HIROYUKI MASUYAMA: il sublime inganno – di Massimo Pascutti
HIROYUKI MASUYAMA: il sublime inganno
di Massimo Pascutti
Le foto di Masuyama, possono sembrare a prima vista delle semplici riproduzioni dei dipinti e degli acquerelli di William Turner, il grande artista inglese vissuto a cavallo fra il ‘700 e l’800. In realtà ad una più attenta analisi, ci si accorge che si tratta di un sofisticato lavoro di montaggio di centinaia e centinaia di immagini che Hiroyuki ha scattato ripercorrendo le tappe del viaggio di Turner da Londra a Venezia: una sorta di raccolta di appunti visivi che vengono poi rimontati con un’operazione di postproduzione complicatissima e raffinatissima, che restituisce, grazie anche alla presentazione finale delle opere sotto forma di light-box, tutta la luminosità e la sconvolgente modernità delle opere di Turner.
Come detto sono centinaia e centinaia di fotografie ( l’autore è arrivato ad assemblare anche 600-700 foto) di edifici, muri, gruppi di persone, che ci restituiscono in una sorta di continuum perfettamente equilibrato, la sua personalissima interpretazione delle opere d’arte del maestro inglese, superando in tal modo la dimensione documentaria della fotografia e abbattendo lo spazio temporale.
Hiroyuki Masuyama, nasce a Tsukuba, Giappone, nel 1968. Vive e lavora a Dusseldorf
Massimo Pascutti, ha caratterizzato in questi anni il suo contributo in Agorà Di Cult con la proposta di autori che spingono la loro ricerca oltre il prevedibile verso l'”improbabile” ( vedi PhotoSpot “L’improbabile” in archivio Agorà Di Cult).
Con quest’opera di Hiroyuki Masuyama si entra in un linguaggio già perseguito con la tecnica analogica, dagli autori sperimentatori( esempio Nino Migliori), ma che con il digitale acquisisce nuovo senso sia filosofico che iconico.
La struttura dell’immagine si presenta sia con l’utilizzo degli archetipi della rappresentazione e sia con il loro annullamento quando l’immagine diventa astratta (molto affine alla poetica in pittura dell’astrattismo espressionista).
Il senso filosofico è molto intrigante se pensiamo a questa intensa sedimentazione di scatti che sovrapponendosi generano a volte solo macchie di colori.
La lettura soggettiva che queste immagini stimolano in me è orientata verso il senso che ha l’elaborazione del vissuto in esse implicito: quando produce la forma riconoscibile l’immagine è posta al livello della percezione cosciente, mentre quando si compie nell’astratto mi immette nella dimensione inconscia della percezione delle cose promuovendo in me uno stato d’animo.
Ma se guardiamo dentro al rumore di fondo, l’inconscio è presente in ogni immagine espresso dentro all’equilibrio simbolico scelto dall’autore.
E’ chiaro che l’equilibrio simbolico è la leva espressiva dell’artista, in quanto gli consente di scegliere l’immagine prevalente che mai è posta per semplicemente rappresentarla ma bensì per celebrarla, dentro all’intreccio indistricabile delle emozioni del viaggio. Quanta capacità di esprimere la voce interiore serve per realizzare immagini come queste.
Grazie a Massimo Pascutti per la forte provocazione e la sensibilità che dimostra nel porsi in rapporto con le novità del linguaggio iconico che nasce dallo scatto fotografico.
Guardando queste immagini mi sono chiesta quale sia stata la reale ricerca di Hiroyuki Masumaya. Al primo impatto sembra una ricerca estetica che propone allo spettatore qualcosa di riconoscibile che lo possa compiacere proprio nel riconoscere il già conosciuto. Soffermandomi ho però visto segni dei nostri tempi, tracce della nostra contemporaneità, come per esempio nella 11, che mi hanno suggerito il fluire del tempo. Grazie a Massimo Pascutti per la pubblicazione di questo testo insieme all’uscita del film. Mi rimane però una certa perplessità: il risultato fotografico è indubbiamente piacevole ma mi pare una rivisitazione troppo aderente all’opera del grande maestro inglese. E’ pur vero che l’abbattimento dei limiti temporali e la diffusione seriale delle immagini è uno dei compiti della fotografia ed è interessante che un artista abbia messo gli occhi dove un grande maestro li aveva messi molto tempo prima di lui
Grazie a Massimo per questo post che ci orienta lo sguardo verso le diverse direzioni dell’espressione fotografica. Queste immagini, interessantissime, mi rimandano alle velature di colore usate in pittura, alla stratificazione di messaggi nel medesimo fotogramma, allo scopo di indirizzare chi guarda verso profondità insondabili che trovano la propria cassa di risonanza nella parte più nascosta del nostro subconscio; ognuno potrà così restituire la propria personale chiave di lettura dell’immagine che ha davanti.
