SLOW WATCHING, photo-art movement – di Marco Fantechi

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SLOW WATCHING, photo-art movement – di Marco Fantechi

Nata più di 150 anni fa come strumento per la riproduzione della realtà, la fotografia, ancora oggi, non è riuscita a liberarsi completamente dell’abito che la vuole come una forma di pittura meccanica e istantanea. Proprio dal paragone con la pittura scaturisce la frase, suggestiva ma al tempo stesso ingenua e pretenziosa, così troppo spesso citata dai fotografi, che definisce la fotografia come un “disegnare con la luce”.

È venuto quindi il tempo di fare chiarezza e trovare per la fotografia una propria identità che non sia solo la semplice rappresentazione della realtà (altri mezzi di comunicazione hanno maggiori potenzialità) e darle una propria dignità liberandola dal ruolo di sorella minore della pittura.

A differenza del pittore che da una idea riproduce la sua realtà, il fotografo parte dalla realtà per realizzare una sua idea. Il mondo che si trova davanti all’obiettivo della macchina fotografica è obbligatoriamente la base di partenza, quindi l’opera fotografica non trova la sua artisticità nel costruire, ma nel saper vedere, cogliere, ritagliare una piccola parte di mondo.

Se il fotografo inquadrando interpreta e mostrando rivela la sua realtà, non dobbiamo lasciarci ingannare dall’istantaneità dei tempi di ripresa: questa operazione nella fase artistica della sua realizzazione, ma anche nel momento successivo della fruizione, per essere compiuta e letta correttamente, richiede di rallentare il processo della visione.

Una fotografia che non sia solo ricerca estetica, ma anche produttrice di senso, passa necessariamente attraverso una visione più attenta del mondo, “uno sguardo che non spia un bottino da catturare, che non va a caccia di avventure eccezionali” (1), che non sia solo un fortuito cogliere l’attimo. Uno sguardo, in definitiva, che non si limita a guardare, ma che sappia vedere anche quello che non chiede di essere visto.
I lavori fotografici sono immersi in una dimensione di tempo e di spazio diversa, essi non sono scanditi rigidamente come nel cinema o nella vita reale, non hanno la continuità della musica o della prosa. Ci troviamo davanti a parole e silenzi, sequenzialità e circolarità, possibilità di scorrere in avanti, ma anche di tornare indietro in un surrealistico sconfinamento dalla stessa realtà. Nella fotografia lo sguardo non è guidato, ma si muove liberamente sulla superficie dell’immagine, ne segue le tracce di realtà, con una temporalità tutta propria e ci offre quindi finalmente anche la possibilità di rallentare il processo di comunicazione e di passare dalla semplice condivisione ad una più piena comprensione.

“Il grande ruolo che ha oggi la fotografia, da un punto di vista comunicativo, è quello di rallentare la velocizzazione dei processi di lettura dell’immagine. Rappresenta uno spazio di osservazione della realtà, o un analogo della realtà, che ci permette ancora di vedere le cose. Diversamente, al cinema e alla televisione la percezione dell’immagine è diventata talmente veloce che non vediamo più niente. E’ come riuscire, una volta tanto, a leggere un articolo di giornale senza che qualcuno ci volti in continuazione le pagine. E’ una forma di lentezza nello sguardo estremamente importante oggi, considerato il processo di accelerazione di tipo tecnologico e percettivo avvenuto negli ultimi anni.” (2)

Si deve pensare che l’uomo solo negli ultimi cento anni della sua millenaria storia, con l’invenzione dei mezzi a motore prima e con il cinema e la televisione poi, ha accelerato il suo processo di visione rendendolo, nel contempo, più superficiale. Andare a “passo d’uomo” prima era la normalità, oggi è divenuto solo uno spiacevole inconveniente dovuto al traffico congestionato.

Pensiamo quindi a come è cambiato il nostro rapporto con la lettura del paesaggio ed in genere di tutti gli eventi ordinari che ci circondano, il nostro sguardo distratto non riesce a soffermarsi su di essi, non ne viene coinvolto, come rassegnati a non provare stupore nella nostra quotidianità abbiamo smesso di cercarne l’importanza oppure, forse, siamo affetti da quella cecità di chi crede di sapere già tutto.

La fotografia è un lavoro di pensiero e SLOW WATCHING significa riprendere consapevolezza dell’ordinario attraverso uno sguardo più attento, più lento, e raccontarlo per mezzo della fotografia.

Occorre uno sguardo che sappia rendere dignità alla nostra quotidianità e tornare a provare stupore anche delle cose semplici perché, saper riscoprire quello che ci circonda tutti i giorni, è anche imparare a stare bene con noi stessi, trovare quello che Luigi Ghirri chiamava “il sentimento di stare al mondo”.

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(1) Gianni Celati, Intervista sull’opera di Luigi Ghirri
(2) Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Edizione Quodlibet, 2010

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