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Neorealismo – 2° parte, di Fausto Raschiatore

NEOREALISMO

La nuova immagine in Italia 1932-1960 – 2° parte, di Fausto Raschiatore

 La mostra inizia con una serie di foto collocate e presentate come Realismo in epoca fascista (scatti del periodo 1934–1945 più alcuni realizzati in Sardegna, genericamente datati Anni Trenta). E’ un momento particolarmente impegnativo. Siamo nel dopoguerra. L’Italia affronta le trasformazioni sociali. C’è una gran voglia di fare, a tutti i livelli. E molti fotografi operano in questo contesto con grande coinvolgimento emotivo.

CATTANEO - Vicoli a napoli

E’ quasi tutto da ricostruire. Il Paese si muove, il Nord meglio del Sud, e, infatti, avverte prima i segni nuovi di miglioramento e di modernità. L’Italia è disomogenea e disorientata in ogni comparto, anche in quello culturale, che non fa eccezione, evidentemente. E trova nel Neorealismo un modo di esprimere la propria narratività che si manifesta nell’inquietudine di scoprire e raccontare un mondo inedito e singolare. Anche poetico. E’ un codice di lettura che invade letteratura, cinema e fotografia con un taglio culturale a forte valenza ideologica. Cinema e letteratura di più rispetto alla fotografia. A livello internazionale, siamo in piena Guerra Fredda. La contrapposizione tra Occidente e Oriente è netta.

PASQUALI - Bambini, periferia di Comacchio

Il termine “neorealismo”, come è noto, compare nel dibattito letterario italiano negli anni Trenta come impronta, o come copia del tedesco “Neue Sachlichkeit”. In ogni caso il termine arriva sostanzialmente in sordina, sottovoce, tra l’indifferenza e in compresenza con formule più o meno analoghe come “Neoverismo” o “Neonaturalismo”. E sta ad indicare opere con un forte e marcato interesse per la rappresentazione vera, genuina, naturale, di una realtà sociale concreta, cruda e autenticamente reale. In campo letterario si basa su una polemica drammatizzazione delle tematiche esistenziali. In quello cinematografico come rappresentazione della vita nei suoi aspetti più umani senza abbellimenti, idealizzazioni, né pregiudizi. Fino al 1948 la sua presenza è contenuta. Subito dopo inizia la sua diffusione, il termine “Neorealismo” acquista visibilità, indica certe entità, definisce cose, immagini. Momenti, soprattutto sulla spinta di una produzione cinematografica straordinariamente fertile. Dà corpo e anima, forma e contenuti a un fenomeno esclusivamente italiano che coinvolge, in quanto espressione soggettiva linguistico-espressiva o sintesi estetica di una scelta creativa, anche la fotografia. Nasce il Neorealismo fotografico. E’ un (in)diretto riconoscimento che la fotografia è arte. Il dibattito sarà articolato e stimolante sull’argomento. Con prese di posizioni singolari e discutibili. E la mostra agli Scavi Scaligeri ne evidenzia, come controcanto, nel contesto di un progetto fotografico non senza un ambizioso obiettivo: ridefinirne o rimodulare l’arco temporale del neorealismo in fotografia.

MALLI - Quando la neve

Interessanti i documenti dell’epoca presenti in mostra dislocati lungo tutto il percorso espositivo a integrazione delle immagini e a sostegno delle tesi del progetto. Equilibrata e stimolante l’impaginazione del materiale esposto che evidenzia l’importanza dei veicoli attraverso i quali le stampe fotografiche venivano fatte conoscere (rotocalchi, periodici illustrati, fotolibri e cataloghi di eventi espositivi) ma che rappresenta anche l’itinerario lungo il quale sono disegnate le tracce che sintetizzano l’evoluzione del linguaggio della fotografia nel nostro Paese. Non poteva mancare un riferimento concreto al cinema. Infatti, danno contenuto e forma alla mostra i diversi manifesti esposti. Quest’ultimi, oltre a dare un riferimento di collocazione storica, unitamente agli spezzoni di film significativi caratterizzanti alcuni momenti del percorso espositivo, danno ad esso maggiore incisività grazie anche alla strutturazione dell’allestimento in isole tematiche. Essa, infatti, offre la possibilità di individuare i caratteri connotativi della fotografia neorealista e di contestualizzare il lavoro dei fotografi.

