Libere riflessioni

Berengo, tre parole ed una trappola – di Massimo Stefanutti

Berengo, tre parole ed una trappola
di Massimo Stefanutti

 
Nell’odierna querelle sulla prossima (?) mostra di Gianni Berengo Gardin sul tema delle “Grandi Navi a Venezia” avversata dal sindaco di questa Città, nei vari commenti all’intervento di quest’ultimo, sono state proferite parole particolari se relazionate alla fotografia.
La prima parola è “verità” (Celentano), ma con la fotografia la verità ha poco a che fare. Secondo una felice espressione di Lewis Hine (fotografo statunitense dei primi del ‘900, di matrice sociale) “la fotografia non sa mentire, ma i bugiardi sanno fotografare”. E, per dirla con un’altra felice intuizione di Michele Smargiassi (giornalista contemporaneo), la fotografia è un’autentica bugia. Ci sono “vere fotografie di falsi eventi, false fotografie di veri eventi, false fotografie di falsi eventi” (sempre Smargiassi) ma non ci sono vere fotografie di veri eventi e ciò perché la fotografia, in sé, non ci dà direttamente alcun criterio per verificare l’autenticità di ciò che rappresenta. Ogni fotografia vive e vegeta in più sistemi relazionali complessi e prende un significato sia in relazione al sistema scelto che da una precisa ascisse/ordinata interna nel sistema medesimo: solo se sappiamo esattamente dove e come è collocata una fotografia, possiamo leggerla nel suo senso finito, anche se sempre relativo al sistema in cui è posta. Per cui la verità che ci propone può essere, al di più, un lontano riferimento al referente, ad una realtà che richiama ma non certo la certificazione assoluta di un vero del quale ci manca una parte essenziale dell’informazione.
La seconda parola è “arte” (Sgarbi): che la fotografia sia un’arte contemporanea, è odiernamente assodato, ma che ogni fotografia sia espressione d’arte, è ben lontano dall’esser accettato o, quanto meno, dall’esser anche intuito dalla gran parte delle persone, per le quali la fotografia ha altre e più immediate funzioni ed utilizzi. Per “fare arte” per mezzo della fotografia, sono necessari percorsi e strategie individuali, caratterizzate, prima fra tutte nell’intenzionalità nell’agire per raggiungere un determinato esito visivo. E il richiamo all’arte non serve certo per giustificare l’indipendenza e la libertà del fotografo, che è sempre e comunque affrancato da condizionamenti nelle sue continue scelte visive, salvo quando mente sapendo di mentire o quando è asservito a qualche padrone o potere. Anche se poi ogni immagine è frutto di una scelta, ogni prelievo della realtà esterna è reso da un punto di vista, che, alla fine, ha carattere politico (nel senso più nobile del termine, quello di un qualcosa di positivo che è di tutti e diviene patrimonio di tutti).
La terza parola (non ancora pronunciata da alcuno) è “paura”: chi non ha paura della fotografia, alzi la mano. Si può aver paura per un’immagine di sé eseguita in un momento indicibile agli altri; si può avere paura per un’immagine falsificata di sé o di altri (la storia della fotografia trabocca di immagini artefatte, prima o dopo lo scatto, di fotomontaggi o di eliminazioni di personaggi divenuti scomodi, ecc.); ma si può avere anche paura di quello che la fotografia racconta o rappresenta e che può, a posteriori, far rivivere o rivelare l’orrore.
In questa prospettiva, il potere della fotografia è assoluto, se poi viene inconsciamente collegato a quella credibilità (o verità ?) che, ancora per molti se non per tutti, è ritenuta implicita in ogni fotografia.
Di qui la trappola cognitiva nella quale è caduto questo sindaco: ha equivocato sulla “verità” proposta da Gianni Berengo Gardin come assoluta ed incontrovertibile, facendosi prendere da una vertigine per la forza delle immagini, non capendo che quello del fotografo è solo uno dei tanti punti di vista (artistico o meno, non ha alcuna importanza) anche se poi condiviso dalla maggior parte dei residenti.
Ma ciò che non viene compreso, alla fine, è che non sono le fotografie di Gianni Berengo Gardin a fare scandalo: è la “brutalità delle cose” (Lorena Preta) ad imporre la propria potenza; è il quotidiano stupro della Città che viene testimoniato dalle immagini; è l’onnipresente timore di un possibile disastro; e qui, il fotografo, è il solo esente da ogni responsabilità.
 
