Andrea Lattuca – Devozioni e dedizioni
Andrea Lattuca
Devozioni e dedizioni
Il popolo siciliano ama le feste, l’allegria, la socialità.
Il forestiero, il turista, il curioso, è uno spettatore gradito e rispettato e, spesso, privilegiato. Chi viene in Sicilia, certamente non si annoia.
La Sicilia è una miniera di tradizioni, in un contesto ove popoli, provenienti da tutte le direzioni cardinali, sono passati o si sono insediati. Le feste, anche quelle religiose, quando esprimono rappresentazioni espropriate alla Chiesa, dal popolo che le ha poi gestite, riconducono ancora al passato, per quella veicolarità propria delle tradizioni.
La festa religiosa testimonia di due aspetti. L’uno è la rassegnazione e l’accettazione della gerarchia sociale come condizione umana: si ritiene infatti che senza l’aiuto di un intercessore non si possa ottenere nulla dal Signore. Poiché egli non ascolta il debole, lo sconosciuto, il diseredato, è inutile rivolgersi direttamente a Dio. Da qui, il culto superstizioso e l’esaltazione della figura dei santi patroni, i quali nella loro potenza oscurano, e in certi casi annullano, l’esistenza del Padreterno. È questa una caratteristica della religiosità meridionale che riguarda tutte le classi sociali. L’altro aspetto è quello della rivendicazione sociale: la festività religiosa offre l’occasione per affermare un momento di indipendenza e di autorità popolare.
Argomento di particolare complessità quello trattato dal bravo Autore.
La ritualità e le credenze religiose affondano le loro radici negli archètipi dell’inconscio collettivo così come descritti dalla scuola psicoanalitica di Carl Gustav Jung.
Molto stretto è il legame, inoltre, tra religione e magia.
Quando l’uomo primitivo conduceva una esistenza poco più che animale, la vita quotidiana si svolgeva all’insegna di rituali magico-religiosi organizzati.
Tali rituali erano strumenti potenti per agire sul cosmo, sui mondi materiali e su quelli immateriali.
Jules Combarieu riferisce di come il canto profano derivi dal canto religioso, così come quest’ultimo deriva dal canto magico.
Nelle lingue indoeuropee le medesime matrici designavano sia il canto che l’operazione magica: cantus/incantus; carmen/charme.
Nelle formule magiche il linguaggio si costituisce come tale e mostra una struttura organizzata.
Il principio generatore della religiosità è da individuare in una profonda attitudine dell’essere umano.
Essa vive nel silenzio del corpo come già il corpo nel grembo materno.
Se, fin dall’alba dell’umanità, fosse stata solo un espediente per risolvere le difficoltà della vita, la religiosità si sarebbe spenta naturalmente, con il progredire della civiltà.
Andrea ha colto ed interpretato la suggestione determinata dal rito, precedentemente interiorizzato.
Straordinario lo sguardo del bimbo nella penultima immagine, che sembra, lui solo, percepire il Trascendente.
La celebrazione della festa come partecipazione emotiva del singolo e come rituale di aggregazione per rafforzare il senso di appartenenza ad una specifica collettività, per rimarcare l’identità di un popolo e tramandarne i valori attraverso simboli, gesti, canti. Il trascendente che si rende visibile, manifesto, attraverso immagini che descrivono gioia, compartecipazione, drammaticità (intesa nella sua accezione di “svolgimento dell’azione”, “rappresentazione”), forza e rapimento “estatico ” così come si incontra nei culti misterici greci e ravvisabile negli sguardi commossi ed emotivamente carichi di pathos che si incrociano nelle fotografie. La rappresentazione di una grande onda di energia: questo mi comunicano le fotografie di Andrea. Una grande onda che, nell’ultima foto, conduce al silenzio dell’incontro con il sacro. Grazie Andrea per aver descritto fotograficamente quello che grandi antropologi e psicoanalisti ci hanno raccontato con le parole!
La rappresentazione dei rituali sacri è una delle tematiche che capita di affrontare con maggiore frequenza nelle letture portfolio, almeno qui nel sud Italia. E se nella maggior parte di questi lavori gli Autori cercano di dare una visione generale, quasi documentaria dell’intero rito, questo di Andrea Lattuca è un lavoro che si rivolge all’essenza del rito, imponendosi all’attenzione per la chiave di lettura che ci offre, sottolineata dalla scelta di una serie di immagini coerenti: devozione rappresentata metaforicamente con il protendersi delle braccia e delle mani verso il simulacro del sacro o del divino, che nel linguaggio dei gesti viene interpretato come un segno di richiesta fiduciosa, di quella speranza sorretta dalla fede. Naturalmente uguale significato assume l’ostensione dei bambini, una richiesta di protezione su una vita che inizia. Una scelta narrativa che parla di intenzionalità e progettualità, bravo!
Le mani nel gesto più antico dell’implorazione, della preghiera, dell’invocazione. Le mani in tutta la loro espressività del sentimento religioso sono il filo conduttore di questo reportage , sono mani di tutte le età che, non solo simbolicamente, legano e affratellano le donne, i bambini e gli uomini del luogo, cioè della società, a cui appartengono.
La mani hanno una potenza e una forza espressiva che è pari, a mio avviso, a quella del volto umano; queste immagini “parlano” proprio in virtù di questa forza espressa con tanta intensità.
La scelta del bianco e nero, nata forse per la consuetudine di usare il tono monocromatico nel reportage, rende a mio avviso più drammatiche e d’impatto le scene riprese. Ma in questo caso non solo: trovo che togliendo il colore si attenuano anche quei dettagli nell’aspetto fisico che potrebbero marcare maggiormente le differenze sociali tra persone fotografate. La cerimonia religiosa, il rito, viceversa dovrebbero riunire le persone nell’atto della preghiera e questo è ciò che percepisco fortemente anche attraverso l’uso del bianco e nero.
Immagini di forte impatto emotivo quelle di Andrea Lattuca, che viene accentuato dal sapiente uso del grandangolo, partecipe ma non invasivo e da una lettura della luce che esalta , specialmente nelle fotografie scattate in interno, la drammaticità e la partecipazione popolare e religiosa a questa festa.
Certamente le mani sono il filo conduttore di questo lavoro, a testimoniare il bisogno di contatto “diretto” di queste persone con il sacro, per una cerimonia antica nella quale tuttavia anche il profano entra prepotentemente in gioco , con la presenza delle offerte votive .
Un lavoro estremamente ben condotto con un sapiente uso del bianco e nero . Complimenti
Sono sempre stata affascinata dalla religiosità in genere. Ho notato ad esempio nel mio Friuli
che la gente è più composta nelle sue espressioni religiose e persino i Santi e le immagini sacre lo sono.
Mentre nel meridione d’Italia la gente che non ha timore di esprimere i propri sentimenti nelle manifestazioni di fede si offre al pubblico senza timidezze. Per noi fotografi in cerca di immagini forti è una festa di scatti coinvolgenti. Come in questo lavoro di Andrea Lattuca dove le persone chiedono al Santo protezione per i propri figli, per la propria vita e toccano il Santo per partecipare alla sua santità, piange per il Cristo sofferente e per il proprio dolore.
Un lavoro molto bello sopratutto per il bianco e nero.
Ringrazio davvero tutti per le splendide parole e i meravigliosi commenti che mi avete regalato.
Ringrazio il Direttore per l’opportunità che mi ha dato, di pubblicare le mie fotografie.
Grazie a tutti.