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TODD HIDO. Il voyerismo narrativo di House Hunting (2001)

di Fabiola Di Maggio

 

Inquietudini e meditazioni, segreti e fascinazioni notturne sono le trame impattanti che reggono la visione del famoso House Hunting (2001) di Todd Hido. Una serie di immagini, ormai un classico della fotografia contemporanea, che ci restituiscono un’atmosfera intima, misteriosa, evocativa, ma anche irreale, della periferia di San Francisco.

Ritratto ai margini di un’America economicamente depressa e in balia delle incertezze del futuro, Hido realizza questo progetto guidando per ore di notte nella West Coast e fotografando abitazioni il cui tratto comune è la presenza di finestre luminose ma non calorose. Le dimore brillano solitarie nel buio. Il soggetto principale di House Hunting è infatti il particolare format di luci, quell’incastro metafisico di luce naturale e artificiale che si condensa nella scena emanando una quiete spettrale. Patinata, gassosa. Evidentemente triste.

Le lunghe esposizioni, catturando meticolosamente la monumentalità anonima e isolata delle case di diversi vicinati, irrorate dai lampioni e impresse su sfondi crepuscolari senza spazio e senza tempo, donano al lavoro un’identità iconografica ben definita. Inquadrare questo preciso bagliore conferisce alle immagini un aspetto ermetico e plurivoco, quel punctum che aleggia connettendosi e identificandosi in vario modo con gli spettatori.

La notte mette in luce impressioni indistinte e sentimenti oscuri. E quando le case dentro si illuminano, scatta quel voyerismo fotografico che Hido magistralmente ci infonde. L’interno filtra verso l’esterno attraverso la lente cieca dei vetri. Di certo qualcosa sta accadendo lì dentro. Ma che cosa? La risposta possiamo solo immaginarla, riflessa nello scatto, esito di uno sguardo pittorico e fortemente cinematografico, che si fa meditazione senza soluzione. L’enigma della visione diventa narrazione. Quell’intima distanza, scolpita da una luce conturbante fagocitata dal buio, di cui l’autore “va a caccia”, ci promette uno spazio di storie possibili della migliore tradizione thriller/horror dove razionale e irrazionale si fondono in una strana e angosciante poesia.

Hido suggerisce, ma non dice. Per questo le sue fotografie si trasformano in storie personali. Non a caso la sua poetica dagli effetti pittorici, espressivi, con una forte carica enigmatica, si colloca all’interno di quella corrente americana della fotografia narrativa e psicologica ben rappresentata proprio dal suo maestro Larry Sultan.

Le soglie d’asfalto e di neve sulle quali Hido arresta e al contempo spinge oltre il suo e il nostro sguardo estraneo sono spazi di suspense, varchi in un paesaggio di sineddoche della presenza umana. Ombre bianche che proiettiamo dentro gli scorci d’auto, sulle pedate nivee, tra i segnali stradali, sugli schermi accesi degli infissi. È qui che la ricerca della casa si racconta. A un passo da porte che nascondono vite che di certo non ci riguardano. Mondi inaccessibili per storie plausibili.

 

 

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Un commento

  1. Quest’opera di Todd Hido ” Hunting ” (2001) convalida il concetto che più volte ho avuto modo di affermare: Se una immagine rappresenta un’idea, una serie di immagini coerenti rappresenta un pensiero”.
    E’ interessante questo primo autore scelta da Fabiola Di Maggio proprio per le riflessioni che consente di fare sul valore della serie d’immagini e sull’opera che queste danno vita.
    La prima conseguenza della coerenza nella struttura della visione di una singola casa in notturno invernale, è l’evidenziazione di un tema fotografico. E’ un tema sottile se si ferma alla percezione visiva perché l’occhio non margina una parte dello sguardo, solo la mente immagina quella che la fotografia rivela. Questa capacità di generare il tema è un forte segno di autorialità.
    La visione di ogni singolo soggetto non ha il rigore formale che la gabbia concettuale impone (vedi i coniugi Becher) e pertanto la poetica dell’opera assume valenza narrativa proprio per nel differenziare il punto di ripresa architettonico.
    Grazie e complimenti a Fabiola per questa sua prima riflessione su Agorà Di Cult.

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