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Fotografie e immagini fotoprodotte – di Carlo Delli

FOTOGRAFIE E IMMAGINI FOTOPRODOTTE

Una proposta terminologica

La fotografia è parte importante delle nostre vite. Siamo diventati Homo sapiens con il bipedismo perfetto, la mano libera ci ha acceso la mente ma sono state poi le parole che ci hanno acceso la coscienza. È proprio il Verbo che ci ha creati! Le singole parole agiscono sul nostro pensiero ma hanno anche un grandissimo potere inconscio: ci condizionano e quindi il significato di una parola è essenziale. Cosa intendiamo allora per “fotografia”?

La fotografia ha importanza assoluta. È un’invenzione che divide la storia dell’umanità in un prima e un dopo. Il punto di partenza è che per fotografare qualcosa bisogna averlo davanti: i fotoni devono materialmente arrivare alla superficie fotosensibile partendo dal soggetto. Questo rapporto e la sua automaticità sono la novità della “fotografia”.

Secondo: il concetto di “rappresentazione” è sconosciuto a molti fotografi, cosa strana dato che la fotografia è rappresentazione della realtà tramite il linguaggio fotografico. Molti fotografi confondono “rappresentazione” con “riproduzione”: sbagliatissimo, è ovvio che una fotografia non sia realtà.

Ora, ogni prodotto dell’ingegno umano compie, nel momento in cui viene realizzato, un vero salto esistenziale: entra in un mondo proprio, interagendo con le persone: ne deriva una modificazione reciproca. Noi veniamo modificati, anche profondamente, dagli strumenti materiali ed intellettuali che usiamo. La fotografia ha un linguaggio ricchissimo di strumenti che possono essere usati in modi infiniti da personalità infinite con intenzioni infinite! Il fotografo può non solo documentare ma anche esprimere la sua personalità, può narrare e creare rimanendo dentro la “fotografia”, senza cioè alterare quello che ha registrato con la macchina fotografica.

“Alterare” è la terza parola chiave. Dopo lo scatto servono degli aggiustamenti, ma se l’idea dell’autore è di rimanere all’interno della “fotog rafia” le modifiche non devono rendere l’immagine “altro”, in qualcosa che non è più una fotografia; le modifiche devono far restare l’immagine come un indice di ciò che era davanti all’obiettivo.

Senza fotografia ci sarebbe un’altra storia dell’umanità e nessuno di noi sarebbe lo stesso. Le foto della Security Farm Administration documentarono durissime condizioni di lavoro e ciò indusse il Congresso degli Stati Uniti a modificare la legislazione sul lavoro e migliorare la vita di milioni di persone. Ma perché il Congresso lo fece? Perché quelle immagini rappresentavano la realtà! Quegli orrori erano realmente lì a impressionare la pellicola e per questo impressionano la nostra mente e il nostro animo!

Questo è storicamente e fattivamente il significato della parola “fotografia”, parola sacra che non voglio più pronunciare per immagini che “fotografia” non sono più. Come chiamare una immagine di derivazione fotografica ma successivamente alterata?

“Immagine fotografica” è spesso usato ma è troppo generale. Oggi si parla di “post-produzione” e quindi per le fotografie “alterate” possiamo usare l’espressione “immagine fotoprodotta” o fotoprodotto. Premesso con fermezza che hanno ambedue pari dignità, è molto importante distinguere anche verbalmente “fotografie” da “fotoprodotti”.

È facile distinguerli praticamente? Sì se l’intenzione dell’Autore è quello di palesare l’alterazione o se non è bravo a “fotoritoccare”. No se l’Autore ci vuole imbrogliare ed è un bravo ritoccatore. Ma ci saranno casi limite in cui il giudizio è aperto, e questo è lo stimolante campo dove si può discutere circa le nostre idee: sono i casi in cui l’Autore può sentirsi dentro i limiti della fotografia mentre per altri li ha superati.

È utile prendere atto della loro diversità? Sono preferenze personali: potete dire di no. Ma ci sono persone curiose di approfondire ciò che vedono: la fotografia rappresenta il mondo naturale e umano, documenta, ma può anche narrare o essere creativa pur senza alterazioni. Il fotoprodotto rappresenta invece l’Autore: questo è altrettanto importante e dignitoso, ma è un’altra cosa, e saperlo a me interessa molto. Ci sono fotoreporter licenziati per aver taroccato le fotografie: ci hanno mentito e per fortuna qualcuno pensa ancora che ciò sia detestabile.

