"ROVINE" di Anna Secondini – a cura di Giancarla Lorenzini

“ROVINE” di Anna Secondini

a cura di Giancarla Lorenzini

 
 

Anna Secondini, 26 anni, è un’autrice fortemente creativa e aperta alla sperimentazione che conferisce alle sue opere non soltanto un valore formale ma un contenuto volto alla riflessione e ad interrogare la nostra coscienza. Fino a qualche anno fa la fotografia era per lei solo un contorno o un mezzo per giocare di tanto in tanto. Affascinata dall’arte e dalle infinite realtà che essa può creare ha intrapreso un percorso che la porta a scendere in profondità per “vedere attraverso”. Nerval diceva < io credo che l’immaginazione umana non abbia inventato nulla che non sia vero, in questo mondo o nell’altro>; Anna osserva e cerca di giocare non solo con ciò che si vede ma anche su come si vede. Gli studi all’ l’Istituto Statale d’Arte E. Mannucci di Ancona, poi la laurea in Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino hanno formato in lei una forte coscienza critica e determinato una capacità espressiva del tutto autonoma. Il lavoro “Rovine”, realizzato nel 2013, di cui ci occupiamo in questo post, è stato un progetto fortemente influenzato dal libro “la Poetica dello Spazio” di Bachelard, che, a suo dire, le ha permesso di avvicinarsi a immagini poetiche, e così facendo sviluppare il pensiero e il gesto che le ha permesso di realizzarlo.

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<L’immaginario filtra attraverso i nostri sensi e le nostre emozioni, ricercando in ciò che ci circonda corrispondenze e valori aggiuntivi perché è attraverso la fantasia che viene stabilito il valore della realtà. La casa abbandonata è una materia trasformata dall’opera dell’uomo, che non si è limitato a costruirla ma che l’ha riempita con tutto il suo vissuto, essa è come un palcoscenico dove viene rappresentata la commedia umana e dove restano tracce indelebili di questa sua rappresentazione. Rovine si lega al termine e al concetto di immagination materielle sviluppato da Bachelard, concetto che indaga sullo studio delle forme dell’immaginario che per il filosofo sono strettamente legate alla materia. Difatti è agendo su vecchie pareti che si creano indizi e suggestioni, collegando nelle fotografie realtà pittoriche a oggetti e spazi reali; conferendo senso alla fotografia non solo attraverso ciò che si vede ma anche a come si vede. Le dimore sono “abitudini di lunghe abitudini” ma una volta in rovina diventano quella realtà disabituale che coglie l’uomo di sorpresa e riempie il pensiero, perché non avendo più una funzione pratica se ne coglie il mistero e la sua intimità verità>.

 
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 Scrive Massimo Renzi: Parafrasando Magritte, le cui suggestioni sono ben ravvisabili in diverse di queste immagini, pensando alla sua “Trahison des images” potremmo reinterpretare il titolo in  “Queste non sono rovine” poiché è chiaro che non si tratta solo della rappresentazione nostalgica o poetica di una casa abbandonata, né di una mera registrazione degli effetti del tempo su “cose che appartennero a persone”: le Rovine sono piuttosto la metafora di un palcoscenico, quello della vita umana, che anche quando su di sé cala il sipario conserva le tracce più o meno latenti di innumerevoli rappresentazioni. Fotografia e pittura operano in simbiosi, in queste immagini, e concorrono senza rivendicazioni di supremazia ad una loro re-immaginazione.  Essa (l’immaginazione materiale) produce forme a partire dalla materia, e alla materia riconduce, per dissolverle e rigenerarle (…). L’immaginazione materiale non si ferma alla surface ma scava nella profondeur (…). Sognando la materia, la coscienza si ritrova origine e creatività (…), forza formante”. Le vecchie pareti divengono così spazi della mente e materia da plasmare, suggestioni pittoriche che s’intersecano e interagiscono con oggetti reali, in una dimensione onirica in cui ricordo e immaginazione si fondono in una visione, la “dimora”, che il doppio inganno -fotografico e pittorico- ha reso reale e al contempo effimera, riconoscibile ma espoliata da qualunque funzione pratica al di fuori di quella ricreata dalla “manipolazione”.Le immagini che ne risultano non vanno necessariamente interpretate o spiegate, ma più semplicemente contemplate affinché se ne possa cogliere il mistero, e, perché no, nuovamente re-immaginate in un’azione della coscienza, alla ricerca delle più intime verità.

 
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