Avv.Massimo Stefanutti
Diritto della fotografia e della proprietà intellettuale
 
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Venezia 2013, foto di Fabrizio Cocchi
Venezia 2013, foto di Fabrizio Cocchi

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6 commenti

  1. Ringrazio Massimo Stefanutti per aver aderito al mio invito nel dare visibilità a questa sua riflessione, pubblicata su “Il Gazzettino” il 18 agosto scorso, per porla all’attenzione nazionale del nostro ambiente di appassionati fotografi.
    Ringrazio anche Fabrizio Cocchi d’aver concesso la pubblicazione del suo scatto, non realizzato ne per un Concorso, ne per una denuncia, ma solo per Sé, per reagire al suo sdegno morale nel vedere questa scena impressionante durante una normalissima visita turistica al Campanile di San Marco nel 2013.
    Complimenti all’Avv. Massimo Stefanutti per il notevole approfondimento di un caso di cronaca che ha posto all’attenzione pubblica un’opera di Gianni Berengo Gardin, uno dei nostri fotografi più importanti e famosi a livello internazionale.
    Immagino che saranno tante le fotografie come questa presenti nei nostri archivi; se avete voglia di mostrarle potete inviarmele e le aggiungerò a questa foto scattata non da un noto autore ma da uno di noi.

  2. La violenza inaudita che esprime questa immagine e quelle del maestro Gianni Berengo Gardin può solo lasciarci sgomenti.
    Personalmente mi viene in mente un commento di un mio collega che aveva partecipato ad una di queste crociere con sosta a Venezia e che, difronte alle mie accalorate proteste, aveva sentenziato: ma tu non sai che spettacolo entrare all’alba a Venezia su una nave da crociera!
    Ecco, credo che questa risposta fughi ogni dubbio, finchè c’è richiesta esisterà proposta, è la legge del mercato è la regola a cui tutti ci appelliamo, appena qualcuno tenta di toglierci l’osso di bocca!!
    Purtroppo per i più la “verità” è faticosa, dell'”arte” poco importa, la “paura” fa sempre 90!
    La brutalità di queste immagini è assoluta, il fatto che un grande maestro come Berengo Gardin sia stato censurato dimostra quanta paura scatena la verità e quanto possa essere potente l’arte.
    Interessante e ben articolata la riflessione dell’Avv. Stefanutti che, con una visione diversa dal fotografo, ha comunque identificato il giusto significato.

  3. Il merito di Berengo Gardin, al di là del suo indiscusso valore artistico, è quello di avere messo in evidenza la “violenza” ( termine felicemente usato da Isabella Tholozan) che viene perpetrata regolarmente e continuamente ai danni della città di Venezia da moltissimi anni ormai . Questo “stupro” a Venezia, come altri episodi di violenza ambientale che sono diventati la normalità nel nostro Paese, è il riflesso della miope incapacità della nostra classe politica di preservare un patrimonio culturale e artistico che non appartiene solo all’Italia ma al mondo intero. E allora è vero che la fotografia è un’autentica bugia , ma a volte le bugie hanno un potere salvifico e terapeutico a patto che il potere si svegli dal colpevole torpore nel quale sembra essere sprofondato e si occupi veramente della nostra autentica ricchezza che è l’arte ….gli sfavillanti baracconi dell’Expo passano, la cultura , quella vera, resta.

    1. Ricordo come fosse ieri, la fotografia del grande fotografo Michael Yamashita, sul suo bellissimo libro Marco Polo, dove una di queste grandi navi passava a pochi metri dalla piazza di San Marco. La fotografia mi aveva molto colpito per l’effetto che creava di avere quasi la nave ormeggiata alla riva, ma il pensiero purtroppo, non mi aveva neppure sfiorato dei danni che questo barbaro rituale avrebbe creato.

