L'immagine (2° parte)
L’immagine.
(II° Parte)
L’affermazione: “ciò che la fotografia mostra, c’è!” (o c’è stato), pur nella sua disarmante ovvietà, è il fondamento di tutto lo sviluppo che l’immagine fotografica ha avuto nella sua storia.
Le conseguenze di questa sua specificità, data dall’impronta, sono enormi!
Infatti essa ha dato ragione d’essere ad esempio al fotogiornalismo, alla documentazione fotografica nelle varie discipline scientifiche, o semplicemente alla verità del segno intimo che raffigura i nostri affetti privati.
Ma la fotografia, sollecitando il solo senso della vista, ci dice che una cosa c’è mostrandocene l’icona che è la forma dell’impronta fotografica. Quindi noi, guardando una foto, mettiamo per scontato che “ciò che la fotografia mostra c’è”, e subito la nostra mente conduce lo sguardo a soddisfare la naturale curiosità di scoprire: com’è fatto?
Infatti se guardiamo la fotografia di Frank Meadow Sutcliffe, scattata a Whitby oltre 130 anni fa, con la consapevolezza dell’impronta ci sentiamo sorpresi dalla vertigine del tempo. Ma superato il primo momento mozzafiato, dato dall’anno dello scatto, il nostro occhio inizia a guadare com’era fatto questo mondo antico.
E’ quindi dal punto di vista del legame “impronta” che si legge il significato dell’icona fotografica realizzata secondo il suo Statuto originario; Roland Barthes nel libro “La camera chiara” ne offre un modello esemplare.
Il processo tecnico che genera il legame “impronta”, certifica un’esistenza grazie alla sua natura oggettiva. Il legame “icona” invece ha natura soggettiva, perchè le infinite diverse raffigurazioni possibili del soggetto, offerte al fotografo dalla fotocamera, rendono l’atto fotografico un’espressione linguistica.
L’immagine artistica pittorica agilmente va oltre all’intenzione del rappresentare un oggetto, come contenuto nella mia sintesi della definizione di Jean-Jacques Wunenburger; in essa il pittore trasfigura il mondo fino a raffigurare una “cosa altra”.
Giorgio Morandi ci offre un illuminante esempio di queste possibili diverse trasfigurazioni. Nella prima tela egli raffigura i suoi amatissimi oggetti di studio inondati dalla luce, con colori propri e appoggiati su un piano in cui le ombre rafforzano l’effetto prospettico. Questa è un’immagine permeata di Realismo artistico.
Ma poi i medesimi oggetti, egli ce li mostra con un disegno essenziale dai tratti minimali che li traducono in una visione astratta permeata di Idealismo artistico.
Siamo davanti a due diverse interpretazioni del reale che ci mostrano le stesse cose ma interpretati con due poetiche differenti.
L’icona fotografica, con la sua perfezione fin dagli albori della fotografia è stata condotta dai pittori, divenuti fotografi, nel gusto iconico della pittura del loro tempo, dimostrando così che anche l’occhio tecnico della fotografia, se guidato dalla visione soggettiva, può interpretare la realtà come fa la pittura.
Con la fotografia nasce l’immagine tecnica. (https://fiaf.net/agoradicult/2012/01/29/photospot-n-6-limmagine-tecnica/).
In essa sono fuse insieme, come in un corpo, la fisicità dell’impronta e la spiritualità dell’icona.
L’immagine tecnica fotografica si presenta allo sguardo umano pregna del proprio specifico mistero che la può rende contemporaneamente sia informazione (per il suo valore oggettivo) che arte (per il suo valore soggettivo).
Silvano Bicocchi
Direttore del Dipartimento Cultura FIAF
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I Post che pubblico su temi teorici rispecchiano i concetti delle riflessioni che tengo nelle attività. La loro pubblicazione permetterà a chi mi ha già ascoltato di rammentare e approfondire, mentre agli altri di partecipare alle mie riflessioni. Il progetto di pubblicazione dei Post si svilupperà lentamente, nei mesi, in base agli impegni che mi trovo ad affrontare, ma alla fine con la funzione ricerca sarà facile per il lettore ricomporli nella loro sequenza logica. Vi invito alla loro lettura e rilettura, perchè il mio incedere nell’approfondimento è stato di scrittura e di riscrittura. Occorre trovare un pausa interiore per approfondire e assimilare certi concetti, soprattutto quelli nati in altre epoche dove la mente umana viveva con ritmi del quotidiano molto diversi dai nostri. Buona lettura e non mancate di inviare i vostri contributi d’approfondimento.
