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MUOVENDO L'INVISIBILE – di Rossana Pellegrino

 
 
 
 
 
 
 

Una ricerca di senso, un’urgenza di comunicazione hanno sempre accompagnato l’approccio di Rossana Pellegrino a diverse discipline artistiche.
Nel corso della sua vita ha incontrato il disegno la pittura e la danza.
Carica di tutte queste esperienze formatasi ecletticamente e aperta al nuovo, la Pellegrino incontra la fotografia alcuni anni fa e trova in essa l’espressione migliore della sintesi di ogni sua sperimentazione.
Un approdo dunque e insieme una nuova strada da percorrere dall’apprendimento di tecniche tradizionali fino al raggiungimento di una visione personale e consapevole del mezzo fotocamera e delle sue potenzialità.
Questa mostra nasce sulla ricerca e formazione sul felice incontro tra il gesto di danza colto nell’autenticità profonda della sua esibizione a teatro e l’arte fotografica.
La tecnica fotografica ha permesso di concretizzare ciò che l’occhio nudo non vede.
 
 

MUOVENDO L’INVISIBILE

di Rossana Pellegrino

 






 
 
 

DANZA E LUCE

di Rossana Pellegrino


L’alito del gesto:
qualcosa di
caldo ancora
si disfa nella luce.
Uno strascico bianco di vergine
ha appena lasciato l’ altare.
 
 
Come forza le porte della cella ora
questa fame da galera,
come si dibatte sulle strade
fiutando gli angoli
con la bramosia del lupo.
La mia fotografia
abbandona oggi i paesaggi
docili che amavo, si sguinzaglia
cercando il movimento,
scattando in tempi lunghi.
Squarcerá il diaframma,
darà vita a scie di luce
a una musica che si farà.
 
 
Chi legge il mondo su assi cartesiani
naviga di albero e di boma.
Dimentica la diagonale della vela, persa nel fileggio,
che sbatte e si ritorce
inarca e si distende
libera
e tutta esposta al vento.
 
poesie di Camilla Ziglia

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7 commenti

  1. “Ciò che l’occhio nudo non vede” è un mondo parallelo che non possiamo percepire se non con la fotografia che dilata il tempo e ci regala inedite rappresentazioni spaziali.
    È tuttavia la forma, sia pur indefinita ma abilmente catturata da Rossana, che prende il sopravvento e diventa puro motivo di bellezza.
    La dolcissima poesia di Camilla poi, sembra un tutt’uno con le foto.
    Complimenti ad entrambe.
    vincenzo gerbasi

  2. Mi ha colpito, al Face to Face di Ghedi, la collaborazione appassionata tra la fotografa Rossana Pellegrino e la poetessa Camilla Ziglia per l’autentico fervore creativo che hanno posto in atto.
    La Pellegrino, come della presentazione, dopo l’esercito di altri linguaggi artistici sta scoprendo le potenzialità creative della fotografia.
    La fotografia”Fotodinamica” (1913) dei F.lli Bragaglia ha dato un grande contributo alla poetica del Futurismo e continua ad essere una tecnica fotografica sorprendente che fa scoprire la natura misteriosa dell’immagine tecnica fotografica.
    Queste foto sono fedeli al Fotodinamismo perché rappresentano il gesto attraversi i flussi chiaroscurali che prendono il posto della forma nel processo di significazione fotografica. In questa rappresentazione dell’energia del gesto, con la tecnica del pannig, può apparire magicamente che appaia chiara la forma di una piccola parte del soggetto che, con la perfetta somiglianza, diventa il punto fermo sul quale la percezione del lettore si compie.
    Le poesie della Ziglia sono una forma di lettura soggettiva delle immagini, perché le sue parole sono strettamente in relazione con l’immagine. La poesia, rispetto la lettura strutturale, si affianca alla foto dando vita a un Duo “immagine e parola” che diventa una nuova opera realizzata con due diversi linguaggi: uno sensoriale (immagine) e l’altro codificato (parola).
    Siano le ben venute queste esperienze di profondità che contribuiscono a diffondere entrambi i linguaggi, oltre la stretta cerchia dei rispettivi appassionati.
    Complimentandomi ringrazio entrambe per aver condiviso su Agorà Di Cult la loro esperienza artistica.

    1. Grazie infinite !!!
      Il mio intento era proprio quello di esaltare il movimento invisibile e visto i commenti sono ENTUSIASTA di esserci riuscita!
      Rossana

  3. Questo lavoro fotografico che riprende con il messo le gesta di danzatori mi intriga, anche se meno del mare mosso perché l’onda poi ritorna alla riva, qui mi sembra che vada alla deriva e cerchi l’ancora nelle parole delle poesie messe lì come boe. Ho visto molti balletti di danza moderna, con le compagnie mondiali più prestigiose, grazie alla programmazione ultradecennale del teatro comunale della mia città. Credo che la massima espressione per i miei gusti, ma da incompetente, sia stato il teatro danza di pina Bausch, di cui si può ammirare la sintesi dei suoi lavori nel bellissimo e struggente documentario PINA di Wen Wenders.
    Qualche volta mi è capitato di fare delle foto, con tempi rapidi per congelare il movimento, che poi non ha molto senso fermare con uno scatto chi fa di questo la sua essenza. Altra modalità è quello di usare i tempi lunghi per ottenere immagini mosse, quasi sempre incontrollabili nell’esito e per questo più emotivamente coinvolgenti, perché mostrano qualcosa d’altro da quello che intendeva il coreografo. Quindi l’invisibile ai nostri occhi come nel contesto di questo bel lavoro, in ogni foto è comunque visibile la sembianza del corpo umano, di cui abbiamo necessità per contestualizzare a cosa si riferisce l’immagine, quindi l’invisibile che diventa visibile grazie alle parole delle poesie abbinate oppure alla nostra memoria? Non me ne voglia la bravissima poetessa ma trattandosi di un lavoro sulla danza, prendendo come riferimento il teatro danza, personalmente avrei preferito abbinarci un altro testo, non so perché ora penso allo scontrino della lista della spesa.

  4. Difficile dire se queste fotografie nascono dalle poesie, la prima e la terza in particolare, o se il pensiero poetico prende vita dalle immagini. Entrambi i linguaggi in questo lavoro sembrano fatti della stessa materia: l’anelito alla libertà.
    Queste figure che si muovono fluide nel buio sembrano anime che fuggono dalla prigione della materia, metafore del desiderio di sperimentare e di raggiungere nuovi orizzonti.

  5. Prendo in prestito la metafora del veleggiare e provo a vederlo così, questo lavoro: non soltanto l’unione di immagine e parola ma la forza continua, in apparenza senza sforzo, del vento di bolina. Come la vela risale il campo di regata e si fa soffio, così vediamo il movimento dove non dovrebbe esserci. E’ la sorpresa del punto di vista, la scelta del fotografo per rappresentare una delle possibili forme del mondo.

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