Il corpo solitario – L'autoscatto nella fotografia contemporanea
IL CORPO SOLITARIO
L’autoscatto nella fotografia contemporanea
di
Fausto Raschiatore
Coinvolto direttamente in un incontro per la presentazione del volume IL CORPO SOLITARIO. L’autoscatto nella fotografia contemporanea, e indirettamente sollecitato da un genere che stimola all’approfondimento, ho raccolto alcune riflessioni sull’autoscatto, pratica fotografica legata alla coniugazione di diverse entità concettuali. L’opera, ideata e curata da Giorgio Bonomi per la Rubettino, indaga l’universo dei “Fotografi che fotografano se stessi”, è strutturata in otto capitoli: Il corpo come identità, autorappresentazione, travestimento, narrazione. Il corpo messo a nudo, assente, come denuncia, scandalo, sperimentazione, merce. Un lavoro realizzato nell’arco di un decennio, con qualche interruzione, che ha coinvolto oltre settecento autori e duemila fotografie.
“Per autoscatto – precisa l’autore – intendiamo le forme con cui un artista realizza la fotografia di sé o di una sua parte: con il temporizzatore, con il flessibile, con la camera in mano, con il porre una parte di sé direttamente sull’apparecchio riproduttore (ad esempio lo scanner), con il telecomando ed anche con la foto scattata materialmente da un servente, per usare la terminologia militare dell’artiglieria, dell’artista che si messo in posa, perché in questo caso siamo a pieno titolo all’interno della filosofia dello scatto, ed il servente, quasi sempre anonimo, ha una funzione meramente meccanica.” Una ricerca per calarsi nella realtà di un contesto singolare e, al contempo, per dare un contributo alla crescita della fotografia, nella quale si fondono, ora con maggiore equilibrio ora meno, le diverse sensibilità che praticano l’autoscatto, le potenzialità espressive del corpo solitario e l’ampia teoria dei tanti linguaggi che l’autore ha inserito nel volume. Questi ultimi, forse troppo numerosi, per cui, stimolando all’approfondimento penalizzano certe sensibilità a vantaggio di altre che ancora non riescono ad esprimere valenze narrative altrettanto efficaci. Infatti, alcuni scatti beneficiano di apprezzamenti che non meritano, mentre altri, soffrono per l’esatto contrario, meriterebbero di stare in un altro contesto. Una maggiore selezione avrebbe giovato al libro dandogli una e meglio definita identità.
Ampio il ventaglio delle proposte. Molte le tecniche utilizzate. Tante sensibilità diverse tra loro, nella forma e nei contenuti, tutte tese a dimostrare qualcosa, a elaborare un proprio punto di vista, in direzione sempre della possibile definizione della propria identità. Stati d’animo singolari, atmosfere speciali, indefinibili consapevolezze. E ancora: auto-rappresentazioni fini a se stesse, travestimenti diretti a raccontare un mondo che non esiste. Autoritratti finalizzati ad elaborare una storia con al centro l’autore. Uno stimolante universo di sensazioni nelle quali si nascondono timidezze, preoccupazioni, timori con i quali si vuole sempre dimostrare qualcosa, di buono o di cattivo, di bello o di brutto, di semplice o di complesso. Presenti autori notissimi, sconosciuti, emergenti, italiani e stranieri, donne e uomini. Si leggono, tra le pieghe di magnifici autoritratti, vere e proprie “singolari manie”, gli autori si sentono liberi, a tutti livelli, per cui fotografano se stessi in totale libertà espressiva. “Dal punto di vista della fotografia il ritratto sembra proprio la cosa più adatta da fare. Una cabina automatica – già ce lo insegnò Franco Vaccari alla Biennale del ’76 – non fa altro che sputare foto-ritratti utili a certificare che noi siamo proprio noi; e una volta in più si conferma l’intuizione di Foucault che le immagini da una parte sono il cemento che tiene a forza insieme i nomi e le cose, e dall’altra sono il terreno scivoloso che scompone questa presunta unità. Dunque facciamo un po’ il punto della situazione: il ritratto fotografico parte con questa aura fossile di autenticità, a tal punto che la storia della fotografia contemporanea prevede per la maggior parte infrazioni ai luoghi comuni dell’identificazione, della classificazione e dell’autorappresentazione. (Auto)ritratto: fra rimeditazione e rimediazione dell’identità fotografica”.