La fotografia è stata alterata il giorno dopo la sua invenzione e i fotoprodotti sono una possibilità straordinaria di espressione. Ma le fotografie non dicono mai bugie!, siamo noi che possiamo interpretarle male e sono i fotografi che possono dire in mille modi bugie con i fotoprodotti ma anche con le stesse fotografie.

Così fotografie e fotoprodotti ci arricchiscono entrambi, ma sono molto diversi: le parole ci devono aiutare a non confonderli per non confondere il nostro mondo e le nostre vite.

carlodelli

Potete avere il testo completo, più lungo e articolato, su www.carlodelli.it nella sez. “Idee/articoli”

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12 commenti

  1. Il post di Carlo Delli ci presenta un altro aspetto della passione fotografica, quella filosofica. Carlo Delli è un affermato fotografo pisano che ha pubblicato diversi libri fotografici di pregio e che si esprime nell’ambito dell’arte contemporanea anche con altri linguaggi diversi dalla fotografia, è un artista molto attivo presente in mostre personali e collettive in diverse città italiane; per tutto questo è una figura sicuramente da conoscere in profondità.
    Con questo post egli affronta il problema di distinguere con nomi specifici i diversi linguaggi che nascono dalla fotografia ma che non sono più riconducibili allo statuto originario della fotografia. E’ un tema che abbiamo già presentato in Agorà Di Cult nel 2012, ma è del tutto lecito e giusto che ognuno porti il proprio contributo a questo dibattito che anch’io ritengo molto serio. E’ proprio questa urgenza di uscire dall’indistinto, in cui le tecniche digitali ci hanno condotto, che è segno di passione fotografica, perché non si rimane indifferenti ai temi che ci stanno a cuore. Grazie a Carlo Delli per il suo contributo!

  2. Interessante articolo, da appassionato di scienze quale sono, ( oltre che di arte e di fotografia ), mi viene da sostenere che il bipedismo della nostra specie esiste da ben 4 milioni di anni, ma l’homo sapiens-sapiens ( e non il sapiens come invece si scrive ) che siamo noi nei fatti, esiste solo da circa 50.000 anni. Ed esistono tantissime altre specie di animali che hanno gli arti superiori liberi ma che non si sono mai evoluti verso entità tecnologicamente civilizzate. La nostra particolarità evolutiva è stato prettamente lo sviluppo costante del cervello verso l’uso di comportamenti sempre più arguti, intuitivi ed astuti x così dire. Questo per sopperire alle nostre evidenti minori capacità fisiche nei confronti degli animali, abbiamo sempre opposto di più l’uso del cervello che della forza.
    Complice anche l’aver sviluppato nel tempo un cervello in proporzione più grande degli altri animali. Altri animali come i delfini per esempio, che hanno cervelli grandi e sviluppati, hanno dei comportamenti estremamente intelligenti. X non parlare degli scimpanzè, nostri cugini dal punto di vista genetico.
    Quindi paradossalmente, degli esseri come noi più deboli sono diventati i dominatori del mondo. Ed il bipedismo si è perfezionato per altri motivi, principalmente di tipo sessuale ( posture emotive con il partner, perdita dell’estro femminile ed altro ), il che ha favorito sempre di più la promozione genetica della nostra specie. Venendo alla fotografia, dalla mia ancor breve esperienza io dividerei lo scrivere con la luce in tre categorie: quella di reportage-giornalistico, quella comunicativa e quella espressiva. La prima si isola più nettamente, in quanto il fotografo che vuol far vedere delle realtà con degli scopi ben precisi, non deve permettersi di mentire. Per ragioni ovvie, le altre due categorie si possono anche unire analizzando caso per caso, artista per artista, chi intende la fotografia per comunicare dei concetti o la sua idea del mondo, può anche lavorare molto in “post”. Chiaramente si fanno i distinguo del caso, ci sono lavori che stravolgono totalmente ad arte il fotogramma originale, mentre ci sono fotografi che tentano di interpretare sul luogo, cercando di ritoccare il meno possibile la cattura, e sono per me i più interessanti. Nel caso della fotografia fatta per comunicare può essere giusto che il fine giustifica i mezzi. La fotografia certo che può mentire, un soggetto che significa A dal vero può diventare significato Z se il fotografo è bravo ad usare il soggetto con le dovute contestualizzazioni ambientali. Esempi eccellenti nel genere street, ma anche i paesaggi di Giacomelli ce lo insegnano. Riguardo l’immagine “naif” di vaga provinciale ispirazione a De Chirico, a me sembra un incollaggio mal riuscito, senza un idea concettuale almeno originale di fondo, dai colori e stile sufficientemente infantili, la classica immagine che dura solo qualche secondo perchè dall’immediata incomunicabilità visiva.

