Il calotipo – di Enrico Maddalena, prima parte.
Il calotipo – di Enrico Maddalena, prima parte.
Non possiamo dimenticare, parlando di Talbot, il contributo dato alla fotografia dall’amico, astronomo e scienziato, Sir John Frederick William Herschel. Questi infatti aveva scoperto anni prima l’iposolfito e ne aveva notato le proprietà solubilizzanti sugli alogenuri d’argento. Fu lui a suggerire a Talbot l’uso di questa sostanza per fissare le immagini. Mentre il cloruro di sodio e lo ioduro di potassio usati fino ad allora la“stabilizzavano” momentaneamente rendendo gli alogenuri poco sensibili alla luce, l’iposolfito li asportava proprio, rendendo permanente l’immagine. Le proprietà “fotografiche” dell’iposolfito (il termine esatto è tiosolfato di sodio) vennero rese pubbliche e questa sostanza divenne di uso comune ed è usata ancora oggi. Fu Herschel a coniare i termini di fotografia e di negativo e positivo. È considerato il padre della chimica fotografica.
Ma parliamo del calotipo (composto dalle parole greche kalos, bello, e typos, stampa). Il termine riguarda le immagini ottenute da Talbot dopo la scoperta dello sviluppo dell’immagine latente, cosa che abbatté i tempi di posa, permettendo addirittura il ritratto e l’inizio della diffusione del suo metodo accanto a quello di Daguerre. Talbot seppe dell’acido gallico dal reverendo Reade che ne aveva scoperto le proprietà casualmente. Anche questo religioso stava ripetendo le esperienze di Wedgwood. Sapeva che il cuoio imbevuto di nitrato d’argento si mostra più sensibile della carta e utilizzò un paio di guanti di capretto che la moglie gli diede.
Quando il reverendo, che aveva finito il pellame, ripeté la richiesta alla moglie, questa giustamente non ne volle sapere. Reade pensò che la maggiore sensibilità del cuoio fosse dovuta alle sostanze usate per la concia, decise allora di “conciare” la carta. A quell’epoca si usava una soluzione di galle di quercia e di sommacco, ricca in acido gallico. Casualmente Talbot, che registrava con minuzia i dati di ogni sua sperimentazione, si accorse che l’acido gallico, oltre ad aumentare la sensibilità della carta, era in grado di rivelare immagini esposte per tempi molto brevi. È la scoperta dell’immagine latente e dello sviluppo.
Da una lettera scritta da Talbot il 5 febbraio 1841 alla Literary Gazette:
“Non è facile calcolare con esattezza fino a che punto si spinga questo aumento della sensibilità, ma ora si può certamente ottenere in un minuto un’immagine molto migliore di quelle che si ottenevano col procedimento vecchio di un’ora. Mi propongo di distinguere con il nome di Calotipie le fotografie di nuovo tipo che sono oggetto di questa lettera”.
Da una lettera del 19 febbraio dello stesso anno:
“Un giorno dello scorso settembre sperimentavo pezzi di carta sensibile, preparata in modi diversi, con la camera oscura, esponendoli alla luce soltanto per un tempo brevissimo, per scoprire quale di loro fosse il più sensibile. Estrassi uno di questi fogli di carta e lo esaminai a luce di candela. Vi si scorgeva poco o niente, e lo lasciai su un tavolo in una stanza buia. Ritornando dopo qualche tempo, presi in mano la carta ed ebbi la grandissima sorpresa di scorgervi una immagine nitida. Ero sicuro che quando l’avevo guardata la prima volta, non c’era niente del genere e quindi, escludendo la magia, l’unica conclusione possibile era che l’immagine si fosse inaspettatamente autosviluppata con azione spontanea.
Fortunatamente ricordavo il modo particolare con cui era stato preparato questo foglio di carta e sono stato quindi in grado di ripetere immediatamente l’esperimento. Come prima, appena estratta dalla camera oscura, la carta non presentava quasi nulla di visibile. Ma questa volta, invece di lasciarla da parte, ho continuato ad osservarla a lume di candela e ho avuto la soddisfazione di veder cominciare ad apparire un’immagine e tutti i suoi particolari emergere uno dopo l’altro. Nel campo della scienza conosco poche cose più sorprendenti della graduale comparsa dell’immagine sul foglio nudo, specialmente la prima volta che si assiste all’esperimento”.
A questo punto Talbot decide di brevettare il procedimento calotipico e ne parla all’amico Herschel che gli scrive:
“Fai benissimo a brevettare la calotipia. Nessuno potrà protestare per l’interpretazione liberale con cui ti proponi di esercitare il diritto di brevetto, e devo dire che non ho mai sentito parlare di un oggetto più promettente per un brevetto redditizio, del che mi congratulo sinceramente con te”.
E’ raro che a un fotografo possa interessare la storia dell’evoluzione tecnica e tecnoclogica, ancora più raro che ciò interessi al critico fotografico. Io penso che conoscere la storia dell’evoluzione dell’immagine tecnica ci apra a una più profonda percezione e quindi lettura di quel complesso significante visivo che è la fotografia. Lo stile narrativo, che Enrico Maddalena ha nel trattare questi argomenti, è coinvolgente e in particolare ci pone a contatto con le faticose vicende umane del singolo protagonista che per tentativi a volte ha trovato soluzioni tecniche di pubblica utilità. Anche se non appare nel rumore della pubblicità, ancora oggi l’evoluzione tecnica avviene perché pochi uomini spendono la loro esistenza nell’inventare nuovi media che trasformano la vita dell’umanità.
E’ straordinaria la competenza e la conoscenza di Enrico Maddalena della storia della fotografia e soprattutto è fantastico il suo modo di rendere affascinante il racconto della sperimentazione che è alla base della nascita della fotografia, come è alla base di ogni azione scientifica che ha caratterizzato il cammino del progresso umano.
Enrico ci trasmette la sua profonda passione per le antiche tecniche fotografiche e ci aiuta a crescere culturalmente e per questa ragione non finirò mai di ringraziarlo.
Complimenti per questo tuo contributo che è tecnico, storico, e non solo. evidentemente. Per esempio aiuta a capire della fotografia certe cose e a percepirne certe altre. Concettualmente, trascina, stimola, fa riflettere,suggerisce letture fotografiche e piani interpretativi più ampi, più articolati, più completi e complessi, dà anche un significativo aiuto al critico, oltre che naturalmente allo storico, in generale allo studioso di questa “maravigliosa invenzione” che è la fotografia. Bravo anche per la chiarezza del linguaggio che è intrigante, comunica, si fa leggere, ed ha un taglio narrativo gradevole ed essenziale che coinvolge il lettore sempre e comunque. Ancora complimenti.
Credo sia molto importante conoscere la storia della fotografia , è superfluo dirlo , ma non ci troveremmo qui senza la sua storia e la sua scoperta , la somma di ogni ricerca sarà le basi per ulteriori risultati futuri
l’invenzione dell’immagine fotografica sintetizza meglio di ogni altra il senso e il cammino della nostra memoria e la sua assenza indebolirebbe in un certo senso la nostra cultura.
Dice Francesco Alberoni: