L'eliografia – di Enrico Maddalena
Riporto un sonetto di Augusto Berta, contenuto in un testo
di Carlo Brogi del 1896: “Il ritratto in fotografia”.
La Fotografia
Arte nata da un raggio e da un veleno
la disse un dì il Poeta – Gli rispose
un altro: – Essenza d’anime e di cose!
Tutto si eterna nel vital tuo seno:
il sole, il giubilante arcobaleno,
le stranezze del mar, l’ombre pensose
del bosco, le dolcezze luminose
d’uno stellante e puro occhio sereno.
Ed io l’amo quel raggio velenoso
che suscita la forma come un Dio,
che tutto vede e strappa al freddo oblio!
Ed io l’adoro quel velen radioso
che mi consente ancor l’immagin pia
– morta da tempo – della Mamma mia!
Vi si pone l’accento, in più riprese, alla natura ottica (il raggio) e chimica (il veleno) della fotografia. Bellissimo il finale dove il Berta evidenzia la natura referenziale di questo nuovo mezzo, la sua capacità di riportarci lì ed allora, in luoghi e tempi passati.
La mia camera obscura, la parte ottica è pronta. Non mi resta che dedicarmi a quella chimica.
L’eliografia.
Ho sperimentato il disegno fotogenico di Talbot e solo in un secondo tempo l’eliografia di Niépce. Ma per seguire la cronologia storica ne parlo ora.
Joseph Nicéphore Niépce era interessato ai metodi di stampa, dalla litografia all’incisione. Purtroppo era negato per il disegno. Pensò allora ad un metodo per riportare in automatico un disegno su di una lastra da stampa. Gli incisori ricoprono una lastra di metallo, generalmente rame, con della cera o del bitume. Allora si usava il bitume di Giudea. L’artista incideva il bitume con un bulino che, asportando l’impasto, metteva allo scoperto il metallo. Si poneva quindi la lastra a contatto con il mordente (acido nitrico) che lo intaccava là dove era passato il bulino. Si creano pertanto dei solchi. Si puliva la lastra togliendo la cera o il bitume che la ricopriva e la si inchiostrava, pulendola in superficie con una racletta. L’inchiostro restava nei solchi. Premendo un foglio di carta sulla lastra, ne restava impresso il disegno.
Niépce scoprì che il bitume di Giudea indurisce alla luce divenendo insolubile nell’olio di lavanda che invece ha la proprietà di scioglierlo quando non esposto. Iniziò così i suoi esperimenti ricoprendo di bitume lastre di peltro e di rame. Rendeva trasparente una incisione, la poneva sulla lastra esponendo il tutto alla luce. L’inchiostro del disegno faceva da maschera ed impediva alla luce di indurire il bitume sottostante. Lavando la lastra con olio di lavanda, veniva via la zona non esposta. In pratica la luce sostituiva il bulino. Si procedeva poi come per una normale incisione. A ben riflettere, è questa la vera scoperta di Niépce: la fotoincisione, la prima tecnica fotomeccanica. E non è una scoperta da poco se pensiamo che la maggior parte delle immagini fotografiche su carta non sono immagini all’argento, ma all’inchiostro.
E’ famosa la sua riproduzione mediante questa tecnica, di una incisione raffigurante il cardinale Georges D’Amboise.
Non sono riuscito a trovare, nemmeno su internet, il bitume di Giudea. Ma so, per aver praticato da ragazzo la stampa al bicromato di potassio, che questa sostanza ha proprietà analoghe al bitume di Giudea. Un colloide, come la gelatina o la gomma arabica, in cui si discioglie del bicromato, indurisce nelle parti esposte alla luce che divengono insolubili all’acqua. Una lastra ricoperta con tale sostanza si “sviluppa” non in olio di lavanda ma in comunissima ed economica acqua calda.
Ho allora scansionato la “Madonna della melagrana” di Raffaello, l’ho stampata, ho poi bagnato di olio con un batuffolo di cotone la carta per renderla trasparente e l’ho posta, pressata da un vetro, su di un foglio di cartoncino per acquerello rivestito con gomma arabica e bicromato. Ho esposto il tutto al sole per qualche minuto, quindi ho immerso il cartoncino in acqua ottenendo la riproduzione “automatica” del disegno. Volete paragonare la Madonna col Bambino ad un semplice cardinale?