  3. Leggo su Wikipedia (ma potrei leggerlo altrove, perché l’italiano è italiano):
    – “Rappresentazione, sinonimo di spettacolo teatrale”
    Ora, lo spettacolo teatrale non è realtà ma cerca di raccontare la realtà magari anche utilizzando l’immaginazione.
    – “Rappresentazione, immagine pittorica o scultorea”
    Quindi fotografia è quello che viene inventato, di sana pianta, come la pittura e la scultura. Altro che realtà!
    – “Rappresentazione è un’immagine mentale, comunque distinta dall’immagine mnestica (ricordo), un’idea, un pensiero che compaia nella mente di un soggetto.
    Come in un film. La realtà è creata ex novo davanti alla macchina da presa.
    – “Rappresentazione sociale, con cui si esprimono la “costruzione” di un oggetto sociale, modificabile e reinterpretabile da parte di una comunità”.
    Quindi tantissimi aspetti della fotografia classica non sono fotografia. Anzi, diciamo pure, quasi nulla lo è.
    – “Rappresentazione in matematica, associazione ad una entità o a una struttura tendenzialmente astratta di un oggetto più specifico avente lo stesso comportamento formale (v. omomorfismo), essenzialmente per riuscire a sviluppare calcoli effettivi. In particolare si studiano le rappresentazioni dei gruppi, dei gruppi di Lie, delle algebre associative, delle algebre di Lie, delle superalgebre”.
    Quindi il digitale che utilizza un algoritmo matematico per gestire i gruppi di dati per la lettura e la memorizzazione è sicuramente fotografia, anche se la “reltà” dovesse venirvi elaborata come, per due secoli, in camera oscura.
    – “Rappresentazione della conoscenza, branca dell’intelligenza artificiale che si occupa dei modi per formalizzare la rappresentazione dell’esperienza umana in modo da renderla oggetto di ragionamento automatico”
    Anche i robot filosofi sono realtà vivente.
    Rappresentazione, l’istituto previsto al Capo IV del Codice Civile italiano (artt. 467 e seguenti) in base al quale i discendenti legittimi o naturali subentrano nell’eredità al loro ascendente, in tutti i casi in cui questo non possa o non voglia accettare l’eredità o il legato.
    La fotografia digitale, in quanto discendente di quella analogica, subentra a tutti gli effetti, in toto, senza esclusioni, nell’eredità del nome “fotografia”; anche se il digitale vuole staccarsi dalla ormai scomoda parente.
    Purtroppo Daguerre, Talbot ecc., per pubblicizzare la fotografia distinguendola dalla pittura, hanno avuto l’ insulsa idea di usare il termine “rappresentazione della realtà” per i primi vagiti della fotografia. Pagheremo questa scelta almeno per un’altra generazione di fotografi.
    Se la fotografia nascesse oggi, sarebbe a colori, tridimensionale e con audio. Mentre il B/N bidimensionale analogico sarebbe considerato, giustamente direi, una travisazione fotochimica, quindi inquinante, disgustosamente piatta della realtà.
    Inoltre, se si ammette che esistono una realtà a colori (evidente, colorata e tridimensionale davanti ai nostri occhi) ed una in B/N sul cartoncino piano fotografico si è già accettato che di realtà ne possono esistere più di una, quindi infinite. Il che pare un po’ eccessivo.
    Stranamente, nei tribunali, dove si ricerca la rappresentazione della realtà, la fotografia è da tempo immemorabile considerata una prova non primaria, non esaustiva se non accompagnata da altra prova e perfino non accettata dal soggetto fotografato.
    Evidentemente la realtà dei tribunali e quella dei fotografi sono anch’esse diverse. E siamo già a tre realtà.
    In realtà ,il fotografo “cerca”, quando è possibile, quando l’ha percepita almeno avvicinandosi ad essa, quando la sua cultura, intelligenza, capacità fotografica glielo consentono, di riprodurre una qualche verosomiglianza, della realtà. La percezione del fotografo, non a caso, è sempre quella rappresentata nel “mito della caverna” di Platone.
    Per chi volesse documentarsi sulla realtà fotografica, consiglierei le seguenti letture:
    – Nove articoli numerati da uno a nove cui è possibile accedere dalla pagina
    http://www.co-mag.net/it/?s=fotografia+e+verit%C3%A0&lang=it
    – il libro di Michele Smargiassi: “Un’autentica bugia – La fotografia, il vero, il falso” – Editrice Contrasto

