"Il lavoro delle donne" da ITAca – Storie d'Italia, di Marisa Camiato
22 Luglio 2012
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IL LAVORO DELLE DONNE
Art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Da quest’articolo della Costituzione italiana è nato il desiderio di raccontare la storia di donne lavoratrici impegnate a tutelare i diritti di tutti i lavoratori.
Sono in prima linea mettendoci volontà, tenacia e tempo.
Hanno in comune il desiderio di fare per migliorare.
Le donne che ho scelto di fotografare sono delegate CGIL , il sindacato nel quale milito e che mi vede impegnata in prima persona da molti anni.
Con l’opera “Il lavoro delle donne”, Marisa Camiato affronta il tema con un portfolio dal forte realismo, sia nelle immagini che nel concetto sociale che ne anima la poetica.
Il portfolio è di natura orizzontale perché rappresenta diversi mestieri esercitati dalla donna della sua terra ferrarerse e mentre nelle foto l’autrice rappresenta il loro ruolo professionale, nei testi esprime con trasparenza ideologica le storie che le protagoniste hanno nella vita sindacale.
A me sembra che il coerente concept fotografico dell’autrice abbia dato forma ad un’opera che comunica un ampio complesso di significati legati non solo ai ruoli operativi della donna nella società italiana ma anche alla natura intima della femminilità alla prova delle istanze poste dalla modernità contemporanea.
Il lavoro è un tema attuale e l’autrice a mio avviso centra il tema anche se avrei preferito una foto in cui qualcuno sorride…spero per loro che ci trovino un pò di soddisfazione in quello che fanno.
Grazie Giuseppe per il tuo commento, la scelta dell’espressione credo sia in linea con il peso dell’argomento scelto, sono donne che hanno scelto di impegnarsi in un attività sindacale e non sarei riuscita a vederle sorridenti in questo ruolo.
Marisa Camiato è riuscita grazie alle scelte concettuali e stilistiche a realizzare un’opera che è insieme documentazione e riflessione.
Da questi ritratti si evince “la forza delle donne” anche nel difficile mondo del lavoro.
Complimenti.
Orietta Bay
Avevo notato il portfolio di Marisa Camiato già sul sito del Fotoclub: il taglio dei suoi ritratti esprime – a mio avviso – quieta forza, un ossimoro tipico di tutte le donne che inseguono anche la realizzazione professionale oltre a quella familiare. In tempi come questi di incertezza e crescente precarietà, quei volti restituiscono un sentimento di speranza: facciamo lavorare le donne e l’Italia si risolleverà.
Concordo con il pensiero di Giuseppe, quelli sguardi mi danno una sensazione di infelicità, mentre dovrebbe prevalere la fierezza di essere quello che sono.
Noto anche che dalle sole fotografie non si riconosce l’appartenenza ad un sindacato, ma prevale il “solo” lavoro.
Un portfolio che nel complesso mi piace ma, alo steso tempo, mi lascia un senso di “incompletezza” ..
Caro Mauro, le didascalie che accompagnano le immagini completano la storia di ognuna, sul posto di lavoro sono uguali alle altre non hanno “marchi” che le contraddistinguono, ciò che le rende diverse è la passione e la motivazione che le spinge a impegnarsi e a mettersi in prima linea.
Grazie per il tuo commento.
Complimenti per l’ottimo lavoro che ho apprezzato molto. Non sono un femminista ma riconosco che le donne hanno qualità che, più spesso di quanto comunemente si creda, vengono largamente sottovalutate.
Il tuo Portfolio sottolinea alcune delle qualità che molte donne mettono in campo con le più svariate motivazioni. Per molte di esse la molla è il bisogno. Per tante altre è l’ambizione. Per altre ancora è il rifiuto del loro essere donne o piuttosto “femmine”?
Saluti.
Enrico
Conosco questo lavoro dal suo inizio, ho seguito le difficoltà di Marisa, enormi difficoltà, ad avere il permesso di entrare nei luoghi di lavoro di queste donne, lavoratrici e sindacaliste per poterle fotografare.