Le problematiche sollevate da Silvano Bicocchi sull’oggettività e sulla soggettività dell’immagine fotografica, spingono ad altre considerazioni.
Perchè la fotografia ai suoi esordi era stata osteggiata e relegata ad un piano di interesse inferiore rispetto alla pittura?I detrattori riconoscevano alla fotografia il solo ruolo di impronta , semplice rappresentazione della realtà senza nessuna implicazione artistica…” La fotografia dice sempre la verità in modo freddo e asettico e non c’è spazio per le emozioni soggettive e la libera interpretazione” : questo in sintesi era il concetto, ma noi alla luce dei fatti sappiamo quanto questa interpretazione sia falsa , anche nella fotografia analogica , che pure dipende nella sua rappresentazione da un processo chimico e a maggior ragione oggi nella fotografia digitale, con le enormi possibilità di intervento in post produzione. Ma è interessante anche considerare che già nella gloriosa epoca analogica l’osservazione di una fotografia ci poneva nel dilemma, stimolante e affascinante al tempo stesso, di chiederci quanto la rappresentazione iconica fosse aderente alla realtà e quanto dipendesse invece dalla creatività o dall’interpretazione del fotografo…(segue)
Il “dipintore” rappresenta gli angeli in forma umana; non può raffigurare qualcosa che non ha mai visto. Una prostituta assume la raffigurazione iconica di una santa (Caravaggio). I diavoli hanno le corna delle capre, le ali degli uccelli. Tutto perviene dalla percezione dell’orma.
Le linee, le forme, derivano dal dejà vu delle nuvole, dalle onde, dalle dune dei deserti, dalle distese del mare, filtrate dalle pulsioni e dalle penombre dell’animo.
La creatività è astrazione, è il distillato delle idee. La differenza tra pittura, disegno, fotografia, è meno sostanziale di quanto si immagini.
L’autore estrae il soggetto dal contesto, lo deforma soggettivamente al proprio sentire ed essere. L’impronta è solo apparenza. E’ una pelle di serpente lasciata dopo la muta; è l’impronta dei passi sulla rena slavata dal mare.
L’orma “non è” il soggetto; non ne raffigura l’essenza, la cui percezione richiede ben altra saggezza e conoscenza.
Quello che conta è l’idea che, veicolata dal linguaggio iconico, è magicamente decifrabile da quel rebus iconico-creativo solo da chi è sulla stessa “lunghezza d’onda” dell’autore.
Quando, da quattro e più dimensioni, si passa a due, magari anche senza il colore, l’essenza dell’orma si sbriciola, si dilava dalla già precaria percezione originaria, finché l’orma non ha più riferimento col piede che l’ha lasciata.
L’uomo attribuisce significati ad ogni cosa, perché la sua mente pensa, immagina, sogna; ha incubi ed esaltazioni che solo l’arte può veicolare. Ma tutto questo è inconsistente, momentaneo, soggettivo; “passato” già nell’attimo della percezione; senza tempo; illusorio ed intangibile.
L’orma esiste, ma è avulsa dal reale. Perché “noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” (Shakespeare – La Tempesta) e quel che deriva da noi non può essere parente del reale.
