Il fotogiornalismo sta morendo
Il fotogiornalismo può sopravvivere?
L’opinione del settore.
Budget editoriali ridotti all’osso, l’aumento della concorrenza e il crollo della fiducia nella stampa sono solo alcuni dei fattori che mettono a repentaglio il futuro del fotogiornalismo. Il potere della fotografia però non cambia, e la tecnologia offre ai fotografi una libertà creativa che non avevano mai avuto prima. Il mondo vuole uno storytelling visivo, ma il fotogiornalismo sopravviverà?
Per il celebre fotogiornalista Sir Don McCullin, dai tempi in cui i suoi reportage fotografici riempivano decine di pagine stampate, le cose sono cambiate irrimediabilmente. Ecco perché è arrivato a dire che: “il fotogiornalismo sta morendo. I giovani vengono incoraggiati a diventare fotogiornalisti, ma non ci sono pubblicazioni dedicate: riviste e giornali preferiscono parlare dei ricchi, delle celebrità e di chi fa scalpore. Non vogliono immagini di persone che soffrono. Non sono quelle le foto che fruttano. Il fotogiornalismo non ha tradito i propri principi, ma è stato messo da parte”.
Abbiamo parlato con influencer e fotogiornalisti attivi nel settore sul suo stato attuale dal punto di vista imprenditoriale, e abbiamo chiesto quale potesse essere il futuro del fotogiornalismo nell’era del digitale.
Larry Towell
“Credo che al mondo ci siano sempre stati troppi fotografi, ma anche che i fotografi bravi non siano mai abbastanza. Anche per i fotogiornalisti che lavorano su tematiche di grande rilevanza sociale è difficile trovare un pubblico. Credo che uno dei problemi sia la presenza di troppe distrazioni”.
“Credo che al mondo ci siano sempre stati troppi fotografi, ma anche che i fotografi bravi non siano mai abbastanza”
“Non ho deciso consapevolmente di diventare un fotografo. È successo e basta. Volevo raccontare storie, affrontare le violazioni dei diritti umani ed essere un reporter. Il fatto che poi nessuno ascolti non vuol dire che sia il caso di fermarsi. Piuttosto è vero il contrario: se nessuno ti ascolta, devi fare di più, senza fermarti mai.
“La cultura delle celebrità è una malattia. La voglia di diventare famosi è una malattia mentale e la società non lo riconosce. Sta prendendo la piega di un’epidemia. Ora persino i fotografi non devono essere giornalisti, ma celebrità. Ovviamente è pericoloso”.
Larry lavora come fotografo freelance per Magnum Photos. Ha documentato la guerra e i suoi effetti sui civili in Palestina, Vietnam, Afghanistan e altri ancora. Negli Stati Uniti, si è occupato dell’impatto dell’uragano Katrina. I suoi lavori hanno vinto diversi premi, incluso il World Press Photo of the Year.
Ilvy Njiokiktjien
“I lavori sono cambiati. Nessuno ti manda più da qualche parte per mesi per lavorare su un unico progetto. In genere, se vuoi lavorare a un progetto sul lungo periodo, devi investire anche del denaro tuo”.
“Non credo che l’immagine possa mai perdere il suo potere. Una foto può restarti dentro per sempre”.
“Quando le foto di Don McCullin finivano sui giornali, la notizia erano le immagini stesse. Ora, se per esempio scatto una foto al funerale di Nelson Mandela, ho attorno altri 300 fotografi. Ci sono così tante immagini che non potrai mai scattarne una davvero iconica. Da questo punto di vista, è cambiato tutto. Non sei più l’unico fotografo: ci sono altri colleghi, più tutti quelli che hanno uno smartphone.
“Non credo che l’immagine possa mai perdere il suo potere. Per me, le immagini hanno un potere unico. Una foto può restarti dentro per sempre. Esistono però dei nuovi modi di raccontare. Attraverso i telefoni, le esperienze online interattive, la realtà virtuale… l’importante è vedere quale si adatta meglio alla storia”.
Ilvy, Canon Ambassador, è una fotografa olandese che si occupa di notizie e documentari. Ha affrontato temi di attualità e problematiche sociali per ONG ed editori in tutto il mondo. Con le sue foto ha vinto un Canon AFJ Award e un World Press Photo Multimedia Award.
Jérôme Sessini
“Penso che oggi siamo più liberi rispetto al passato, in primo luogo grazie alla tecnologia, ma anche perché io e tanti altri giovani fotografi non diamo più ai giornali il peso che gli davano i miei genitori. Ci siamo liberati dai giornali per poter raccontare le nostre storie nel modo in cui vogliamo.
“Il problema è che ora i fotografi sono bersagli in un conflitto, e sento che se ho paura non posso far bene il mio lavoro”.
“Siamo più liberi rispetto al passato, e possiamo raccontare le nostre storie nel modo in cui vogliamo.”
“Ho piena fiducia nelle storie. Non penso mai che ‘scatto una foto’, ma che ‘racconto una storia’. Non voglio dare spiegazioni con la fotografia, perché non può dirci tutto. Può suscitare emozioni (credo più nelle emozioni che nella razionalità) ma non voglio spiegare ‘questo funziona in questo modo’ o ‘questo è così’. Voglio che il pubblico senta qualcosa, e che quel qualcosa lo spinga a porsi delle domande. Sta alle persone trovare le risposte”.
