Eva Polak, fotografa impressionista – di Isabella Tholozan (III° Parte)

“EVA POLAK FOTOGRAFA IMPRESSIONISTA” – di Isabella Tholozan (III° Parte)

 Poetica

Una frase di Wynn Bullock (Chicago 1902 – 1975), esprime fedelmente la poetica di cui si nutre la produzione della Polak: “È attraverso la magia della fotografia che la luce diventa materia con colori, forme, spazio e tempo … relazioni che esprimono i miei sentimenti più profondi e credenze”.

Questa frase del grande maestro americano codifica e riassume l’opera fotografica di Eva Polak che, pur non essendo ancora nota a livello internazionale, può identificarsi in quelle correnti contemporanee di fotografi artisti, conoscitori e studiosi dell’arte contemporanea, i quali intendono affrontare nuove e sperimentali forme di fotografia.

La produzione fotografica, liberata così dai vincoli dettati dalla tecnica, concede una libertà stilistica sconfinata, consegnando all’osservatore suggestive frontiere dello stato d’animo, mentre al fotografo è data la libertà assoluta di rappresentare in maniera personale una realtà che non è mai uguale a se stessa, che muta in continuazione, così come mutevoli sono lo stato d’animo e i moti della psiche umana.

Attraverso la visione fotografica impressionista, Eva Polak ripercorre sentieri tangibili verso altre dimensioni, oltre i limiti del finito, fino a raggiungere pieghe nascoste e segrete dell’essere.

Metaforico e allegorico può definirsi il dialogo utilizzato dall’autrice, per esprimerne lo stupore e l’emozione che la stessa realtà può dare, se rivisitata sotto ottiche differenti, come il mare che rispecchia l’andamento torrenziale del cielo e le dinamiche delle luci e delle ombre naturali.

Questa emancipazione stilistica ed estetica, mai fine a se stessa, conduce alla ricerca della realtà e verità che, proprio per la loro cruda condizione, accompagnano l’osservatore a godere della profonda bellezza e dei contenuti psicologici che da essa scaturiscono.

Non esistono cose brutte, lo scriveva, ricorda l’autrice, anche il pittore inglese John Constable che asseriva come il dato, quando è ciò che esso è, in un gioco di luci e ombre ben calibrate e veritiere, esprime tutta la propria bellezza estetica. La bellezza, quindi, di un oggetto o di un soggetto, ritratto nel contesto ambientale e panoramico in cui è incluso, diventa poliedrica, multiforme perché è riposta nelle varie dimensioni su cui si struttura la complessità dello stesso.


 

Concludo questo mio intervento consigliandovi di visitare il sito ufficiale dell’artista http://evapolak.com e di visionare le immagini e i video in esso contenuti.

La curiosità verso questi particolari stili fotografici nasce prevalentemente dalla mia formazione artistica, questa mi spinge a prediligere generi alternativi, volti a un’espressività personale e alla ricerca di poetiche intime e psicologiche.

Come ho già detto, vari sono, nell’attuale panorama fotografico, gli autori che hanno intrapreso sperimentazioni simili; Ivano Bolondi, autore dell’anno Fiaf 2005, ha vinto la sua battaglia volta al riconoscimento di una fotografia più intima e personale, capace di imprimere sulla carta, non solo le immagini ma, anche ciò che le immagini suscitano e scatenano a livello emotivo, regalando all’osservatore una percezione profonda dell’opera.

Da sempre fotografia e arti pittoriche hanno percorso strade parallele, intrecciandosi sovente durante il loro processo creativo; non a caso, proprio la pittura impressionista ebbe la prima opportunità espositiva grazie al fotografo Felix Nadar che, nel 1871, offrì agli artisti il proprio atelier, suggerendo inoltre, con le sue immagini fotografiche, prospettive inedite e scorci sconosciuti; gli stessi che, tradotti in pittura, contribuirono alla più grande rivoluzione artistica conosciuta, aprendo la strada alle arti contemporanee.

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