  4. Ribadisco anche in questa occasione il mio assoluto sdegno per una scelta politica scellerata che avrà delle conseguenze gravi su un patrimonio unico al mondo. Ancora una volta il potere e i soldi sembrano avere la meglio sul rispetto dell’Uomo, in questo caso di una “meraviglia” di cui tutti gli uomini possono godere, e non soltanto di delle generazioni di quest’epoca, perchè la Cultura è un diritto di tutti e così ogni bene culturale. Ho visto mettere in rilievo ed inorridire di questa oscenità un documentarista francese…e la stampa italiana?. Sembra che l’egoismo sia ormai leitmotiv imperante, quindi l’importante è che “io veda lo spettacolo dell’alba a Venezia su di una nave da crociera” più grande di Piazza San Marco (parole preoccupanti), senza pensare che forse a causa di questo un giorno l’alba su Venezia non la potremmo vedere più nessuno….

  5. > “Per fare arte per mezzo della fotografia, sono necessari percorsi e strategie individuali, caratterizzate, prima fra tutte nell’intenzionalità nell’agire per raggiungere un determinato esito visivo”
    Nel dizionario “Le Monnier” leggo: “ Arte – Qualsiasi forma di attività dell’uomo come riprova o esaltazione del suo talento inventivo e della sua capacità espressiva”.
    PUNTO
    Qualsiasi “forma di attività…” è arte. Può essere positiva o negativa, politica o religiosa, gradevole o incomprensibile… Ma è sempre arte, purché essa esprima il suo talento… la capacità espressiva”.
    Ci sarebbe da parlare molto in merito all’intenzionalità, alla consapevolezza, al talento, alla casualità dell’opera. Gli psichiatri decodificano i disegni dei pazienti; che quindi sono “manifestazione .. talento .. espressivo”.
    Ora occorrerebbe stabilire chi è in grado di giudicare se un’opera è arte, come ha voluto fare il nazismo, bruciando opere “degeneri”; oppure come hanno fatto i pur validissimi “critici” del Salon francese, contro gli impressionisti; costringendoli ad esporre al “Salon des Refusée”. Intellettuali, della grandezza di Baudelaire hanno preso cantonate parlando negativamente dell’impressionismo ed anche della fotografia da lui ritenuta solo testimone del reale, quindi non arte.
    Ma nulla è più effimero, nulla è più forte dell’arte.
    Tra un mutar di gusti e nelle pause tra una guerra e l’altra, l’arte travalica i secoli e resta a chi l’apertura mentale e la sensibilità di comprenderla senza trionfalismi, esagerazioni, speculazione economica; ma solo come testimone di pensieri, fantasie, impressioni, idee, sentimenti dell’uomo.
    Nella caverna francese di Chauvet gli unomini “primitivi” hanno lasciato, tracciati uno sull’altro, i segni incredibilmente eloquenti della loro “arte”.
    Baudelaire sosteneva che la vera critica “deve essere parziale, appassionata, politica, vale a dire condotta da un punto di vista esclusivo, ma <>”.
    La prima parte darebbe ragione ai critici del “Salon” ma anche al modo di intendere l’arte di Hitler e Stalin.
    Ma a giudicare l’arte senza aprirsi “al più ampio degli orizzonti”, e con presunzione, si corre il rischio di fare brutte figure coi posteri.
    Per quanto riguarda l’opera del Maestro Berengo Gardin, si può solo stigmatizzare il comportamento dell’amministrazione veneziana.
    L’arte – quella di Gardin è arte – non si ferma, non può essere condizionata da esigenze politiche.
    Perché essa prevarica ogni condizionamento, ogni tentativo di imbrigliarla; e finisce col testimoniare negativamente nei confronti dei censori (Baudelaire) e di coloro che tentano di assoggettarla a propri fini.
    Le immagini, come quella della nave a Venezia, alla fine parlano da sole e, se nel presente sono testimoni scomodi, lo saranno anche nel futuro, ma non più censurabili.

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