Tutto quel che c’è da sapere è scritto nell’espressione dei volti, è scritto nelle didascalie e quello che si legge è semplicemente la realtà del lavoro quotidiano di queste donne del loro impegno sindacale.
Cercare sguardi fieri e simboli del sindacato è riferirsi ad una fotografia che non mi piace, in cui c’è il bisogno di creare dei segni e simboli altrimenti si teme di non essere compresi, altrimenti si teme che l’immagine non “parli un linguaggio universale”
Ma la Fotografia ha tantissimi modi espressivi, e qui a mio parere siamo in un campo affine al giornalismo: quello delle indagini e dei rapporti sulla vita sociale che necessitano , per la complessità e ampiezza dei temi, della sinergia di più fonti: visive con le foto, scritte con interviste e approfondimenti, il tutto possibilmente senza enfasi e retorica , pregio che non manca a questa ricerca.
Per Itaca si è dovuti necessariamente fare una forzatissima sintesi, ma qui , in un caso come questo, si vede il limite di uno strumento come il portfolio di una decina (poco più o poco meno) di foto.
A mio avviso la ricerca di Marisa, anche se circoscritta in un ambito territoriale, andrebbe approfondita in modo capillare, dovrebbe essere composta da decine di ritratti e di interviste: creerebbe così uno spaccato del lavoro delle donne e dell’attività sindacale connessa, diventerebbe uno strumento formidabile di conoscenza e l’analisi che ne scaturirebbe potrebbe avere una forza dirompente.
In questa ottica , che è quella che serve per capire questo portfolio, diventa superflua anche l’osservazione sulla presunta tristezza dei visi! Non è un “reportage” sulla giornata lavorativa di alcune donne, NON abbiamo bisogno di vederle quando interloquiscono con le colleghe e i propri superiori, quando sono in pausa, quando vengono interpellate come sindacaliste per problemi connessi all’attività, o quando sono concentrate nelle proprie azioni, NON abbiamo dunque necessità di leggere sui loro volti le molteplici espressioni che passano sul volto di un lavoratore durante il proprio turno. Forse chi legge tristezza in quegli occhi, dovrebbe prima interrogarsi su cosa sia il lavoro “normale” quello non prestigioso, non creativo, quello che la stragrande maggioranza di noi donne si trova a svolgere; anzi che dico! della stragrande maggioranza di noi fortunati Italiani che abbiamo un lavoro!
Le donne fotografate a me non sembrano infelici, caso mai trovo che alcune di esse siano in tensione (sarà questo che le rende meno “femmine” di quanto si vorrebbe??) e questo è un fortissimo segnale di quei contrasti che a volte comporta l’essere sindacalista, anche se chi va a fotografare nell’azienda non è un giornalista ma un semplice fotoamatore
Ecco appunto torno alle 10 fotografie : mi dispiace dirtelo Marisa, ma il tuo lavoro deve proseguire oltre quell’impegno di fotoamatore, ITACA per te non è ancora raggiunta e il viaggio deve continuare!!!!
Questo è un lavoro che già conoscevo avendolo apprezzato immediatamente, pur partendo da situazioni ambientali molto diverse tra loro, la brava fotografa ha saputo dare uniformità stilistica all’intero portfolio. Condivido la scelta “coraggiosa” di usare il colore perché tanti avrebbero preferito la via più “ruffiana” del bianco & nero. Questa ricerca fotografica, come si evince dai vari commenti, si presta a molteplici interpretazioni di tipo sociologico più che prettamente fotografico; è un pregio, anche se poi diventa arduo, come mi sembra di capire dalle parole di Marisa, ritrovarci dentro anche quello che è trasparente alla macchina fotografica: l’ideologia, l’appartenenza, l’impegno. Forse per ottenere anche questo (ma credo che poi non sia così decisivo) andava utilizzato una delle varie tecniche di “assemblaggio” delle immagini, come per esempio il dittico affiancando alla delegata ripresa nel suo ambiente di lavoro anche qualche icona sindacale.