Jérôme Sessini, Canon Ambassador, ha seguito alcune delle notizie più significative degli ultimi 20 anni. Ha scattato foto in zone di conflitto come il Kosovo, la Siria e l’Ucraina.
Magnus Wennman
“Quando ho iniziato io, la fotografia per la stampa era una professione tradizionale. Oggi le cose sono cambiate completamente. Non è più una questione di tecnica, quanto di saper raccontare storie. E il mondo di oggi ci offre moltissime occasioni di raccontare storie. I fotografi che aspettano che gli vengano proposti dei lavori negli uffici dei giornali non sopravviveranno. Ma chi lavora per raccontare storie ha un futuro brillante.
“Le esigue possibilità di trovare un posto fisso all’interno del settore hanno portato alla democratizzazione del fotogiornalismo: possono farlo tutti, non solo chi lavora nei giornali”.
“Lo storytelling visivo diventa sempre più importante. Chi sa raccontare una storia attraverso le immagini sopravviverà”
“Oggi possiamo scegliere di raccontare la storia con strumenti visivi, girare un video, registrare un messaggio audio o scrivere un articolo. La nuova generazione di fotogiornalisti lavorerà in modo completamente diverso da quella precedente. Conosce bene le possibilità di lavorare sui social media e non si limita solamente alla fotografia statica. Come vediamo ovunque, lo storytelling visivo diventa sempre più importante. Chi sa raccontare una storia attraverso le immagini sopravviverà”.
Magnus Wennman, Canon Ambassador, fa il fotogiornalista da quando, a 17 anni, iniziò a lavorare per un giornale locale svedese. Ora è un fotografo fisso del principale quotidiano scandinavo, Aftonbladet, e ha vinto quattro premi World Press Photo.
Tom Jenkins
“Devo ammetterlo, il fotogiornalismo al momento non se la passa troppo bene. La tecnologia e l’era del digitale sono stati come una scossa sismica per il fotogiornalismo. Tutti hanno un telefono, tutti fanno foto, e tutti si considerano dei fotografi. Per il fotogiornalismo, questo ha cambiato tutto.
“La tecnologia è stata come una scossa sismica: ora tutti si considerano dei fotografi.”
“Il mercato è talmente saturo di immagini che i prezzi sono crollati, e il costo di una singola foto è davvero irrisorio. I giornali hanno accesso a foto proveniente da talmente tante zone che il loro modo di utilizzare e contrattualizzare i fotografi è cambiato: ben pochi hanno un posto fisso e vengono pagati sempre meno, specialmente nei settori della fotografia sportiva ed editoriale.
“Per riuscire a portare a casa uno stipendio dignitoso, i fotografi devono pensare a nuovi modi di finanziarsi, magari facendo alcuni lavori commerciali che gli consentano di andare a fotografare la crisi dei rifugiati per un mese”.
Tom Jenkins, Canon Ambassador, segue eventi sportivi in tutto il mondo per i giornali britannici The Guardian e Observer. È un famoso esperto di obiettivi, noto per aver scattato foto d’alto impatto nei pressi del campo e al suo interno.
Daniel Etter
“Il fotogiornalismo viene dato per morto già da un po’, ma in qualche modo è sopravvissuto finora. È vivo e vegeto, e anche se forse non è in forma quanto ai tempi di Don McCullin, ha ancora una certa importanza. Non ha più l’impatto che aveva in passato, e probabilmente non lo avrà mai più: le altre tecnologie magari non lo avranno sostituito, ma gli hanno dato una nuova dimensione. Credo che la fotografia avrà sempre un ruolo importante, ma se ci sono modi migliori di raccontare storie a livello visivo, perché non approfittarne?”.
“La sfida principale è superare la difficoltà di essere creduti.”
“La sfida principale è superare la difficoltà di essere creduti. Oggi anche i fatti di base sono messi in dubbio, ed è semplice capire che, per sopravvivere in questo ambiente, è necessario superare la difficoltà di essere considerati una fonte di informazioni affidabile. Non ho ancora trovato un modo di rendere le notizie più affidabili. L’unica cosa che possiamo fare è continuare a lavorare bene: condurre ricerche approfondite, fare le domande giuste e provare a presentare gli eventi in modo imparziale”.
Daniel, Canon Ambassador, è un fotografo, reporter e regista. Nei suoi lavori ha parlato di diseguaglianza sociale, concentrandosi sul lavoro minorile, e anche di problemi legati all’immigrazione e ai rifugiati ai confini dell’Europa e nelle zone di conflitto in Medio Oriente.
Scritto da Lucy Fulford
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Fotocamera
Canon EOS 5D Mark IV
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Obiettivi
Canon EF 50mm f/1.2L USM
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Canon EF 24-70mm f/2.8L II USM
Questo zoom professionale offre una nitidezza straordinaria e tutta la robustezza della serie L. Grazie all’apertura costante f/2.8 puoi scattare foto superbe anche quando la luminosità è ridotta, e controllare in modo semplice la profondità di campo.
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