  4. Buongiorno,
    Quest’articolo è decisamente interessante e solleva tante domande che ogni fotografo si chiede per forza un giorno o l’altro. Direi che inizia un dibattito che oggi non è assolutamente chiuso.
    Concordo pienamente con Carlo Delli sul fatto che la fotografia è nel cuore di un processo di civilizzazione e che il suo uso si ritrova in ambiti molto larghi della nostra vita : oggi, la finalità della fotografia è per “immortalare” momenti affettivi (ricordi di compleanno, matrimoni, vacanze, ecc…), ha uno scopro storico (testimonianza), giornalistico, pubblicitario, pratico (dobbiamo anche pensare alle fotografie di identità, scientifiche, per la polizia, ecc,…) e artistico.
    Penso che è precisamente per quello che la classificazione è tanto difficile.
    Ma al di là, e con tutto il sincero rispetto che devo all’autore, penso che dobbiamo distinguere “il reale” dalla “realtà”. L’autore sembra considerare che sono 2 concetti uguali e che la fotografia ha un rapporto diretto con questo “reale”. Ma il reale, non possiamo vederlo in se. A partire del momento che l’osserviamo, cambiamo il suo stato e diventa “realtà”. I grandi filosofici e scientifici si accordano quasi tutti su questa idea. La fotografia non può rappresentare la natura fondamentale di quello che c’è perché dipende sempre dal punto di vista, sia fisico sia psicologico.
    Di più, dal punto di vista di “ante-produzione”, noi fotografi sappiamo che alteriamo fisicamente quello che c’è secondo il tipo di materiale che usiamo, le impostazioni tecniche che scegliamo (siamo in grado di fare sparire delle cose della scena sovra-esponando o il contrario, usando un tempo lungo, ecc…), il tipo di materiale sensibile per ricevere l’immagine : analogico o digitale (sappiamo che ci sono differenze fra le diverse marche, lo sviluppo delle applicazioni tipo “instagram”) , in colore, in b&n, ecc… Alteriamo anche “psicologicamente” quello che c’è : spesso anticipiamo, anche in un instante brevissimo, quello che vogliamo scattare (aspettiamo questo famoso “instante decisivo”), cambiamo il nostro punto di vista per esaltare quello che vogliamo o al contrario per nascondere delle cose (inquadratura, composizione). C’è una sorta di pre-visualizzazione della foto. Per tutte queste ragione, penso che la fotografia è precisamente una sorta di de-costruzione della realtà !
    Di questo punto mi sembra molto difficile di fare un distinguo fra la pre-produzione e la post-produzione e sinceramente, non capisco perché dobbiamo distinguere le 2 cose e a cosa serve. Quello che è importante è il messaggio del fotografo, e la sua sincerità. Non possiamo ignorare che la fotografia artistica (usando fotomontaggi o no) è un testimone della condizione umana, come la fotografia di “reportage” è un testimone. Il tipo di linguaggio è diverso ma il messaggio è lo stesso.
    Poi, naturalmente, nel caso del reportage, è al fotografo di non dare confusione allo spettatore. È come per un scrittore, dobbiamo sapere se la sua storia è un romanzo o un libro giornalistico o storico.
    Per concludere questo lungo commento (e mi scuso per tutti gli errori di italiano !!) sono convita che sullo sfondo raccontiamo alla fine sempre “bugie” perché non è possibile di fare altro : non è possibile di ridurre lo spazio-tempo in 4 dimensioni allo spazio in 2 dimensioni dell’immagine.