PATELLANI - Minatori di Carbonia
ROITER - Solfatara

 Prima di chiudere questa riflessione sulla mostra e sul Neorealismo in fotografia si ritiene opportuno citare una nota estremamente stimolante sul tema della mostra. Dice testualmente Antonella Russo, docente universitaria di Storia e Tecnica della Fotografia e autrice di molte pubblicazioni, nel suo volume “Storia culturale della fotografia italiana. Dal Neorealismo al Postmoderno” (Einaudi, 2011): “Nonostante la serietà dei contributi al volume, si ha l’impressione che l’impeto profuso nella raccolta del materiale sul Neorealismo abbia preso il sopravvento sulla considerazione dell’impatto che questo ha avuto sulla fotografia italiana, a scapito di un’analisi teorica che tenesse conto, ad esempio, della discontinuità del movimento rispetto al realismo. L’aspetto più problematico appare poi quella “neorealismizzazione” della maggior parte dei nostri autori, tale da far apparire la fotografia del dopoguerra riconducibile a un’unica matrice neorealista. Allo stesso modo risulta discutibile la riproduzione di singole immagini tratte dai fototesti e foto racconti più emblematici dell’epoca – originariamente pubblicati su riviste letterarie d’avanguardia e rotocalchi d’attualità -, che cancella tracce del contesto storico, quasi a promuoverne l’oblio”.

SPAMPINATO - N.U.
MIGLIORI - Gente dell'Emilia
 
 

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8 commenti

  1. Un viaggio che amplifica e non limita la visione del periodo preso in analisi, soprattutto per la scelta delle immagini.
    Chi come me venne alla luce negli anni cinquanta, ha un’immagine restituita da film, fotografie e materiale pubblicato o ritrovato tra i ricordi di famiglia, sia in racconti di vita vissuta, sia in oggetti conservati.
    Trovo che il periodo sia unico e irripetibile per il contesto storico-economico-culturale che lo contraddistinse e che viene mirabilmente fissato nella sequenza visiva e narrata.
    Poesia dal brutto. Delicatezza dalla desolazione. Compassione nell’etimo greco definisce quanto l’autore sia stato in grado di aprire un sipario e farmi calare nel contesto come su un palcoscenico sul quale la vita quotidiana viene rappresentata con i toni del dramma greco.
    Chiara Lana

  2. Dalle testimonianze dei fotografi che furono protagonisti della stagione del “Neorealismo” si resta sorpresi, perché non c’era in loro la consapevolezza di ciò che stavano costruendo con le loro immagini. D’altronde questo atteggiamento interiore è normale, perché è sempre difficile capire le conseguenze del fare mentre lo si fa. Ma questa inconsapevolezza unitamente alla coerenza poetica, che si evince dalle immagini, ci dimostra quanto il pensiero neorealista, attraverso la letteratura ed il cinema, era divenuto anche tra i fotografi un modo spontaneo di vivere, sentire e interpretare la realtà. Ritengo che uno degli aspetti distintivi del “Neorealismo” sia stato quello di aver narrato della condizione sociale non come fenomeno epico di massa ma come vicenda personale dell’individuo. E’ stato proprio con la rappresentazione di ciò che avveniva nella vita intima del singolo che sono stati resi visibili non solo gli avvenimenti ma anche l’aspetto psicologico e spirituale di chi ha vissuto quel periodo storico. Sono tanti i debiti che abbiamo verso il “Neorealismo”, dal punto di vista sociale è stato portare alla coscienza quei valori umani che poi hanno trasformato la società italiana negli anni 60’ e 70’; raramente una stagione artistica ha inciso così profondamente e positivamente nell’evoluzione sociale del nostro paese.

  3. A molte delle immagini del periodo neorealista dobbiamo alcune delle nostre più vere emozioni, anche la fotografia, come il cinema e la letteratura, grazie alla ricca tematica neorealista, non poté non guardare a certe realtà contemplando ed annotando nei fotogrammi della nostra cara vecchia, ma ancora attuale, pellicola, momenti significanti e memorabili di quel periodo storico non così lontano nel tempo come sembrerebbe. Una fotografia che imboccò la via di una nuova cultura, di una nuova vita morale connessa con una nuova intuizione della vita.

