L’arte nell’epoca della sostenibilità ambientale
“Ambiente, Clima, Futuro” – Elaborazione del Concept_03
del LAB Di Cult 090 FIAF, a cura di Anna Serrato e Francesca Sciarra
Uno dei binomi fortemente presente nella storia dell’arte universale è quello tra Uomo e Natura.
Dai primi graffiti degli uomini primitivi ai murales degli street artists contemporanei, l’arte si è sempre interrogata su quale fosse il proprio rapporto con la Natura.
Nel corso dei secoli l’artista ha trovato sempre nuove fonti di ispirazione dall’ambiente in cui era immerso. La natura è stata oggetto di osservazione, è stata modello da imitare, è stata limite da superare.
Ad un certo punto, cambiando lo scenario, è cambiato anche l’atteggiamento dell’artista: ed è allora che l’arte inizia ad interessarsi della sorte dell’ambiente e della funzione che può avere nell’intervenire sul processo degenerativo ambientale e territoriale.
Il primo embrione di coscienza ambientale è frutto dell’epoca moderna: conseguenza della Rivoluzione Industriale è l’esigenza di creare spazi urbani dove la gente possa passeggiare nel verde.
Ma per vedere i primi intrecci tra arti visive ed ecologia dobbiamo aspettare la fine degli anni ’60 del Novecento, quando matura una vera e propria forma di coscienza ecologica tra gli artisti.
In seguito alla diffusione di idee di salvaguardia dell’ambiente in campo scientifico e politico, alcuni artisti concepiscono nei confronti della natura un pensiero non tradizionale.
Il patto mimetico che legava l’arte alla natura era andato in frantumi: il legame poteva essere recuperato non più riproducendola ma solo operando all’interno di essa.
Nel 1968 in America si inaugura la mostra Earthworks che apre la storia della Land Art.
Nella Land Art gli artisti non sono più interessati a riprodurre la natura con mezzi illusivi ma vogliono operare direttamente nell’ambiente naturale.
Gli Earthworks sono collocati in luoghi remoti e inaccessibili e l’unico modo per documentare gli interventi degli artisti è quello di usare la fotografia.
Non sempre questi interventi sono motivati da intenzioni ecologiste ma molti di essi vengono preceduti da valutazione circa l’impatto ambientale. Altri addirittura vanno a migliorare esteticamente il luogo nei quali sorgono. Come la Spiral Jetty di Robert Smithson realizzata nel 1970 nel Great Salt Lake, Utah.
Il Grande Lago Salato aveva sopportato un tentativo di estrazione petrolifera che non era andato in porto; il risultato era stato devastante per l’ambiente. Spiral Jetty rende il luogo esteticamente migliore, nel rispetto della sua topografia.
In Italia Arte Sella rappresenta un’esperienza a 360 gradi: nata nel 1986, è il luogo dove arte, musica, danza e altre espressioni della creatività umana si fondono, dando vita ad un dialogo unico tra l’ingegno dell’uomo e il mondo naturale.
Oggi l’arte ha una duplice responsabilità: da una parte denunciare gli scempi compiuti sull’ambiente e dall’altra invertire la rotta e realizzare opere che abbiano un ridotto o nessun impatto ambientale.
Il lavoro dello street artist Iena Cruz va in questa direzione: Hunting pollution è un murales ecologico dipinto con una particolare pittura che “mangia” le polveri inquinanti trasformandole in sali inermi.
L’artista italiana Annarita Serra raccoglie sulle spiagge della Sardegna la plastica che il mare restituisce, donandogli una seconda vita e trasformandola in arte.
Il progetto di Alex Bellini è stato di portata molto ampia: con 10 rivers 1 ocean ha deciso di navigare i dieci fiumi più inquinati di plastica al mondo ed attraversare il Great Pacific Garbage Patch, la grande isola di plastica nell’Oceano Pacifico, costruendo ad ogni viaggio un’imbarcazione con materiale di riciclo.
Il tutto documentato attraverso filmati e foto che ha inserito nel suo blog.