  5. La fotografia non è altro che il nostro taglio geometrico e temporale sulla realtà. Quelli del fotoreporter nei territori occupati sono tagli che assemblati agli altri fatti nello stesso contesto pretendono di descrivere i fatti per come sono avvenuti. Cercando un tipo di narrazione visiva utilizzando anche elementi storici o letterari di riferimento. Poi, ahimè, anche in questi frangenti c’è chi falsifica per vari motivi, nobili o meschini che siano. Di questo nostro taglio sulla realtà noi possiamo farne quello che vogliamo, il classico ritrattino al mare degli amici in posa “cheesee” non lo possiamo certo classificare nella fotografia artistica, nella maggior parte dei casi è solo fonte di ricordi che rinnoveremo l’anno successivo. Ma immaginiamo che quei ragazzi dopo lo scatto muoiano tutti o qualcuno in un incidente stradale, l’immagine assume un peso qualitativamente maggiore. Attorno a loro cominciano a partire le loro singole storie ed una foto banale diventa importante, comunicativa. Tutto attorno al nostro taglio c’è tutta la realtà di quel momento, che noi ovviamente non possiamo registrare. Quindi dobbiamo sempre fare in modo di far funzionare il nostro bel quadro. Il rapporto tra descrizione oggettiva ed interpretazione personale si manifesta sempre, è una dualità esistenziale, e noi scegliamo cosa fare. Se io fotografo da lontano una piazza con tanta gente che si muove in tutte le direzioni possibili, per me si muovono a caso ed in modo imprevedibile. Ma se dovessi analizzare ed interessarmi ai singoli capirei che invece i loro movimenti sono razionali e guidati da un senso ed una logica. Caos e cognizione convivono sempre. Il punto di vista è sempre relativo, lo stesso punto di inquadratura utilizzato da due fotografi differenti può produrre immagini differenti per scelta di esposizione, angolazione, tempi o profondità di campo. La realtà noi la rivediamo mettendoci in relazione sempre con noi stessi, facendoci ispirare dai nostri modelli formali ed estetici, cercando poi di fare cose nostre. Con la libertà poi di dire cosa ci convince o meno in fatto di fotografia, e facciamo esperienze, si cambia anche idea, e con il tempo si sviluppa o delinea il nostro percorso.
    La realtà per quella che è, che è stata, che era o che fosse resterà solo una mera congettura, dal momento che è impossibile fermarla ed individuarla davvero. La realtà felice che noi vediamo di una classica composizione di un matrimonio eviterà di farci vedere il tutto che successe, come, x esempio, alcune incomprensioni tra nuora e suocera. Come il celebre bacio-provocazione della manifestante anti-Tav al poliziotto con il casco, vedendo quella composizione si pensa ad un bacio tra innamorati ed invece era tutt’altro ! Dobbiamo farci sempre una nostra morale ( il cielo stellato sopra di noi, la morale dentro di noi ), e non nel senso conservatore del termine. Possiamo essere seri ed affidabili, ma possiamo anche giocare, scherzare, anche mentire ( evitando chiaramente di offendere), sempre a patto, però, di avere delle cose interessanti da dire. Con la luce. E poi, e poi le immagini, come tutte le cose del resto, subiranno il “travaglio” del tempo, e quello che è oggi, forse, non può più essere domani.

  6. A coloro che si accostano alla fotografia predichiamo di recuperare, l’ormai smarrita, lentezza dello sguardo.
    Anche nella lettura dovremmo riscoprire questa virtù per evitare che scritti come quelli di Carlo Delli possano essere, parzialmente,travisati.
    Il Delli, invita a leggere compiutamente le sue riflessioni sul suo sito, dove ogni concetto qui espresso in forma sintetica ha la sua giusta dimensione e opportunità, al fine di evitare alcune risposte, leggermente, “fuori tema”.
    Non voglio perdermi in dissertazioni su analogico e digitale, su icone e indici! ma dare il mio contributo con questo scritto.
    “Le nostre Arti Belle sono state istituite, e il loro tipo e il loro uso sono stati fissati in un’epoca ben distinta dalla nostra e da uomini il cui potere d’azione sulle cose era insignificante rispetto a quello di cui noi disponiamo. Ma lo stupefacente aumento dei nostri mezzi, la loro duttilità e la loro precisione, le idee e le abitudini che essi introducono garantiscono cambiamenti imminenti e molto profondi nell’antica industria del Bello. In tutte le arti si dà una parte fisica che non può più venir considerata e trattata come un tempo, e che non può più venir sottratta agli interventi della conoscenza e della potenza moderne. Né la materia né lo spazio, né il tempo non sono più, da vent’anni in qua, ciò che erano da sempre. C’é da aspettarsi che novità di una simile portata trasformino tutta la tecnica artistica, e che agiscano sulla stessa invenzione, fino magari a modificare meravigliosamente la nozione stessa dell’arte”.
    Paul Valery
    Pieces sur l’art
    La conquete de l’ubiquitè (Paris)
    Roberto Evangelisti

