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Photospot n° 26 – La post-produzione (II° parte)

Silvano Bicocchi- Innamoramento 1968.
 

La post-produzione.
(seconda parte)

 

La fotografia analogica essendo impronta fisica della realtà è un segno naturale, per questo ha generato un concetto nuovo nella storia dell’umanità: l’immagine tecnica fedele alla realtà. La fotografia digitale non essendo impronta fisica, ma il codice numerico della misurazione elettrica di una impronta effimera su un sensore, è stata pensata per essere facilmente manipolata.

Pertanto la natura della fotografia digitale è quella della “facente vece” dell’analogica, perchè essa appoggia tutta la sua forza di segno sull’aura de “l’immagine fedele alla realtà” propria dell’analogico, anche quando viene elaborata.

 Il risultato iconico ottenuto con l’una o con l’altra tecnologia è il medesimo, e pertanto la verità mostrata dall’analogico è la medesima di quella mostrata dal digitale. Ma mentre nella fotografia analogica elaborare un’immagine cambiandone la denotazione, è un atto trasgressivo del proprio statuto originario che la definisce essenzialmente “scrittura della luce”, nello scatto digitale l’elaborazione è invece un’opzione prevista nel proprio statuto e pertanto pianificata nei software di post-produzione.

 Non a tutti interessa questa riflessione, ma al fotoamatore deve interessare per gli aspetti culturali che pone in gioco. Anche altri linguaggi sono stretti nella rivoluzione dell’indifferenziato instaurata dal digitale, ad esempio: la musica, ma i musicisti non hanno perso i loro valori originari. Acquisita la capacità di differenziare il senso del nostro mezzo potremo meglio comprendere i messaggi della fotografia del passato e del presente.

Questo ragionamento tra presente e passato giunge anche in termini pratici, ad esempio perché scattare ancora in bianco e nero?

Nonostante la fotografia a colori sia una realtà da oltre 100 anni, si continua a fotografare in bianco e nero con notevole successo.

 Nonostante che la tecnica del colore abbia cercato il colore fedele alla realtà, gli autori tendono alla scelta soggettiva dei colori. Questi aspetti  dimostrano quanto la connotazione sia decisiva per l’espressione artistica del fotografo.

 La fotografia in bianco e nero, perdendo il colore, pone il lettore direttamente a contatto col linguaggio del fotografo. Si perde il colore e si guadagna la luce con i suoi codici naturali legati al senso del bianco e del nero. Il bianco rimanda al tono musicale alto, alla leggerezza, all’immateriale, alla rivelazione. Il nero al tono basso, alla pesantezza, al materiale, al mistero. La variazione tonale dei grigi caricano di realismo le forme tracciate dai due toni estremi,  bianco e nero, dando loro materialità con le superfici e i volumi.

 Il bianco e nero sa essere essenziale come un disegno e totale come una fotografia. Quando è perfetto, alla fotografia non manca alcun colore: l’immagine non può essere che così!

Il Direttore del Dipartimento Cultura.
Silvano Bicocchi

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