A partire dagli anni ’70 anche la fotografia ha vissuto il suo cambiamento di rotta nella percezione artistica del paesaggio.
Nel 1975 a Rochester, in America, presso l’International Museum of Photography si inaugura una mostra fotografica che rompe la relazione fra il paesaggio e le sue rappresentazioni iconografiche valide fino a quel momento.
I New Topographics, Photographs of a Man-Altered Landscape, sono tutti della generazione cresciuta nel dopoguerra.
In contrapposizione con la wilderness di Ansel Adams, ma anche con i paesaggi emozionali di Minor White e con il sensuale still life naturalistico di Edward Weston, le immagini dei Topografi contengono tutti i segni della civiltà: pali e fili del telefono, bidoni, segnali stradali, strade, edifici. La neutralità e l’assenza di emozione sono la chiave di lettura della loro opera.
La mappatura fotografica del nuovo paesaggio, oltre a documentare il boom economico e il benessere di quegli anni, rivela l’altro lato della medaglia, un vero e proprio fallimento socio-culturale: i trofei della modernità, visti dagli occhi dei New Topographics, si trasformano in elementi tangibili della degenerazione ambientale.
Italia, 1991: in una conversazione con Arturo Carlo Quintavalle, Luigi Ghirri si esprime a favore di uno sguardo fotografico attento all’ambiente: credo che, al di là di tanti discorsi e dibattiti intorno ai problemi dell’ecologia, non si è mai sufficientemente messo in rilievo come il paesaggio, i luoghi che le persone abitano, non vengono più̀ rappresentati […]; tutti sembrano essersene dimenticati. A me pare che il paesaggio, i luoghi, l’habitat, siano come un territorio nascosto dove si può perpetrare qualsiasi scempio: tutto avviene senza nessun controllo visivo. L’incapacità di guardare all’esterno determina così la possibilità di deturpare qualsiasi luogo senza che nessuno se ne accorga.
Questa amara considerazione viene dopo alcuni anni dal Viaggio in Italia, quell’immenso contributo fotografico degli anni ’80 divenuto il manifesto della scuola italiana di paesaggio.
Nei suoi pellegrinaggi nella valle del Po, in compagnia dello scrittore Gianni Celati, in un viaggio visivo e mentale caratterizzato dal disorientamento e dai confini incerti, Ghirri tenta di capire il nuovo paesaggio italiano alla luce dell’industrializzazione e del suo impatto ambientale.
Brasile, nuovo millennio. Sebastião Salgado scrive una splendida pagina di fotografia naturalistica che ha la doppia valenza di omaggio alla natura incontaminata e di grido di aiuto contro la distruzione dell’uomo: Il 46% del Pianeta è rimasto ancora come era migliaia di anni fa al momento della creazione, ricorda Salgado, dobbiamo proteggere e conservare ciò che esiste. Il progetto Genesis, sostenuto dall’Instituto Terra, si propone di far conoscere la bellezza del nostro Pianeta e preservarlo per le generazioni future.
Nel 2014 il progetto Cambiamo Clima ha messo insieme 24 fotografi in un’unica mostra.
Sono altrettante “storie italiane di uomini e di donne che brillano di un eroismo più o meno libero, più o meno consapevole, ma sempre parte esemplare del principio primo di ogni moderno ambientalismo: il diritto di soddisfare i nostri bisogni e le nostre aspirazioni, solo a patto di non sottrarre alle generazioni future la possibilità di fare altrettanto”.
Nel 2018 il collettivo fotografico Synap(see) ha presentato la mostra antologica Agro al termine di un triennio di investigazione tra ambiente e fotografia, risultato di un progetto volto a indagare la situazione dell’ambiente in Italia. Agro ha interessato uno spaccato significativo del nostro territorio passando per oltre 9 Regioni.
L’Antropocene segna dunque una svolta nelle arti visive, fotografia compresa, creando un ponte tra le nozioni di natura, ambiente umano ed ecologia.
