“a te che mi guardi” – di Piera Cavalieri

“a te che mi guardi” – di Piera Cavalieri, curatrice della mostra
Opere esposte alla galleria “Spazio23- fotografia contemporanea” di Genova, nella mostra collettiva “a te che mi guardi” tenuta tra maggio e giugno 2014.

Autoritratto come espressione di una identità che si svela e che necessita di una speciale interazione con lo spettatore, per potersi dire completo. Le autrici, con l’uso dell’autoscatto o di metafore o di performance create in solitudine si raccontano, ognuna con il proprio personalissimo stile. Sono immagini tra sogno e realtà che sottendono una ricerca di relazione più autentica tra il proprio sé e il mondo, dove ogni cosa può essere gioco ma anche segno rivelatore.

La mostra non è stata costruita seguendo un criterio di genere ma è certamente più caratteristica la produzione su questa tematica da parte delle donne. Credo sia stata la storia della fotografia ad aver contribuito a questa vasta produzione femminile perché sono state proprio le prime fotografe (Claude Cahun, Clementina Hawarden …) che utilizzando la fotografia per i loro autoritratti e per entrare nel mondo dell’arte, allora precluso alle donne, a tracciare la strada alle nostre artiste contemporanee più note e a creare una certa naturalezza nell’approccio a questa tematica da parte delle donne.

Raffaella Castagnoli


“Nero

la negazione rinuncia capitolazione completa abbandono limite assoluto oltre il quale non c’è più nulla

Rosso

amore dinamismo passione sensualità fierezza forza sicurezza”

Questi i titoli dei due trittici con cui si autorappresenta Raffaella Castagnoli: Nero e Rosso e rispettivamente i testi impressi sulle immagini. Al centro c’è lei col volto parzialmente nascosto in entrambe le immagini da un libro. Nel primo caso il libro in questione contiene le poesie di Silvia Plath nel secondo caso il volume Fotografia del xx secolo. L’annientamento e l’energia vitale che si contrappongono. Silvia Plath con la sua straordinaria poesia e la sua tragica fine ben si accompagnano al gelo che rattrappisce quel che sembra la sagoma di un fiore e a quella mantella nera che avvolge un manichino, sagoma di un corpo vero che non c’è. Ma Raffaella al centro non è nera, non ci appare in una corporeità nera come gli oggetti ai lati. È chiara, quasi eterea come sfuggente dal nero.

Rosso, vita, passione, lei è ben presente al centro e i suoi occhi sono più visibili senza occhiali, la passione non si può nascondere e il rosso cerca la complicità dello spettatore. A sinistra un abito colorato sembra alludere a un corpo che sta per indossarlo e a destra quelle che potrebbero essere corolle di fiori pronte a schiudersi.

Due trittici molto forti che insieme offrono una chiave di lettura molto intensa.

Chiara Natta

Chiara Natta presenta un autoritratto composto da due fotografie. In una si ritrae investita da un cono di luce con i capelli scarmigliati, nell’altra un cespuglio o un arbusto sembra energicamente uscire dal terreno.

L’accostamento trova ragione nella continua ricerca dell’autrice sulla natura che riesce comunque a prendere il sopravvento, anche quando l’uomo sembra prepotentemente invadere gli spazi e il cespuglio diventa metafora dell’uomo che vive in una comunione di origini e destino con la natura stessa. Le immagini sono solo due ma sono la sintesi di una poetica sentita e vissuta molto intensamente.

 

Margherita Levo Rosenberg


 

Quadro quadrato a quadretti con radiografie, fotocopie, silicone su carta. Percezioni di sé, evanescenti, sfuggenti. Nessuna immagine sembra reale ma appena percepita. Noi come percepiamo gli altri? Immagini sfuggenti? Qual è la verità di un autoritratto se non l’insieme di sensazioni che si susseguono e mai si fermano nella rigidità di una posa? Margherita Levo Rosenberg è partita dalla più tradizionale fototessera necessaria per riconoscere l’identità di una persona compiendo un percorso di dissolvimento. In ogni quadretto l’immagine si stempera creando l’impressione di un’identità. Ma non è questa esperienza reale e quotidiana di tutti noi tra la folla? Gli altri sono una scia che si imprime sulla nostra retina e l’autoritratto di Levo Rosenberg sembra rappresentare la scia di se stessa, altrettanto reale ma senza i tratti di un’identità ferma. E’ una giocosa divagazione sull’identità che sembra attingere dal nostro rapporto con il mondo. La serialità dell’immagine che si ripete ma, in posizioni sempre diverse nel quadretto, e le sfumature cromatiche mai uguali suggeriscono l’inevitabile variabilità della memoria e dei ricordi che contengono insieme fissità ed evanescenza.

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