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MEMORIE_Elaborazione del Concept_16 – Di Anna Serrato e Francesca Sciarra, LAB Di Cult 202 FIAF

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La persistenza della memoria


“La persistenza della memoria”
è un celebre dipinto di Salvador Dalì del 1931. L’artista rappresenta lo scorrere del tempo come qualcosa di fluido e soggettivo, lontano dall’idea rigida e misurabile della scienza. Per Dalì il tempo non segue regole assolute, ma si piega agli stati d’animo e alle percezioni individuali: nei momenti felici scorre veloce, mentre nella noia o nella tristezza sembra rallentare. Nel dipinto, i celebri orologi molli simboleggiano questa dimensione soggettiva e incontrollabile del tempo che non si misura solo con le lancette, ma con le emozioni di chi lo vive.

Il tempo ha due volti: Chrónos e Kairos. Il primo scorre lineare e misurabile, ordina le nostre giornate e dà struttura alla memoria. Il secondo, invece, è il tempo dell’esperienza, dei momenti che restano impressi perché vissuti con intensità.

La memoria segue Chrónos: archivia eventi, li dispone in sequenza e permette di recuperarli con precisione. È un meccanismo ordinato, governato dalla biologia del nostro cervello.

Il ricordo, invece, appartiene a Kairos. Non è una registrazione fedele, ma una trama in continuo mutamento, intrecciata con emozioni e contesto. Più forte è l’emozione, più il ricordo si fa vivido, trasformando il passato in una narrazione personale e unica.

La memoria è un mosaico di frammenti, un intreccio di ricordi, sogni e presenze che persistono nel tempo. Attraverso la fotografia, esploriamo il legame tra passato presente, tra ciò che è stato e ciò che ancora risuona dentro di noi.

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Nei progetti fotografici dei partecipanti al Lab di Cult 202, ogni scatto è un frammento di memoria, un dettaglio che emerge dal tempo per rivelare storie personali e collettive.

I luoghi ritornano, intrisi di assenze e presenze, mentre il dolore e la dolcezza del passato si intrecciano in immagini sospese tra realtà e sogno. La memoria, punteggiata di ricordi, è un territorio fluido, fatto di luce e ombre, di dettagli sfocati e momenti incisi nella mente. Questi lavori fotografici ne esplorano le molteplici sfaccettature, trasformando il ricordo in immagine, il passato in presenza.


Ogni immagine diventa una testimonianza:

un riflesso della gioventù che riaffiora, delle trasformazioni che segnano il corpo e i luoghi, della nostalgia che accompagna il ricordo. La fotografia non si limita a documentare, ma si fa strumento di contemplazione, un mezzo per dare forma ai pensieri e ai sentimenti legati alla famiglia, agli spazi vissuti e abbandonati, alle tracce di ciò che è stato.

La fotografia è più di una semplice registrazione visiva: è un territorio in cui il passato si sovrappone al presente, in cui il tempo storico incontra la dimensione intima del ricordo. Nei lavori dei nostri fotografi, il racconto personale emerge con forza, radicato in un’epoca specifica, ma al tempo stesso sospeso in una dimensione soggettiva, fatta di emozioni e pezzetti di vita.

Ogni immagine è un frammento di tempo sospeso: ferma un momento, lo isola dal flusso continuo di Chrónos, ma al tempo stesso lo consegna a Kairós, il tempo vissuto, quello che trasforma la fotografia in un’esperienza emotiva e personale.

Gli scatti fotografici diventano testimoni di vite, luoghi e storie. Rievocano il passato, ma lo fanno sempre attraverso il filtro del presente: ogni volta che guardiamo una fotografia, il ricordo si trasforma, arricchito da nuove emozioni e prospettive.

Le immagini non si limitano a documentare: evocano, suggeriscono, reinterpretano. Possono cristallizzare un’emozione, restituire l’assenza di chi non c’è più o riportare alla luce dettagli dimenticati. In questo senso, la fotografia è più di un semplice archivio della memoria: è un processo creativo, un mezzo per rielaborare il vissuto e costruire nuove narrazioni.

Così, tra memoria e immagine, tra documentazione e interpretazione, la fotografia diventa un ponte tra passato, presente e futuro, permettendoci di vedere il tempo non solo come qualcosa che scorre, ma come qualcosa che può essere riscoperto, riletto e vissuto ancora.

Ciò che è stato vive nei ricordi, negli oggetti consumati dal tempo, nelle parole non dette e nei sogni mai realizzati. È il passato che ci definisce, le cicatrici invisibili e le gioie indelebili che, in un modo o nell’altro, ci hanno condotti fino a qui.

Ciò che resta è il presente, il frammento di eternità in cui respiriamo. È la somma di scelte, di incontri, di attimi che resistono al vento dell’incertezza. Resta ciò che abbiamo saputo conservare, ciò che abbiamo trasformato in lezione, ciò che continua a pulsare dentro di noi nonostante tutto.

Ciò che resterà è il seme che piantiamo oggi nel terreno del domani. Sono le tracce che lasceremo nel cuore degli altri, le parole che riecheggeranno anche quando la nostra voce sarà svanita. È il segno del nostro passaggio, la luce o l’ombra che affideremo al futuro.

E così, tra ciò che è stato e ciò che resterà, si gioca il senso del nostro esistere: nella capacità di dare valore a ogni attimo e di lasciare qualcosa che vada oltre noi stessi.

 (Le immagini sono state realizzate dai partecipanti del LAB Di Cult 202)

Anna Serrato
Tutor Fotografico FIAF

Francesca Sciarra
Tutor Fotografico FIAF

 

 

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