Viene accolta e superata la tradizionale dicotomia uomo-natura, e con lei le distinzioni tra rappresentazione della natura, mappatura dell’ambiente antropizzato, restituzione emozionale del paesaggio umano: ci troviamo oggi a fare i conti con un principio di interconnessione globale, con un concetto di ambiente/paesaggio che è ritornato paradossalmente ad essere unico.
In questo contesto gli artisti, uniti da un disagio epocale, attivano una sorta di responsabilità comune e cercano di dare voce, con i più svariati linguaggi, ad una denuncia che risvegli la coscienza critica dello spettatore. Come dice Piero Gilardi, creatore del PAV Parco Arte Vivente, il ruolo delle arti ecologiche è quello di collaborare alla presa di coscienza della maggioranza degli abitanti del pianeta, superando con l’empatia estetica la “grande cecità” che ci attanaglia.
LINK
Alex Bellini https://www.10rivers1ocean.com/it/diario/
Land Art http://www.dibaio.com/gli-artisti-e-la-naturanasce-la-land-art/
Arte Sella http://www.artesella.it/it/
Annarita Serra https://annaritaserra.com/
Iena Cruz http://www.ienacruz.com/
New Topographics https://www.theguardian.com/artanddesign/2010/feb/08/new-topographics-photographs-american-landscapes
Viaggio in Italia http://www.mufoco.org/digitalexhibitions/portfolio/1984-fotografie-da-viaggio-in-italia/
Cambiamo Clima http://cambiamoclima.earthdayitalia.org/index.php
Anthropocene https://anthropocene.mast.org/
Synap(see) http://www.synapsee.it/Homepage/
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Articolo puntuale, interessante e corredato da ottime fotografie esplicative. Cordialità
Articolo profondo e denso, definito da analisi concetti poco frequentati nel dibattito fotografico e tanto meno nei circoli. Sarebbe interessante creare un supporto fruibile per cominciare un lavoro di sensibilizzazione più attento e incisivo da proporre nelle serate magari con la partecipazione degli autori.
Non possiamo che ringraziare Anna e Francesca per questo interessante contributo sulla tematica “Ambiente Clima e Futuro” sulla quale stiamo in questi giorni riprendendo la nostra indagine culturale e fotografica. Come coordinatore di Laboratorio trovo particolarmente utile questa ricognizione di esperienze artistiche, che condividerò nei Gruppi Fotografici, seguendo l’idea che la fotografia non può essere intesa solo come documentazione o semplice produttrice di estetica, ma è un linguaggio artistico aperto che si fa senso ed è comunicazione di esperienze, bisogni ed emozioni.
Luigi Ghirri, che sottolineava le potenzialità del mondo fotoamatoriale, diceva di “guardare alla fotografia come un modo di relazionarsi con il mondo, nel quale il segno di chi fa fotografia, quindi la sua storia personale, il suo rapporto con l’esistente, è sì molto forte, ma deve orientarsi all’individuazione di un punto di equilibrio tra la nostra interiorità e ciò che sta all’esterno…” (Ghirri, Lezioni di fotografia, Quodlibet, 2010, p.21). Quindi una fotografia non chiusa in sé stessa, ma che interpreta il mondo e sempre più interagisce con altri linguaggi e forme di espressioni artistiche.
Il particolare momento storico che stiamo vivendo ha messo in evidenza la nostra fragilità e non possiamo più far finta di non comprendere come tutti gli equilibri del nostro pianeta siano intimamente interconnessi. E’ evidente come non possa esistere un problema che non ci riguarda solo perché lontano da noi e, ora più che mai, anche la nostra fotografia non può essere un linguaggio che dà solo risposte, spesso preconfezionate e di comodo, ma deve cominciare a farci porre quelle domande che aprono a un dialogo su quello che sta accadendo intorno a noi.
Bravo Marco,una interessante lettura di Ghirri.
Bellissimo ed interessante concept sul tema del progetto nazionale che apre a visioni diverse e diversi modi di approcciarsi a tale tematica.
Grazie a Anna Serrato e Francesca Sciarra per l’impegno e la condivisione.