Con l’opera “Il lavoro delle donne”, Marisa Camiato affronta il tema con un portfolio dal forte realismo, sia nelle immagini che nel concetto sociale che ne anima la poetica.
Il portfolio è di natura orizzontale perché rappresenta diversi mestieri esercitati dalla donna della sua terra ferrarerse e mentre nelle foto l’autrice rappresenta il loro ruolo professionale, nei testi esprime con trasparenza ideologica le storie che le protagoniste hanno nella vita sindacale.
A me sembra che il coerente concept fotografico dell’autrice abbia dato forma ad un’opera che comunica un ampio complesso di significati legati non solo ai ruoli operativi della donna nella società italiana ma anche alla natura intima della femminilità alla prova delle istanze poste dalla modernità contemporanea.
Condivido la lettura del portfolio e vorrei aggiungere che le donne ritratte mostrano la grinta di chi vuol fare seriamente.
Ennio Biggi
buon lavoro. brava!
Grazie!!!!
Il lavoro è un tema attuale e l’autrice a mio avviso centra il tema anche se avrei preferito una foto in cui qualcuno sorride…spero per loro che ci trovino un pò di soddisfazione in quello che fanno.
Grazie Giuseppe per il tuo commento, la scelta dell’espressione credo sia in linea con il peso dell’argomento scelto, sono donne che hanno scelto di impegnarsi in un attività sindacale e non sarei riuscita a vederle sorridenti in questo ruolo.
Marisa Camiato è riuscita grazie alle scelte concettuali e stilistiche a realizzare un’opera che è insieme documentazione e riflessione.
Da questi ritratti si evince “la forza delle donne” anche nel difficile mondo del lavoro.
Complimenti.
Orietta Bay
Grazie Orietta,….anche ” la forza delle donne” sarebbe stato un gran bel titolo!!!!
Avevo notato il portfolio di Marisa Camiato già sul sito del Fotoclub: il taglio dei suoi ritratti esprime – a mio avviso – quieta forza, un ossimoro tipico di tutte le donne che inseguono anche la realizzazione professionale oltre a quella familiare. In tempi come questi di incertezza e crescente precarietà, quei volti restituiscono un sentimento di speranza: facciamo lavorare le donne e l’Italia si risolleverà.
Grazie Alessandra per il tuo commento,……concordo soprattutto con l’ultima parte.
Concordo con il pensiero di Giuseppe, quelli sguardi mi danno una sensazione di infelicità, mentre dovrebbe prevalere la fierezza di essere quello che sono.
Noto anche che dalle sole fotografie non si riconosce l’appartenenza ad un sindacato, ma prevale il “solo” lavoro.
Un portfolio che nel complesso mi piace ma, alo steso tempo, mi lascia un senso di “incompletezza” ..
Caro Mauro, le didascalie che accompagnano le immagini completano la storia di ognuna, sul posto di lavoro sono uguali alle altre non hanno “marchi” che le contraddistinguono, ciò che le rende diverse è la passione e la motivazione che le spinge a impegnarsi e a mettersi in prima linea.
Grazie per il tuo commento.
Complimenti per l’ottimo lavoro che ho apprezzato molto. Non sono un femminista ma riconosco che le donne hanno qualità che, più spesso di quanto comunemente si creda, vengono largamente sottovalutate.
Il tuo Portfolio sottolinea alcune delle qualità che molte donne mettono in campo con le più svariate motivazioni. Per molte di esse la molla è il bisogno. Per tante altre è l’ambizione. Per altre ancora è il rifiuto del loro essere donne o piuttosto “femmine”?
Saluti.
Enrico
Conosco questo lavoro dal suo inizio, ho seguito le difficoltà di Marisa, enormi difficoltà, ad avere il permesso di entrare nei luoghi di lavoro di queste donne, lavoratrici e sindacaliste per poterle fotografare.