  4. Siamo all’equivoco di chi tiene famiglia, e ne scrive.
    Personalmente ho avuto modo di fare quattro chiacchiere, per un’intera settimana, in quei che una volta erano i Workshop unico modo per avvicinare questi “Mammasantissima” della fotografia italiana. Tazio Secchiaroli il “paparazzo” per antonomasia. Il fotografo di Fellini, sui set e Musa ispiratrice con Elio Sorci, Pierlugi Patrurlon, Marcello Geppetti, Lino Nanni de La Dolce vita.
    A prescindere che si poteva gustare interamente, in ogni sfumatura, di quello che diceva perché di Rollei e camera oscura bianconero, avessi voglia.
    Ebbene questo Maestro, proprio per rinsaldare il nesso neorealismo-fotografia e qui non a caso nel citare il secondo braccio, il cinema, permette di portare alla luce il lavoro svolto dai Direttori della fotografia. Non a caso chiamati così ancora oggi. De facto fotografi, scrittori con la luce (come direbbe il siculo Scianna, ritrovabile su youtube) che vennero finalmente a conoscenza del vasto pubblico, così si dice, grazie all’Oscar di Vittorio Storaro con Apocalypse Now e di lì il bel libro (forse più ritrovabile) La bottega della luce per i tipi della Ubulibri.
    E di ritorno a Secchiaroli, loro mica sapevano di fare “neorealismo” o di scrivere già la Storia, con la maiuscola degli altri i cosiddetti storici a babbo morto si capisce. Erano dei perfetti artigiani, si al cambio odierno, è una bestemmia se mai qualcuno ha udito la parola Commedia dell’Arte. Era il tesoro italiano prima che le strategie del Bildeberg Trliaterale Goldma Sachs, via succursale del Club di Roma, arruolassero truppe di scritturali che, grazie al fatto di stare sul loro libro paga, hanno permesso questa deriva ancor prima che materiale, morale. Il gioco di sempre in saecula saeculorum. E non finisce qua.

  5. Dopo aver letto i diversi commenti, rilevo: 1) – Il Neorealismo in fotografia suscita interesse e passione non solo tra gli studiosi, ma anche da parte di chi vuole solo ampliare le proprie conoscenze sullo stimolante “fenomeno culturale” che presenta tuttora alcuni segmenti inesplorati o ancora non sufficientemente indagati. 2) – I commenti e l’interesse dimostrano di quanto sia vivo il desiderio di capire “perché e come” è nato un linguaggio che ha segnato la nostra storia e una parte importante della fotografia italiana. 3) – Non a caso ancora oggi, a oltre mezzo secolo di distanza, non esiste una definizione di Neorealismo accreditata a tutti i livelli. Non tutti sono convinti che tale periodo sia stato inquadrato nelle sue esatte dimensioni. Lo è stato nel cinema e nella letteratura, di sicuro, ma non in fotografia. Quel periodo e quel fenomeno affascinano per la valenza culturale che hanno avuto in sé, per la dimensione e la forza con cui hanno inciso sulla nostra società, per l’italianità profonda e autentica, per quelle genuine e spontanee testimonianze dei protagonisti, i quali hanno operato senza avere la consapevolezza di scrivere una delle pagine più stimolanti e originali della nostra cultura del Novecento. Senza averne cognizione hanno creato un linguaggio nuovo. E questo affascina, unitamente al convincimento che sul Neorealismo in fotografia c’è margine per ulteriori approfondimenti. E’ straordinario il suo universo narrativo per immagini. Con Giuseppe (Bepi) Bruno (Venezia, 1926/2000), in passato esponente di primo piano della Gondola di Venezia, protagonista attivo della stagione neorealista, ho avuto modo di fare lunghe conversazioni sui fotografi del Neorealismo e su quel periodo di transizione del nostro Paese: dittatura, guerra, liberazione, ordine civile, economico, culturale e politico. Un periodo del quale, ascoltando Bruno, percepivo una dimensione di normalità di una realtà di cui, insieme ad altri fotografi, era un interprete. Coniugava nelle proprie opere una narrazione per immagini disegnando una trama linguistico-narrativa che oggi fa dire a Chiara Lana, fotografa milanese, che il Neorealismo è “poesia dal brutto” e “delicatezza dalla desolazione”. Due definizioni, fra le tante, estremamente interessanti che colgono l’essenza vera di questo fenomeno. Grazie a Silvano Bicocchi per la sensibilità dimostrata e per gli specifici contributi sull’argomento, puntuali e concreti, grazie a tutti coloro che hanno inviato i commenti, che danno ricchezza e alimento alla discussione e che sono un invito ad approfondire il tema per ampliarne le conoscenze.

  6. Sono grato a Fausto Raschiatore che con questo suo impegno dimostra che anche in Italia è possibile promuovere importanti iniziative culturali (che travalicano lo stesso ambito fotografico) scevre da ogni connotato di sudditanza esterofila e al tempo stesso completamente prive della stucchevole autoreferenzialità che spesso ravvediamo in altri secidenti “eventi” in giro per l’Italia (dove gli inviti reciproci fanno a gara con gli altrettanto reciproci apprezzamenti).
    Caro Fausto mi hai evocato la nostalgia e i ricordi di “Venezia 79 la fotografia”.
    Giuseppe Cardoni

  7. caro Fausto, arrivo in ritardo e tu hai già fatto il commento ai commenti; ho poco da aggiungere a quanto già scritto, di certo molto incise e incisive le immagini, le stesse parole di Chiara Lana sono particolari e appropriate rispetto alle foto ed al periodo. Ho perso invece la prima parte, dove la trovo? a presto, danilo

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