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“Dee” di Paola Fiorini

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“Dee” di Paola Fiorini

Questo lavoro si addentra nell’ignoto, un viaggio che so proseguirà, un mondo che si sta svelando piano. Ne ho colto i segni che si sono presentati, li ho riconosciuti insomma, segni che apparentemente paiono slegati a volte opposti; ma nella conjuncto mistica degli
opposti queste nozze sono possibili.
Ero partita volendo parlare di erbe officinali e della loro coltivazione; una risposta possibile e
indubbiamente di minore impatto ambientale rispetto al monoteismo dei vigneti. Sono quindi
passata ai riti legati al loro impiego, i riti mi hanno preso per mano e condotto in un viaggio nel tempo lontano, lontanissimo alle radici della civiltà.
Un viaggio tutto al femminile.
Sono le donne ad essere da sempre le custodi dei segreti delle erbe e delle piante officinali e sono per natura esensibilità inclini alla cura.
Medichesse, streghe, sacerdotesse, dee… Il mio ritorno alla terra lo è nel sua essenza più profonda, spirituale, sacra.

Paola Fiorini

 
 

 

 
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“Dee” di Paola Fiorini

“Numen vel dissita iungit” (La divinità congiunge anche le cose distanti), la citazione latina nell’apertura di Dee, ci accompagna in un viaggio nel tempo, da un’epoca arcaica all’oggi.  L’autrice, Paola Fiorini, riflette sull’uso del suolo, obiettivo che si è proposta insieme agli altri membri del collettivo Synapsee, nel progetto fotografico “Agro”
Concentra la sua ricerca in Lessinia,  su una produzione alternativa rispetto a quella dominante dei vigneti : la coltura  di fiori ed erbe officinali. Il tentativo non è proporre un lavoro di denuncia sullo sfruttamento irresponsabile del suolo. Forse le indagini sul nostro mondo malato appagano la fame di morale, ma corrono il rischio di attenuare la nostra percezione di quanto la situazione sia allarmante. È dunque comprensibile il desiderio di addentrarsi in una dimensione più spirituale e ossigenante, ideando un’opera originale, lontana dall’immagine annichilente di autodistruzione umana.
L’autrice inizia con un reportage, ma le epifanie della fotografia, riservano sorprese. I riti, legati alle erbe e al loro impiego, illuminano la sua ricerca che, lentamente, diventa un lavoro di recupero che incontra il mito: il potere della Grande Madre che si incarna in figure di dee e di simboli che esprimono l’eterno ciclo di nascita e morte, dove il femminile collega il mondo umano con quello divino. La suggestione   di un tempo circolare abbraccia tutta la sequenza, che, dal presente sembra risalire ad una natura di inizio della civiltà umana. La società contemporanea ha sempre più mortificato, la natura primitiva e selvaggia, quel nostro desiderio dolce e malinconico di vivere in relazione con la terra e l’archetipo della Grande Madre diventa l’espediente narrativo, il fuoco nascosto di Dee.
La sequenza, come racconta la stessa autrice, si è manifestata da sé, come se in ogni immagine scelta lei stessa avesse riconosciuto un archetipo narrativo non premeditato e creatore di senso.
Una profonda sensibilità, verso la sofferenza della Terra, e la riflessione, sulla crisi che sta attraversando l’umanità, ha accompagnato l’autrice in questa ricerca molto personale che offre una speranza a chi vuole prendersi cura del mondo, superando un’idea di natura come qualcosa di esterno a noi. Creare e praticare l’arte a partire da qui può dare un nuovo senso.
La definizione che appare nella penombra, grazie al medio formato, conferisce fascino e pienezza di senso, che permette ad ogni scatto di vivere in una piena autonomia. Colpiscono gli occhi chiusi che ci rivelano lo scorrere di un mondo interiore invisibile e che si apre all’immaginazione, sollecitando l’idea che immaginazione e speranza possano convivere in questo mondo guasto.   Guardare indietro, alle cose perdute, al tempo dell’inizio, con uno sguardo poetico che non rinuncia alla nostalgia, può consentirci di accogliere forse quella tenerezza necessaria, come sembrano suggerirci alcune immagini di innocenza infantile e dolcezza dell’età più avanzata, per avere gli occhi nel futuro.
Ma Dee ci conduce anche verso altre riflessioni, non evidenti ma evocate, anche a partire dal titolo, sulle energie delle donne che continuamente sono fluite verso l’accudimento degli affetti e sul disequilibrio tra maschile e femminile, che non è una condizione di natura, dunque è modificabile e lo sarà quando uomini e donne si impegneranno in una vera reciprocità. Resta, a chi guarda, il desiderio di scovare simbologie e significati in questa serie affascinante e misteriosa e l’allusione ad un nuovo rinascimento, evocato con Flora della Primavera del Botticelli, il capolavoro del Rinascimento italiano. La speranza è che possano fiorire le migliori attività intellettuali per una nuova rinascita.

Piera Cavalieri

(da FOTOIT ottobre 2020)

 
 
 

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4 commenti

  1. Le opere di Paola Fiorini sono pura poesia. Rapiscono lo sguardo di chi le guarda. Ogni volta che mi trovo davanti ai suoi progetti rimango senza fiato, a metà tra sogno e realtà e mi perdo in loro e nei loro significati. Ringrazio Paola per continuare a condividere con noi il suo sguardo, il suo sentire, il suo essere lei. Grazie.

  2. Un lavoro, questo di Paola, sussurrato, delicato, che incanta, perché ci restituisce il senso profondo della nostra esistenza che ha bisogno, ora più che mai, di ritrovare il suo fluire armonico nell’ambiente che ci dà vita e che, probabilmente, senza questo equilibrio non potrebbe perpetuarsi. La sapienza della natura supera qualsiasi nostra ingegnosità perché custodisce il segreto stesso, profondo, ancestrale della vita del pianeta, che non dovrà mai essere profanato. Così come il corpo della donna custodisce in sé il segreto della vita umana. Riscoprire la sacralità della madre terra e dell’essere umano, è la direzione perché il genere umano possa progredire in pienezza. Quindi grazie Paola per questo lavoro che ci fa riflettere, ci fa rallentare, soffermarci, respirare, per poi riprendere il passo giusto.

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