ada Ceschin Pilone» di Zurigo. Le due esposizioni fanno parte del ciclo «Esovisioni» che, dal 2005, esplora sistematicamente la visione dell’Altro nella grande fotografia d’arte del Novecento. A supporto due cataloghi della Giunti Arte Mostre Musei/Firenze, Collana “Esovisioni”. “L’isola degli déi” curato da Paolo Francesco Campione e Jessica Anais con contributi di Peter Pffrunder, Urs Ramseyer, Gian Franco Ragno. “L’ultima Venezia” curato da Paola Costantini con contributi di Nanni Baltzer, Francesco Paolo Campione, Antonio Mariotti e Alberto Prandi.

 

A “Palazzo Trevisan degli Ulivi”, sede del Consolato di Svizzera, sono in parete cinquanta “prime stampe”, uno stimolante reportage realizzato a Bali nel 1938. Un ritratto dell’isola indonesiana che è stato alimentato per molto tempo, dopo l’indagine, dal mito per cui l’isola appare come fosse il luogo del libero amore, del sublime coniugarsi delle bellezze della natura con le esigenze della cultura. Un mondo in cui le atmosfere si combinano nell’aria con musicalità e armonia e disegnano profili naturalistici che hanno un respiro magico, poetico, in linea con le attese spensierate degli uomini nel sogno di vivere una speciale quotidianità. Un ritratto di Bali, l’insieme delle fotografie di Gotthard, divenuto ormai celebre, che lo consacrerà tra i massimi autori della fotografia internazionale del suo tempo. “Palazzo Loredan” ospita, invece, una indagine fatta col cuore e nel rispetto delle bellezze della più affascinante città del mondo, un “miracolo della natura”. A distanza di cinquanta anni, realizzato nel 1963, viene proposto un reportage di Schuh, l’ultimo dei suoi reportage. Nell’obiettivo della sua Leica, una Venezia demitizzata, ma al contempo carica di fascino e di storia. Un reportage che ci rimanda per certi versi alla tradizione nordica del “Viaggio in Italia”. Schuh trova una sottile armonia fra una matura visione interiore, che ha attraversato i grandi mutamenti del Novecento, e una città nascosta che egli sente profondamente e ci rivela, al di là degli stereotipi. “L’ultima Venezia” è una sintesi iconografica molto stimolante raccolta in sessanta stampe originali realizzate in una città speciale che vive intensamente e dalla quale è profondamente coinvolto. A tutti i livelli.

 

Gotthard Schuh nasce a Schöneberg/Berlino. Dopo gli studi in accademia di dedica alla pittura e dal 1926 alla fotografia. Concentra la sua attenzione sulla realtà quotidiana, in Italia e in Europa centrale. Nel 1927 sposa Marga Zürcher e approda a Parigi. Si dedica alla sperimentazione della nuova arte, ma è anche interessato a fotografare personalità di alto profilo artistico e culturale (Picasso, Braque). Dal 1931, chiamato da Arnold Kübler, Schuh collabora col settimanale «Zürcher Illustrierte». Lavora anche per «Vu», «Paris-Match», «Berliner Illustrirte» e «Life». Nel 1933 partecipa all’esposizione collettiva «Die neue Fotografie in der Schweiz», che si tiene al Gewerbemuseum (Basilea). Nel 1935 gli viene diagnosticata la sclerosi multipla che tuttavia non ferma la sua attività di fotoreporter: dal 1936 lavora con Manuel Gasser, giornalista e scrittore, col quale fonderà, insieme ad altri, la Fotostiftung Schweiz. Nel 1938 parte per svolgere un reportage in Indonesia, nelle isole di Sumatra, Giava e Bali. Esperienza raccolta nel volume Inseln der Götter (1941). Nel 1939, si separa dalla moglie, dalla quale ha avuto un figlio. Nel 1941 accetta il ruolo di caporedattore grafico per «Das Wochenende», inserto del quotidiano la «Neue Zürcher Zeitung», attività che gli permetterà di dedicarsi fare una raccolta strutturata dei suoi lavori in monografie. Nel 1944 sposa Annamarie Custer. Per promuovere il riconoscimento della fotografia, nel 1951 Schuh fonda il Kollegium Schweizerischer Photographen con Werner Bischof, Walter Läubli, Paul Senn e Jakob Tuggener, cui si aggiungeranno Kurt Blum, Christian Staub, René Groebli e Robert Frank. Dal 1953 Schuh soggiorna nei mesi estivi nel Canton Ticino, dove un po’ alla volta riprende a frequentare la pittura da tanto abbandonata.

 




 

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Un commento

  1. Robert Adams ci dà un bell’insegnamento quando ci suggerisce che se in una mostra non troviamo le fotografie che vorremmo vedere, ecco quelle sono le fotografie che dobbiamo fare noi.
    Questo è un bel modo per dire che non è l’approccio giusto, nel leggere una mostra, quando dissentiamo sul cosa un’autore ama fotografare e come lo interpreta. Se un’opera è coerente a livello tematico e poetico, essa è compiuta, poi può piacere o no in base al gusto personale.
    Di fronte a una mostra la cosa più importante è comprendere i messaggi dell’autore, che piaccia o no.
    Dico questo perché spesso i fotografi leggono l’opera degli altri anteponendo il giudizio allo studio, caso mai dicendo che loro l’avrebbero realizzata in un’altro modo, perdendo così la serena capacità di lettura dell’opera.

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