Un volume che affronta uno stimolante tema nell’ambito della fotografia, intesa come ricerca, indagine, studio, sperimentazione, che appassiona un numero di fotografi sempre maggiore. Per quanto attiene, invece, l’aspetto estetico e culturale, l’autoritratto, almeno così come è disegnato in quest’opera, invade più segmenti culturali. E non solo quello visivo. La psicologia, la sociologia, ad esempio. Se poi si guardano i generi, c’è il nudo, il ritratto, l’ambiente. E questo, si converrà, solo per fare qualche esempio di supporto alle riflessioni. “Il corpo solitario” , in realtà, non è un libro fotografico classico. E’, semmai, una raccolta di immagini, strutturata, per necessità di studio, con un taglio del grande album, nel quale, accanto a immagini interessanti, di alto contenuto linguistico-espressivo, esteticamente stimolanti, ce ne sono molte altre con poca o affatto valenza culturale. In questo volume, le fotografie, considerate singole e in gruppo, sono veicoli e strumenti di studio, campi di riflessioni, terminali di valutazioni. Non è un trattato di psicologia ma c’è molto di questa disciplina che studia i fenomeni propri del meccanismo mentale, affettivo e relazionale, sia dal punto di vista speculativo dal punto di vista sperimentale. E l’approdo di un autore all’Autoscatto è decisamente un fatto mentale complesso che invade altri universi, come il silenzio, la solitudine, gli ambienti, il corpo, il nudo. Tanto per dirne qualcuno. Auto-fotografarsi significa auto-rappresentarsi e, quindi, tentare di auto-giudicarsi. Si pensi per un momento al “Diario” oppure alla “Biografia”. Non è un modo per “vedersi”, raccontarsi, studiarsi, giudicarsi?
L’esercizio della critica fotografica si caratterizza nel fornire gli elementi per distinguere un’opera dalle altre. Questo libro presentato splendidamente da Fausto Raschiatore tenta di scrivere la grammatica del fenomeno espressivo dell’autoritratto. Di solito non interessa a tutti questo complesso lavoro di mente e di cuore compiuto dallo studioso, ma è solo con questa meticolosa analisi che si può assimilare la complessità della materia artistica e diventare competenti nel contribuire all’approfondimento collettivo.
L’artista è una persona che ha conquistato dei gradi di libertà espressiva superiori alla norma e in questo vasto repertorio di opere ciò viene dimostrato. Come sempre il fascino nasce dal vedere che l’arte è lo spazio in cui viene accolta e valorizzata la cifra singolare che è implicita nell’espressione soggettiva. L’autoscatto è uno degli esercizi più ardui anche se, paradossalmente, è il più facile da fare perché non si deve chiedere niente a nessuno. Ma dare all’altro l’immagine di Sé, è come suggerire cosa pensare di noi. Dicendo questo si apre un bel problema che questo libro aiuta a risolvere con l’imponente fenomenologia in esso raccolta e ben classificata.
Ringrazio Fausto Raschiatore per la stimolante recensione. Personalmente sospetto che esista un altro tipo di autoritratto simbolico o forse meglio dire metaforico dove l’autore si rappresenta tramite un oggetto o altro che suggerisce allo spettatore cosa pensare dell’autore. Certamente quello dell’autoritratto è un tema molto affascinante in quanto il personaggio che si autoritrae è portatore di una ambiguità e di una pluralità di significati che sfidano l’immaginazione dell’artista e dello spettatore.
Affascinante e dottissima la bella presentazione di Fausto Raschiatore del libro curato da Giorgio Bonomi sull’autoscatto.Come scrive Fausto, auto-fotografarsi significa auto-rappresentarsi, per tentare di autogiudicarsi: ma siamo sicuri che il nostro tentativo di auto-rappresentarci fornisca di noi, agli occhi degli altri,un quadro fedele e veritiero? lo stesso che può percepire un’altra persona nel guardarci e quindi nel giudicarci? Ecco, in questo senso l’autoritratto è la più ” pirandelliana” forma di espressione artistica , ed è forse per questo, che risulta così affascinante. Grazie e complimenti a Fausto per gli stimoli che è capace di darci.
Frida Kahlò, si è ritratta molte volte dicendo:< “Dal momento che i miei soggetti sono sempre stati le mie sensazioni, i miei stati mentali e le reazioni profonde che la vita mi ha inflitto ,mi sono fotografata spesso per esprimere ciò che sentivo dentro e fuori di me”.
Attraverso l’autoscatto non solo si attua un processo cognitivo ,ma soprattutto emozionale e relazionale ,diventa un gioco di specchi dove il soggetto diventa spettatore ma nello stesso istante diventa oggetto rappresentato .Nella storia dell’arte tantissimi artisti si collocavano con ritratto o intera figura nell’opera stessa come Michelangelo, Raffaello , Goya, Courbet, Rembrandt ,nella rappresentazione moderna troviamo Picasso, Warhol ,Munch , Ligabue . e tanti altri .
Forse ,rappresentare il proprio corpo o il proprio volto diventa un bisogno ,consciamente o inconsciamente l’artista dà forma ai caratteri e ai valori del suo tempo e ne resta a sua volta condizionato e formato .