Conosco William Turner in modo superficiale, da dilettante d’arte; ho visto qualche suo quadro in un museo e sono rimasta rapita dalle atmosfere sognanti e dalla “luce impressionista” dei suoi dipinti. Era chiamato il “pittore della luce” e mi affascina l’idea che uno “scrittore con la luce” abbia deciso di mettere quei dipinti al centro di un suo progetto fotografico, in un percorso di ricerca ed esaltazione dell’opera pittorica attraverso la fotografia.
Grazie a Massimo Pascutti per averci fatto conoscere Hiroyuki Masuyama e la sua sofisticata opera, a pochi giorni dall’uscita del film su William Turner
Barbara
Sono opere che mi richiamano alle mente i pittori del 700/800 inglese: il fascinoso e splendido Turner, Constable, Grimshaw, e, prima di loro, il francese Claude Lorrain cui si è ispirato Turner.
Dal punto di vista della pittura, quindi, questo modo di interpretare la realtà, soggettivandola in modo estremo, è un cammino artisticamente già percorso. Ma dal punto di vista fotografico mi fa un grandissimo piacere vedere finalmente una fotografia meno dettata all’imitazione del reale e più alla soggettivazione anche spinta.
Anche se queste opere di Masuhiama, da un piunto di vista concettuale, hanno un gusto sette/ottocentesco, le trovo molto interessanti; anche per studiare ogni possibile via che la fotografia del futuro potrà percorrere, svincolandosi dai pregiudizi; visto che, a mio modesto avviso, forse siamo rimasti un po’ troppo sulla fotografia quale “ritratto del reale”; della quale, a me pare, sia stato detto tutto e più di tutto; per cui continuiamo a seguire idee e vie già percorse da diverse generazioni; cadendo facilmente nel già visto e concepito.
Se la fotografia è Viaggio certamente questo di H.Masuhiama è un viaggio di meditazione e riflessione che partendo dai paesaggi di William Turner, caratterizzati da “una visione che rivela un dinamismo cosmico che sfugge al controllo della ragione ma che può rapire l’animo umano in estasi paradisiache o precipitarlo nello sgomanto” (C. Giulio Argan), ci presenta una realtà immaginata che cerca nell’interpretazione di arrivare a emozionarci. Quello che di reale appare è un aggancio per proseguire verso le sensazioni e il mistero della percezione dove tutto si combina e varia.
Grazie a Massimo per questo interessante approfondimento.
Orietta Bay
Talune immagini determinano il nostro punto di fuga.
Altre ci conducono verso un approdo di quiete.
Dove tutto ha avuto inizio.
Non posso che apprezzare queste opere che ad un primo sguardo paiono delicatissimi dipinti.
Un modo in più per dimostrare che l’uso delicato, raffinato e tecnico della fotografia, compiuto da Masuyama, la rendono uno strumento, più recente della pittura, ma altrettanto altamente veicolante di sensazioni generate dall’animo.
Animo che in questo caso, seppur prendendo ispirazione da fantastici ed assodati pittori dell’800, gli innovatori di allora, ha saputo ricreare un’atmosfera che con gli strumenti contemporanei, cattura noi oggi.
Perchè l’uomo, pur nella sua evoluzione tecnologica, resta sempre un individuo che necessita di sperimentare su di sè direttamente, le esperienze fatte da altri o nel passato da altri, per giungere a quel punto di evoluzione personale, ed eventualmente, essere in grado di spingersi oltre. Sì, perchè l’esperienza è una conoscenza che non può essere trasferita ad altri, ma solo vissuta personalmente.
Grazie per una rivisitazione che è in realtà un cammino personale che ci è permesso di condividere parzialmente o solo intuitivamente.