Quel che rimane del Circo Ardisson – di Giuseppe Di Padova
QUEL CHE RIMANE DEL CIRCO ARDISSON – di Giuseppe Di Padova
Le origini della famiglia Ardizzone risalgono alla seconda metà dell’ottocento.
Tra i personaggi più rappresentativi c’ è Giovanni Ardizzone, ottimo clown premiato dall’ AGIS come miglior artista circense, conosciuto come Giovannino.
Nell’ aprile del 2000 a Scampitella il circo Ardisson subisce una pesante aggressione da parte di una banda giovanile del paese, che condiziona fortemente l’attività della famiglia.
In seguito all’ accaduto la famiglia Ardizzone si divide, alcuni fratelli continuano ad esercitare l’ arte circense lavorando presso altri circhi, mentre Vittorio, con la moglie Gladis Bellia e i figli Manuel, Eric e Vittoria, continuano a lavorare in famiglia mantenendo il nome Ardisson con uno spettacolo all’ aperto spostandosi in varie località dell’Abruzzo, Molise, Puglia e Calabria.
Mi hanno concesso la possibilità di vivere una giornata con loro per fotografarli.
Sono rimasto sorpreso dalla serenità e dalla normalità con cui affrontano la vita pur non avendo nulla di apparentemente stabile che li leghi ad un luogo , e nonostante l’ incertezza economica in cui vivono.
“Quel che rimane del Circo Ardisson” di Giuseppe Di Padova è un’opera animata da un’idea narrativa tematica per l‘ interpretazione soggettiva in essa espressa dall’autore.
Stiamo attraversando tanti diversi immaginari collettivi per capire come questa parte comune della nostra impostazione mentale influenzi il comportamento e quindi la nostra vita.
Il clima crepuscolare del Circo Ardisson, che Giuseppe di Padova ha rappresentato con la sua opera, è un bel tema affrontato con profondità. E’ di profondità perché comunica il significato di realtà silenziose che oggi non sono più di tendenza, perché il mondo simbolico del Circo si è indebolito a tal punto da non essere più un mito ma un’eco del passato.
Infatti il racconto non è incentrato nello spettacolo ma nel sogno che ancora la famiglia Ardizzone vive come un’eredità di grande valore morale.
La decostruzione che l’autore compie sullo spazio di questo circo porta alla nostra coscienza i segni dei valori che animano questi circensi.
Ci sono mostrati i miti del passato e i valori del presente, tutti rivolti al talento espresso col corpo che cerca di accendere l’immaginazione del pubblico con le performance.
E’ interessante la sequenza temporale del racconto, dal mattino alla sera, perché si avverte la fiducia data dalla famiglia Ardizzone al fotografo nel mostrare anche le proprie fragilità e gli ancor vivi affetti verso chi in passato prima di loro ha generato il mito del Circo Ardisson. Complimenti vivissimi all’autore.
Tempo fa mi sono divertito a scrivere un soggetto sulla fuga dal circo di una giovane trapezista Ungherese con un uomo di 20 anni più di lei, benestante, soddisfatto della sua professione di fotografo già affermato, ma però solo.
Una mia spensierata citazione anche se solo parziale ad un film di Wenders, Il Cielo Sopra Berlino. Ma non sono certo uno scrittore, le immagini del reportage suscitano almeno in me come prima sensazione tanta pietà. Hanno ancora senso le “situazioni” circensi ? Forse solo al livello del Cirque du Soleil o quello della principessa Carolina nella Cote d’Azur, ai girovaghi di fortuna, ( oltre ad essere un soggetto fotografico iper sfruttato ), auguro un giusto riscatto, ahimè con la nostalgia dei bei vecchi tempi andati non si mangia !
Gianni Quaresima esprime un pensiero libero e personale circa il sentimento di “pietà” verso le persone protagoniste di questo reportage, e si interroga sulla opportunità di vivere una vita di sacrifici e stenti, quale può essere quella vissuta all’interno di un circo piccolo. A parte l’annosa questione dello sfruttamento degli animali che mi vede d’accordo con quanti la rifiutano, io trovo in queste foto, che narrano la giornata di un piccolo circo, una poesia ed un’umanità magari inesistenti in tutte quelle spettacolari, mastodontiche organizzazioni circensi citate dal Quaresima. Dovremmo, forse, seguire questi grandi esempi di coraggio per riscoprire la vera essenza dell’esistere che non passa attraverso il profitto copioso, ma nell’essere ciò che si è anche nella frugalità. In fondo ci basta veramente poco per vivere, specie a queste latitudini. Grandi complimenti, infine, a Di Padova, che riesce sempre a cogliere l’anima dei suoi soggetti, dimostrando un’empatia che negli anni si affina, capace di sintonizzarsi con le diverse umanità rendendole all’osservatore per quello che sono: VITA. Cordialità!