  7. Modestamente non capisco perchè ci sia bisogno di una parola nuova per auspicare un uso onesto delle immagini. Che la fotografia sia menzogna in senso ontologico mi pare sia già stato digerito da un po’, che sia la rappresentazione visiva di diverse teorie chimico/fisiche concettuali e prospettiche pure. Il problema che pone il Delli non mi pare si risolva su di un terreno terminologico dove lui tenta di portare la questione, soprattutto se a fronte di una parola nuova non fa capolino alcun concetto nuovo, ma solo una riflessione personale su di un problema che rimane aperto e che si affronta ponendosi in modo critico e problematico di fronte alle fotografie e alle immagini e che non sarà mai risolto per la natura stessa del mezzo. Saluti

    1. Buongiorno Mario!
      Mi dispiace non essere riuscito a farle capire l’importanza delle parole né qual è la differenza tra fotografie e fotoprodotti… a meno che non abbia almeno letto l’articolo intero come indicato alla fine del mio post, se non lo ha fatto la prego di trovare il tempo. A me queste cose servono -ovviamente non da sole- per essere sereno e sapere qual è lo scopo positivo della mia vita, per questo cerco di condividerle.
      Grazie del commento e Buona vita!
      carlodelli

      1. Buongiorno Carlo,
        lei è riuscito benissimo a farmi capire e il problema di fondo dal quale è stato stimolato, ma mi pare che sia stia sbagliato mira. L’unico problema che rimane sul campo dopo il suo ragionamento è quello riconducibile all’etica dei fotografi e alla loro onesta intellettuale, soprattutto in certi ambiti come il fotogiornalismo. Le immagini che derivano da fotografie si possono battezzare in molti modi non mi pare il problema centrale. Prendere le fotografie con una macchina è sempre una astrazione, digitale ed analogico in questo non c’entrano, c’entra il risultato onesto, chiaro, e solido concettualmente che dell’immagine presa si fa. Siamo solo funzionari (per citare Flusser), basta esserne consapevoli.
        Non è possibile inviare commenti anonimi pertanto se non ci verrà comunicato il nome verrà cancellato.

  8. Non dobbiamo legarci alle definizioni. Disegno con la luce (o “disegno con le ombre”, se siamo in Cina), rappresentazione del reale.
    Queste non hanno significato e non sono condizionanti, perché contestabili facilmente. Inoltre esse ammetterebbe l’analogico solo fino all’immagine latente; ma lo sviluppo e la stampa no.
    E bisogna ricordare che ogni trucco è nato in analogico.
    Al contrario, ci sono ben più fondate considerazioni filosofiche e tecniche che è necessario approfondire.
    Se la fotografia nascesse oggi sarebbe certamente virtuale, a colori, tridimensionale e con audio.
    Il B/N e l’analogico, essendo basati su reazioni chimiche, sarebbero considerati falsi ed inquinanti.
    Ma la realtà è a colori ed ha 4 dimensioni. Il B/N è monocromatico e bidimensionale.
    La FINE ART di camera oscura, basata sul sistema zonale di Ansel Adams, altera gli annerimenti in fase stampa, quindi la psicologia ed i significati stessi della scena. La DIA richiede una “post produzione” ottica e chimica complessa e critica; non è dunque fotografia.
    Se la fotografia è rappresentazione (teatrale ?) del reale, cioè peggio di un fotofax, la fotografia non è arte. Mettiamoci il cuore in pace, una volta per tutte, sapendo che continueremo a copiare o fotofaxare i soliti soggetti con le solite tecniche per i prossimi mille anni.
    Il fotografo al più, della realtà, “cerca” di ottenere una “verosimiglianza”. Perché la percezione umana è filosoficamente quella dal “mito della caverna” di Platone: l’uomo vede solo le ombre proiettate sul muro dalla luce di una fiaccola (un procedimento fotografico dunque).
    Al contrario, l’orma intonsa e nitida di una mattarellata della moglie sulla testa del marito e l’abbronzatura che annerisce la pelle esposta o non esposta al sole sarebbero fotografie a tutti gli effetti, perché l’una è orma o impronta (tridimensionale e dolorosa) del reale e l’altra è disegno con la luce.
    Ma voi la scegliereste una moglie o un marito per fotografia?
    Altro che realtà, dunque.
    Per chi volesse documentarsi sulla realtà fotografica consiglio le seguenti letture:
    – Otto splendidi articoli di Fabiano Busdraghi, tecnicamente e storicamente documentati, tecnica per tecnica, dalle origini della fotografia ad oggi, nella pagina:
    http://www.co-mag.net/it/?s=fotografia+e+verit%C3%A0&lang=it
    – Per un approccio più divulgativo consiglio il libro di Michele Smargiassi: “Un’autentica bugia – La fotografia, il vero, il falso” – Editrice Contrasto
    Antonino Tutolo

