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Alessandro Bartolini – Talent Scout – Senior

TALENT SCOUT

Agorà Di Cult sarà il percorso di visibilità dei 5 Autori della Sezione Senior e 1 Autori della Sezione Giovani “Segnalati” dalla Commissione selezionatrice del Progetto FIAF “Talent Scout” 2023.

Le finalità di questo Progetto sono quelle di dare ai Presidenti di Circolo Affiliato FIAF l’occasione di far conoscere il lavoro di quei soci che, pur distinguendosi per capacità e passione, non hanno mai provato a confrontarsi con la platea nazionale della fotografia italiana. Ogni Presidente ha avuto la possibilità di proporre un socio della categoria GIOVANI (di età inferiore a 30 anni) e un socio della categoria SENIOR (di età superiore a 30 anni).

Alessandro Bartolini, Socio (Senior) del CLUB FOTOGRAFICO A.V.I.S. BIBBIENA – EFI, Bibbiena (AR)

Autore segnalato al progetto Talent Scout della FIAF.

Mi avvicino alla fotografia nel 2005 organizzando una mostra fotografica sulla realtà palestinese, con foto di autori, alcuni dei quali diverranno cari amici. Poi, dopo un lungo periodo di osservazione, mi decido a lasciarmi coinvolgere.

Il pretesto è stato l’organizzazione di un laboratorio sulla scelta politica: comincio così a praticare un corso di yoga per formarmi un punto di vista ‘interiore’ della realtà; nel contempo mi iscrivo al corso base di fotografia con l’obiettivo di avere uno sguardo ‘esteriore’. Inizio a frequentare il Club fotografico Avis Bibbiena, realizzo i miei primi lavori fotografici e le mie prime esposizioni, sempre nel contesto del circolo a Bibbiena.
Fra i miei lavori ci sono “L’ombra dei ricordi”, “Le città invisibili”, “Exodus”, “Tracce di sacro” e “Living stones”, oltre alla partecipazione a varie mostre collettive.

A distanza di quasi dieci anni, oggi continuo a praticare i miei soliti interessi, ma con prospettive ribaltate: con lo yoga osservo la realtà in modo nuovo, con la fotografia esploro il mondo dell’anima.

Le Opere

 

Foto singole.

Portfolio

L’ombra dei ricordi

La casa accoglie e raccoglie, soprattutto se in questo spazio ci vivi da più di quaranta anni.
Ogni sua parte, piccola o grande che sia, come anche un segno apparentemente insignificante, contiene in sé il ricordo che dal passato ha la capacità di tornare in momenti inaspettati.
Poi viene la sera, e dal lampione di fronte alla terrazza la sua luce giallognola filtra dalle finestre e si diffonde nella casa formando disegni e geometrie. Sono loro, le ombre, che tornano ogni sera a visitare gli spazi di questa casa. Con una presenza silenziosa, sono gli inquilini che abitano a convivono da sempre al tuo fianco, mostrandosi solo per ciò che non si può o non vuol vedere.
L’ombra è consistente, la sua forza è evocativa del ricordo, con esso si lega strettamente ad un passato lontano, ad una memoria che è già sogno e desiderio, e con questa si trasforma in presenza di vita.
Le fotografie che compongono la raccolta sono state scattate in pochi ambienti, lo spazio familiare della casa ha fatto solo da contenitore, accogliendo e raccogliendo cose portate dal passato e dalla sera.

 

Le città invisibili

La mostra fotografica “Le città invisibili” nasce da un viaggio fatto in una pressoché sconosciuta città dell’Ucraina occidentale, nell’inverno 2016. Essa trae ispirazione dall’omonima opera di Italo Calvino, un insieme di racconti sulle città concepiti come poesie.
È lo stesso Calvino a dirci come dobbiamo interpretarla: il viaggio del veneziano Marco Polo attraverso le 55 città immaginarie che hanno nomi di donne, non è altro che il percorso attraverso “la nostra vita”, attraverso cosa “è stata la città per gli uomini come luogo della memoria e dei desideri e di come oggi è sempre più difficile vivere nelle città anche se non possiamo farne a meno”.
Le fotografie di cui si compone il progetto si agganciano a questo pensiero, riprendendo frasi tratte da alcuni racconti di città, quasi delle sentenze cristalline, capaci di mettere a fuoco una dimensione non tanto sociale della città quanto piuttosto una dimensione interiore dell’umanità, e di cui questo contributo fotografico vuole semplicemente esserne l’aggancio per intraprenderne il percorso.
Anche una città razionalmente perfetta, fatta di palazzi, torri, stazioni di servizio, presenta una anomalia: è lo sguardo femminile stampato sulla vetrina della porta di un pub, sul marciapiede antistante l’umanità sembra attendere distrattamente un destino senza prospettiva.
Nella città si riesce a vivere mantenendo una presenza a se stessi, e si sopravvive solamente isolandoci dal caotico contesto sociale. E quindi, è giusto “interrogarci su cos’è, su cosa dovrebbe essere la città per noi… e se la megalopoli non significhi proprio la fine della città, il suo contrario. Forse il vero senso potrebbe essere questo: dalle città invivibili alle città invisibili”.

 

 

Tracce di sacro

Bisogna iniziare da lontano. Bisogna andare in Grecia e poi passare all’Impero romano, per avere un’idea di come siano nate tali elementi che condensano architettura, scultura, pittura e devozione. L’edicola (dal latino aedicula, da aedes, tempio) affonda le sue radici in età ellenistica. Nell’antichità, le sorgenti, i crocevia e i luoghi in cui era avvenuto un evento prodigioso erano considerati luoghi sacri ed erano segnati da questi piccoli tempietti. Un uso, dei greci prima e dei romani poi, che si è tenuto in vita così a lungo da vedere l’iconografia cristiana sostituirsi agli idola pagani.
Con il cristianesimo le edicole hanno visto una nuova vita. E, potremmo dire, ancora più prolifica se guardiamo alla loro presenza in ogni piccolo paese della penisola italiana. Le edicole votive formano un vero e proprio “reticolato religioso”, una sorta di “segnaletica”.
Il ruolo principale di questi “piccoli tempi” era di proteggere il luogo, su cui erano edificati come le porte di accesso di una città, una casa, un latifondo agricolo. Avevano spesso la funzione di rassicurare il viandante lungo il suo cammino.
Nei “nodi cruciali” sono loro a essere presenti con semplice bellezza: gli incroci, i punti di sosta, le sorgenti diventavano così occasione per la preghiera.
Tracce di un profondo senso del sacro e del divino che segnano ancora oggi il paesaggio del Casentino.

 

 

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