Cosa c’è di male nel congelare con una fotografia quello che si vuole ricordare, quello che suscita agli occhi ed al cuore del fotografo un’emozione da condividere con gli altri…insomma quello che c’è….E’ sempre stato considerato di maggior lavorazione, di maggior impegno, di maggior valore la realizzazione pittorica rispetto al “click” di pochi istanti di un fotografo. Con la pittura abbiamo avuto dei quadri che sono stati e sono “immagini” con interpretazioni della realtà legate alla creatività dell’artista da quando non esisteva la fotografia e poi con raffronti con essa, con variazioni sul tema. Molti pittori sono stati prima fotografi, molti hanno condiviso entrambe le discipline artistiche.. Con la Camera oscura, oggi con la Camera chiara, il fotografo ha cercato e cerca di dare la sua impronta al mondo che scorre e rimane stampato su di un pezzo di carta di valore grandissimo per l’autore e per tutti coloro che contemporaneamente e in futuro hanno ed avranno la fortuna di guardare, godere e giudicare nel bene e nel male le immagini di quello che c’è. Lugo
Come ben scrive il direttore nel post dedicato all’immagine tecnica: . La macchina fotografica, sia essa un’usa e getta o una sofisticata apparecchiatura, sta comunque al fotografo come i pennelli e le spatole al pittore; il loro impiego varia in base a ciò che si vuole esprimere e alla capacità di chi ne fa uso. Allo stesso modo una persona esteriormente perfetta perde immediatamente il suo fascino se non fa trasparire la sua consistenza interiore.
L’uomo è fatto di corpo, ma anche di spiritualità e non può vivere pienamente se scisso da essa. Probabilmente la fotografia è ancora considerata un’arte inferiore alla pittura perché a tutt’oggi non ha saputo far vibrare le corde dello spirito con la stessa intensità; c’è da considerare poi che per secoli la manualità, cioè la creazione di oggetti o opere con la partecipazione fisica dell’autore, ha avuto un grosso significato. Ma sono in atto grandi cambiamenti di pensiero e di percezione, e io credo che la fotografia sarà il nuovo mezzo di interpretazione e comunicazione.
Quanto amo questo argomento! … quale è la differenza tra artista (inteso nel senso accademico) e fotografo, quante parole si sono spese nel tentativo di spiegare questo concetto.
Personalmente penso che è nella natura dell’uomo l’esigenza di esprimere se stesso nei modi più consoni alla propria personalità, certo, le arti accademiche, pittura, scultura, musica, necessitano nella maggioranza dei casi, di tanto studio e tanta applicazione, la manualità è quindi per queste discipline una sorta di ostacolo spesso insormontabile, specialmente se la persona non è dotata naturalmente (si pensi all’orecchio assoluto del musicista).
Mi sono convinta che la fotografia possa intendersi come mezzo espressivo “democratico” in quanto concede a tutti (specialmente con l’avvento della tecnologia digitale) la possibilità di espressione, superando l’empasse della manualità.
Resta comunque, come per tutte le arti visive, la necessità si saper vedere con gli occhi dell’anima, i soli capaci di dare espressività artistica alla creazione, qualsiasi essa sia.
di recente mi è capitato di vedere le opere del fotografo Hyena che riesce a trasformare le proprie immagini, peraltro eccellenti, in vere e proprie opere pittoriche utilizzando tecniche di trasformazione molto interessanti che vi invito a vedere sul sito dell’artista (belli anche i video su YuTube).
Da quando abbiamo iniziato a lasciare le impronte delle nostre mani nelle grotte abitate in epoche remote, fino ad oggi, con la tecnologia che supera ormai qualsiasi previsione futuristica del passato, la necessità di espressione non si è mai consumata, anzi, maggiori sono gli stimoli, maggiori sono le nostre capacità di inventiva e di fantasia.
Io credo che la macchina migliore al mondo, la più veloce, la più perfetta e tecnologica sia di fatto il nostro cervello, le altre cose sono solo elettrodomestici, sono utili ma non partecipano necessariamente al risultato finale.
Concludo con una frase bellissima sentita ieri sera dal regista Ermanno Olmi, “nulla è più veloce del pensiero umano”.
Isabella Tholozan
….(segue) in fondo la fotografia non sa apparentemente mentire, ma in realtà non corrisponde mai alla realtà, nemmeno nel reportage, dove basta un taglio particolare dato all’immagine o uno scatto leggermente ritardato per cambiare completamente la lettura e il significato di ciò che stiamo vedendo.
L’importante è che la “bugia” non venga usata in mala fede per mistificare o alterare, per scopi legati ad interessi personali, la realtà delle cose. Qui sta il confine tra creatività e mala fede…per creatività tutto può essere consentito e la tecnologia digitale oggi ci dimostra quanto abbiamo a disposizione per raggiungere determinati risultati, per malafede nulla deve essere consentito.