Tutto quel che c’è da sapere è scritto nell’espressione dei volti, è scritto nelle didascalie e quello che si legge è semplicemente la realtà del lavoro quotidiano di queste donne del loro impegno sindacale.
Cercare sguardi fieri e simboli del sindacato è riferirsi ad una fotografia che non mi piace, in cui c’è il bisogno di creare dei segni e simboli altrimenti si teme di non essere compresi, altrimenti si teme che l’immagine non “parli un linguaggio universale”
Ma la Fotografia ha tantissimi modi espressivi, e qui a mio parere siamo in un campo affine al giornalismo: quello delle indagini e dei rapporti sulla vita sociale che necessitano , per la complessità e ampiezza dei temi, della sinergia di più fonti: visive con le foto, scritte con interviste e approfondimenti, il tutto possibilmente senza enfasi e retorica , pregio che non manca a questa ricerca.
Per Itaca si è dovuti necessariamente fare una forzatissima sintesi, ma qui , in un caso come questo, si vede il limite di uno strumento come il portfolio di una decina (poco più o poco meno) di foto.
A mio avviso la ricerca di Marisa, anche se circoscritta in un ambito territoriale, andrebbe approfondita in modo capillare, dovrebbe essere composta da decine di ritratti e di interviste: creerebbe così uno spaccato del lavoro delle donne e dell’attività sindacale connessa, diventerebbe uno strumento formidabile di conoscenza e l’analisi che ne scaturirebbe potrebbe avere una forza dirompente.
In questa ottica , che è quella che serve per capire questo portfolio, diventa superflua anche l’osservazione sulla presunta tristezza dei visi! Non è un “reportage” sulla giornata lavorativa di alcune donne, NON abbiamo bisogno di vederle quando interloquiscono con le colleghe e i propri superiori, quando sono in pausa, quando vengono interpellate come sindacaliste per problemi connessi all’attività, o quando sono concentrate nelle proprie azioni, NON abbiamo dunque necessità di leggere sui loro volti le molteplici espressioni che passano sul volto di un lavoratore durante il proprio turno. Forse chi legge tristezza in quegli occhi, dovrebbe prima interrogarsi su cosa sia il lavoro “normale” quello non prestigioso, non creativo, quello che la stragrande maggioranza di noi donne si trova a svolgere; anzi che dico! della stragrande maggioranza di noi fortunati Italiani che abbiamo un lavoro!
Le donne fotografate a me non sembrano infelici, caso mai trovo che alcune di esse siano in tensione (sarà questo che le rende meno “femmine” di quanto si vorrebbe??) e questo è un fortissimo segnale di quei contrasti che a volte comporta l’essere sindacalista, anche se chi va a fotografare nell’azienda non è un giornalista ma un semplice fotoamatore
Ecco appunto torno alle 10 fotografie : mi dispiace dirtelo Marisa, ma il tuo lavoro deve proseguire oltre quell’impegno di fotoamatore, ITACA per te non è ancora raggiunta e il viaggio deve continuare!!!!
Questo è un lavoro che già conoscevo avendolo apprezzato immediatamente, pur partendo da situazioni ambientali molto diverse tra loro, la brava fotografa ha saputo dare uniformità stilistica all’intero portfolio. Condivido la scelta “coraggiosa” di usare il colore perché tanti avrebbero preferito la via più “ruffiana” del bianco & nero. Questa ricerca fotografica, come si evince dai vari commenti, si presta a molteplici interpretazioni di tipo sociologico più che prettamente fotografico; è un pregio, anche se poi diventa arduo, come mi sembra di capire dalle parole di Marisa, ritrovarci dentro anche quello che è trasparente alla macchina fotografica: l’ideologia, l’appartenenza, l’impegno. Forse per ottenere anche questo (ma credo che poi non sia così decisivo) andava utilizzato una delle varie tecniche di “assemblaggio” delle immagini, come per esempio il dittico affiancando alla delegata ripresa nel suo ambiente di lavoro anche qualche icona sindacale.