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Il Diametro del Mito – di Giuliana Traverso a cura di Orietta Bay

Il Diametro del Mito – di Giuliana Traverso a cura di Orietta Bay

Giuliana Traverso, ormai lo abbiamo capito, è autrice poliedrica. Ma è dalla riflessione sulle sue opere che ci siamo persuasi che per Lei fotografare significa cercare per scoprire. È una ricercatrice delle ragioni che muovono i comportamenti. Spesso i suoi scatti sono come uno scandaglio che va in profondità per aiutarci ad evidenziare le possibili implicazioni che sono alla base delle nostre azioni.

Anche in questo lavoro, realizzato nel 1985, dal titolo “Il Diametro del Mito” è evidente la natura concettuale del progetto che muove da un’osservazione antropo-filosofica e socio-culturale.

Nel vocabolario italiano G.Devoto – G.C.Oli il mito è definito: Quanto è capace di polarizzare le aspirazioni di una comunità o di una epoca, elevandosi a simbolo privilegiato e trascendente.

I miti sono idee che ci possiedono e ci governano con mezzi psicologici e quindi si radicano nel profondo della nostra anima. Sono idee che abbiamo mitizzato perché non danno problemi, facilitano il giudizio, ci rassicurano. Non esiste cultura, antica o moderna, arcaica o civilizzata, che non possieda i suoi miti.

Nella sua riflessione l’autrice non parte dai miti antichi ma concentra il suo sguardo fotografico su quelli della società moderna. Una società in cui predomina la tecnologia, che divenuta motore trainante, favorisce l’affermarsi di un nuovo modo di concepire le relazioni. Una civiltà dell’immagine che, generando altre figure-guida nelle quali identificarsi, cambia le nostre valutazioni e propone nuovi sogni di realizzazione personale e collettiva.

Ma è nell’analisi del come, delle scelte tecnico-compositive e delle decisioni di quali modelli proporci che riusciamo a scorgere il perché delle foto stesse e del tema proposto dall’autrice.

Lei bianco-nerista convinta decide di lavorare a colori. Non il colore rivisitato, quasi reinventato, utilizzato nei lavori Genova Fantastica e nei Viraggi. Qui è un colore rafforzato, saturato nei rossi e nei blu, non solo per un valore estetico ma per esaltare la scelta poetica. Un evidenziare, come emettere un grido, forte, tipico della nostra società dell’apparenza.

Nell’inquadratura dalle prospettive ravvicinate che appiattiscono, cancellando le panoramiche, nella scelta di isolare particolari, i suoi miti escono fuori.

Con occhio indagatore li va a scovare nelle situazioni più inusuali, a volte assurde, spiritose, in qualche caso, ad una visione superficiale, irriverenti.

Oggi tutto è mitizzabile. Lo è il culto della perenne giovinezza e della moda, la rincorsa al potere e al successo, l’esaltazione eccessiva della tecnologia.

Il racconto si snoda e ci parla del mito del successo in tutte le sue sfaccettature: da Marilyn, diva per eccellenza, imprigionata nel personaggio costruitole addosso, erotico, frivolo e superficiale a Bogart, costretto nell’immagine da duro e al contempo appassionato.

E ancora Jean Deam e Jhon Lennon con storie e vicende diverse ma una fine tragica comune.

La genialità di Einstein non può mancare in un momento storico in cui la rivoluzione tecnologica gioca tanta parte nei capovolgimenti culturali.

Il potere è rappresentato da Mao, mito dell’estremismo politico, in contrapposizione a Papa Giovanni e il sogno di un potere della bontà e della fratellanza.

Ma è rappresentato anche il potere dell’Arte nella Monna Lisa di Leonardo. Vicina ai miti idealizzati dalla pubblicità, della corsa al benessere, come Coca Cola che si aggancia, ritratta in molte situazioni, per significare il potere del consumismo, che tutto pervade.

Una serie di immagini che Giuliana Traverso, come afferma Gianna Ciao, nella presentazione del volume, non propone ma contrappone, con un modo inconsueto. Solo seguendo attentamente il suo raccontare scopriamo che sta conducendoci in un percorso rovesciato.

Ricerca il mito, lo significa, pare esaltarlo ma lo colloca, attraverso la scelta compositiva, nella quotidianità. Ce lo mostra sui manifesti e in un asciugamano. Lo troviamo in uno straccio sbattuto, stampato su un maglietta, sul copri ruota di una bicicletta, sul bancone di un negozio o ancora disteso sull’asfalto.

E’ consapevole che i miti nascono da stereotipi a carattere positivo, ma attraverso il suo dire fotografico ha trovato il modo per avvicinarceli, farli sentire sullo stesso nostro piano. Ci vuol convincere che esiste un limite da non superare, il sogno di imitazione non li deve trasformare in valori assoluti abdicando in loro favore alla nostra individualità.

Orietta Bay
 
 
 
 

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2 commenti

  1. Per l’anno in cui è stata realizzata, il 1985, “Il Diametro del Mito” è un’opera molto innovativa che oggi non esiteremmo definirla concettuale, perché è il concetto del Mito che giustifica l’opera non altri aspetti, ad esempio quello formale. Ciò che è importante nelle immagini è il segno indicale, cioè il documento del reale, ma Giuliana Traverso a ogni scatto reinterpreta il soggetto per comunicare anche il contesto in cui vive il mito. Infatti cambiano le ottiche, le luci, i contrasti, e tutto questo concorre a comunicare l’atmosfera in cui il mito alimenta l’immaginario collettivo. Il gusto della Pop Art, probabilmente acquisito in America, ha indotto la Traverso alla necessità del cromatico ed a saturare i colori, per comunicarci lo sgarbo col quale la modernità si impone, diventando in tal modo emblema del mondo giovanile. Ricordo quando all’epoca vidi quest’opera, e mi sorprese la capacità della fotografa di svelare il mondo in cui vivevo, la sentii dotata di una capacità d’analisi superiore alla mia che riusciva a sfuggire alla medusazione del mito. Noi ci cullavamo in quei miti che davano il tono al nostro comportamento anticonformista, oggi invece capiamo che era l’inizio della società dei consumi, la quale di miti sì! si alimenta… ma per generare mercati e questo allora non lo sapevamo ancora.

  2. Mi piace molto il modo “di scrivere” che Giuliana Traverso ha usato in questo lavoro. Parliamo di fotografia quindi inevitabilmente di scrittura, se pure fatta con la luce. Tagli essenziali, studiati, solo in apparenza banali, che mettono in evidenza (a mio modo di vedere, s’intende) il desiderio dell’immortalità dell’uomo. Mi colpiscono queste parole di Orietta Bay : . E allora mi chiedo: l’uomo nel desiderio dell’assoluto rischia di vivere fuori da se stesso? Tutto diventa predominante, e la posizione dell’uomo di oggi qual’è? Domande che esigono risposte urgenti.
    Ecco, la fotografia può avere anche questo ruolo: la riflessione, affinchè la civiltà progredisca…

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