E’ noto che il passo successivo di Niépce fu quello di ripetere il procedimento mediante una camera obscura. Poiché la luce che entra in un tale apparecchio è enormemente inferiore a quella solare diretta, sono necessari tempi di posa lunghissimi. Otto ore in quella che è considerata la prima fotografia della storia. L’immagine è stabile perché l’olio di lavanda ha ormai asportato il bitume fotosensibile dalle parti in ombra, facendo contemporaneamente da sviluppo e da fissaggio. Ciò che piaceva a Niépce di questo procedimento è che si ottiene una immagine direttamente positiva (il bitume di Giudea è bianco). Nelle prove con il cloruro d’argento si ottenevano invece immagini dai toni invertiti. Ma si era cacciato in un vicolo cieco perché le lunghissime esposizioni e la scarsa definizione delle immagini ottenute non riservavano al metodo alcun futuro. Il sogno di Niépce di ottenere immagini direttamente positive si è realizzato con il digitale. Chi inizia a fotografare oggi pensa che il negativo sia un effetto di Photoshop. Va sottolineato, per amore del vero, che Hippolyte Bayard, contemporaneo di Daguerre e di Niépce, era riuscito a produrre immagini direttamente positive su carta all’argento.
Ho naturalmente voluto provare anch’io l’eliografia, inserendo nella mia camera obscura un cartoncino trattato con gomma arabica e bicromato. Dopo otto lunghe ore di esposizione, ho portato dentro casa la macchina ed ho “sviluppato” la carta. Fantastico! Il muretto di fronte, l’albero di melo, il palazzo e l’albero lontani erano perfettamente riconoscibili! Ho riprovato le stesse emozioni che Niépce deve aver provato circa 180 anni fa.
Riprendiamo con interesse il percorso avvincente di rilfessioni sulle radici culturali della fotografia, proposte da Enrico Maddalena. Per la fotografia inevitabilmente queste radici hanno natura tecnica e umanistica. E’ sorprendente come l’immagine tecnica sia gravida di messaggi anche per l’uomo d’oggi. L’eliografia ha una forte capacità di idealizzare la realtà, pur producendo un’immagine fortemente realistica. Ogni nuova immagine tecnica, con la sua carica d’improbabilità, forza il gusto umano, lo seduce con un significante che ha la forza del meraviglioso e proprio per questo accende l’immaginazione umana. Il gusto delle tecniche antiche è tutt’oggi la connotazione giusta per esprimere i sentimenti più intimi della modernità.
Un percorso quello che ci propone Enrico Maddalena che sento utilissimo, mi vien da dire indispensabile.
Non si può pensare di essere appassionati di fotografia, come noi ci riteniamo, senza conoscere le “radici” che ci hanno portato all’oggi.
Con il suoi post, così ben strutturati, semplici, esaurienti, emozionanti, ci fa assaporare la magia che ha segnato quei primi grandi successi, apprezzare le capacità e la passione di quei pionieri, che si sono tanto adoperati per ottenerli e comprendere la forza espressiva di queste tecniche.
Aspettando con gioia il prossimo post.
Grazie.
Orietta Bay
La manualità e il risultato sorprendente delle tecniche antiche sono estremamente affascinanti e ci fanno percepire l’emozione del risultato . Quel risultato che spesso un po’ nostalgicamente cerchiamo di riprodurre con mezzi moderni .
Grazie ad Enrico scopriamo le radici della fotografia, in un percorso interessantissimo e culturalmente formativo. La sua passione è veramente contagiosa e viene voglia di mettere in pratica tutte le magie che ci mette a disposizione. Enrico Maddalena è il nostro faro illuminante…grazie
Un percorso, quello che ci propone Enrico, stimolante e ricco di fascino e che io, praticante di diverse tecniche antiche di stampa, trovo interessante per spunti, riflessioni e confronti.
Per raccontare le nostre storie e per esprimere le nostre emozioni, con le antiche tecniche abbiamo a disposizione tanti strumenti in più: la matericità di una stampa alla gomma, la purezza di una stampa al platino, la forza e profondità di un carbone, il messaggio pittorico di un oleotipia o di un bromolio, ecc. Ma è anche il nostro intervento manuale che spesso condiziona il risultato finale e rende l’opera unica, irripetibile e carica delle nostre emozioni. Ma sono soprattutto i tempi lunghi necessari per la preparazione dei materiali, per le esposizioni e per tante altre piccole operazioni manuali che ci permettono e costringono a “rallentare, a fermarci, a riflettere, a pensare”. E poi come dice Enrico, di fronte al risultato finale, a provare immenso stupore e ad emozionarci come bambini.
Roberto Montanari
Vorrei domandare al signor Maddalena che tipo di apparecchio ha utilizzato per l’esposizione: camera a foro stenopeico oppure con ottica? E con quali caratteristiche?
Ecco queste sperimentazioni ,questo fare, riproporre le tecniche artistiche antiche le radici della fotografia spiegate cosi’ bene , che meraviglia!Se fossi una regina darei il mio regno per poter sperimentare e creare l’arte nata da un raggio e da un veleno. Straordinario cultore e maestro di fotografia Enrico Maddalena. Mi sono copiata la relazione e chissà che non mi metta all’opera e provare questo stupore , questa emozione di risultati qualunque essi siano.