  9. Quello che Carlo Delli ha esposto nel suo articolo è sicuramente un argomento difficile e l’avvento della fotografia digitale, specialmente ad alto livello, ha decisamente incrementato la complessità della sua analisi. In questo articolo si sente il bisogno di dare delle definizioni ben distinte a “discipline” o “risultati” che possono essere apparentemente coincidenti ma che in realtà non lo sono affatto. Trovo utile e stimolante la parte relativa alla terza parola ‘alterare’, oggetto che non dipende dal mezzo utilizzato per l’alterazione ma dal problema di natura etica che si deve porre l’autore dell’immagine.

  10. Leggendo questo post mi sono subito chiesta: (più o meno capace, questo è chiaro, ma prendiamo in considerazione solo il termine). Ci ho dovuto ragionare sopra per un po’ (perché considero la fotografia un mezzo di espressione e l’idea di chiamare le mie foto “fotoprodotti” mi ha un po’ sconcertato), poi mi sono andata a leggere l’intero articolo. Ho dovuto prendere in considerazione due dati: uno oggettivo, che cosa si intende per fotografia, e uno soggettivo, che cosa è la fotografia per me. Nel primo caso, andando all’origine del significato,scrivere con la luce, cioè la capacità di “rappresentare” la realtà attraverso uno strumento che partendo da un dato reale,come si è ampiamente dibattuto, ci da un’immagine verosimile al reale (e questo ora vale per i telefonini, i tablet,ecc)
    Già letti Barthes,Marra,Smargiassi, e più in accordo con Mormorio, a me pare che in fondo è dai primi del novecento che “stiamo ancora a discutere più della salsa che dell’arrosto”, più sulla terminologia che della portata della fotografia.
    Anche Chiara Fersini parte da un dato reale: i suoi autoritratti (https://fiaf.net/agoradicult/2013/06/18/chiara-fersini-di-giancarla-lorenzini/ ), ma il risultato è surreale, ma non per la manipolazione ma per il significato che vuole attribuire alle sue creazioni.
    E allora i dipinti di Luciano Ventrone? Sembrano più reali di una fotografia , come si fa a definirli “simbolo” della realtà. Queste distinzioni mi sembrano ormai superate, la guerra tra pittura e fotografia ormai non ha più senso. Sono d’accordo con quanto scrive Giorgio Rigon: .
    E poi in fotografia di quale “fedeltà” al reale parliamo? Sappiamo bene che, come è stato detto negli altri interventi, la visione cambia cambiando il punto di vista (una lucertola potrebbe sembrare un dinosauro! ma i dinosauri ormai si sono estinti e non esistono più). Piuttosto il problema è la lealtà del fotografo, di come ci “informa” circa le sue fotografie, ed è giusto che i fotoreporter che avevano taroccato le fotografie pubblicate sul Times o sul National Geographic siano stati licenziati, perché essi dovevano assolvere al solo compito di documentare. In conclusione, tornando al mio secondo dato, quello soggettivo, credo che si possa parlare semmai di “fotografia di genere” (termine tanto di moda!), ognuno con le sue specificità e le sue qualità; cercare di classificare la fotografia mi sembra uno sterile esercizio, è come voler imbrigliare un pensiero! Grazie ad Antonio tutolo per il riferimento molto interessante http://www.co-mag.net/it/?s=fotografia+e+verit%C3%A0&lang=it per allargare la visuale in orizzonti diversi. E’ il mio modesto punto di vista tra tanti dotti, ma ammiro Carlo Delli per i suoi straordinari lavori.

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