Il circo è un mestiere che si eredita molto probabilmente dalla famiglia , è un mondo che affascina per il senso di libertà che rappresenta , è una organizzazione con regole che la rende indipendente da tutto e da tutti: un vero e proprio paese viaggiante, una condivisione fra talenti artistici , e della fantasia.
Il circense è soprattutto uno stile di vita . Non solo i fotografi si avvicinano a questo tema, pensiamo alla letteratura e soprattutto alla cinematografia.
Lo stesso Fellini nel documentario “ I clown” , coinvolgendo i grandi artisti e proprietari del circo Orfei intraprende un lungo viaggio nei suoi ricordi al tempo in cui era un bimbo che amava il circo.
Attraverso un viaggio nostalgico il regista proporrà tutti gli aspetti della vita di questi uomini buffi e malinconici allo stesso tempo.
Il portfolio è ben eseguito a mio parere , il fotografo ha documentato aspetti di questa famiglia che sono i ricordi, l’orgoglio di appartenenza , il piacere di raccontarsi , la gioia di fare ridere .
Paola says:
“una poesia ed un’umanità magari inesistenti in tutte quelle spettacolari, mastodontiche organizzazioni circensi citate dal Quaresima”
Son daccordo 🙂 infatti non mi piace nemmeno il circo di Montecarlo, ma ne ho viste tante di queste narrazioni fotografiche che tendono, tuttavia, a declinare verso un certo sapore moralistico, a sfruttare certi meccanismi emotivi a dir vero, un pò scontati. Non mi si prenda come un insensibile, ma c’è dell’altro di molto più interessante da fare avec la Photographie, in questi casi alla fine viene sempre da pensare che il fotografo sia una sorta di “opportunista” che non si lascia perdere l’occasione.
Sono stato in bilico se rispondere o no al sig.Quaresima,perchè non è il mio forte esprimermi con la scrittura, ma preferisco far parlare le mie immagini. Vorrei iniziare con farle una domanda, cosa ne pensa di tutti quei fotografi che continuano a fotografare l’India, i paesi dell’ est europa L’africa ecc…? sono tutti opportunisti? ci propongono tutti lavori gia visti? Tutto è stato fotografato. Il suo ragionamento lo potrei accettare se tutti copiassimo ad altri che ci hanno preceduto, ma penso che ognuno di noi fotografa e si approccia a raccontare col proprio occhio, la propria sensibilità, e la propria esperienza. Non ho mai pensato in cuor mio di sfruttare queste narrazioni per sfruttare certi meccanismi emotivi per chissà quale scopo. Piuttosto pensi che intorno a noi ci sono situazioni davvero drammatiche che facciamo del tutto o finta di dimenticare, ci nascondiamo presentando agli altri spettacoli come il Cirque du Soleil trasmessi in televisione ecc. ecc.Mi creda la vera vita circense è quella che ho provato a raccontare, fatta di orgoglio per il proprio mestiere,di tanto lavoro ma sopratutto di tanta dignità. Di solito cerco di raccontare lasciando agli altri l’ interpretazione, io mi limito a documentare ciò che è la realtà cercando di restare il più obiettivo possibile. La voglio invitare a passare una giornata con loro, saranno così bravi da offrirci anche un pasto, e da mettersi a disposizione trattandoci con una gentilezza d’ animo e un rispetto che probabilmente non esistono più, poi la sera ne riparliamo e vedrà che forse non è giusto dimenticarli o considerarli figli di un passato nostalgico, ma sopratutto non hanno bisogno della nostra pietà.Loro sono nati e vivono come da sempre fanno e come da generazioni fanno e “lo spettacolo continuerà a qualsiasi costo” la ringrazio come ringrazio tutti coloro che hanno visto e parlato di questo mio lavoro.
E’ a mio avviso un punto di forza autoriale quello di saper presentare un lavoro con un tema già affrontato da altri in modo nuovo, scegliendo un poetica personale guidata dall’idea di partenza e dalla decisione di come e perché raccontare fotograficamente
Un lavoro che ci fa sentire, riflettendo sulla capacità di questi “Artisti di Strada” la forza della passione pér il proprio lavoro,
Orietta Bay
Il termine “circo” nell’immaginario collettivo è connesso a stereotipi fuorvianti legati a immagini di lustrini, bestie feroci, allegria e fascino dove tutto si svolge in un fluire spontaneo, naturale e privo di fatica. Insomma, maschere.
L’autore è andato oltre questo universo inventato, e senza compiacere nè compiacersi ci ha offerto un affresco della vita sotto il tendone, tra le roulottes, svela i riti quotidiani, mostra la fatica e ci fà intuire aspettative e delusioni, con molto disincanto.
Vero è che l’autore infrange l’ invisibile parete del mondo della finzione e mostra una realtà amara anche se dignitosa, ma lo fà con grande partecipazione emotiva e umanità, perchè quest’arte è una metafora della vita e l’essere acrobata o pagliaccio non è un abito di cui spogliarsi al termine dello spettacolo, ma un tutt’uno con la vita stessa .
Complimenti !