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IO esco – di Antonio Fiocchi

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Quante sono le fonti d’ispirazione, le situazioni, i 10-100-1000 momenti della nostra  giornata che posso trasformarsi,  dall’indifferenza che non crea percezione alcuna, alla lucida attenzione nei dettagli che ci permette di  vedere un mondo parallelo, quello della consapevolezza di ogni nostro agire.
Antonio Fiocchi ha semplicemente fissato in immagini questa consapevolezza, la quotidianità dalla dimensione del banale a quella del racconto. Troviamo in questa sequenza d’immagini un chiaro esempio di sintassi fotografica che non vuole però rappresentarci solo un esercizio di stile ma la grande, inesauribile capacità del mezzo fotografico di comunicare.
 
 

IO  esco

 di Antonio Fiocchi

 
 

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7 commenti

  1. “Io esco”, di Antonio Fiocchi, è un’opera animata da un’idea concettuale perché le immagini sono giustificate da una gabbia concettuale: la prima metà è muro la seconda metà è frammento di un oggetto domestico.
    L’opera concettuale ha qualcosa di magico perché pur nella più estrema semplicità, con la forza della coerenza riesce a comunicare con originalità un senso, anche se il tema è il più immediato come questo.
    L’autore ripetendo coerentemente il concept (la gabbia concettuale) ha dato prova di stile e già questo basta per raggiungere un valore artistico.
    Non starei a leggere significati e storie particolari, ogni immagine parla di una casa simile a tante, la sequenza può essere la più varia ma non riuscirà a costruire una storia e probabilmente questa indeterminatezza potrebbe essere un valore aggiunto proprio nel decostruire lo stereotipo domestico.
    Complimenti a Antonio Fiocchi per l’ideazione e lo aspettiamo con altri lavori per scoprire la sua identità artistica.

  2. Del concettuale si è parlato, grazie a Silvano Bicocchi, durante l’ultima edizione del PhotoHappening di Sestri Levante.
    Che dire dell’opera di Antonio Fiocchi? Che ha avuto la capacità di sintetizzare il concetto di quotidianità comune, fatta di piccoli particolari ai quali, ognuno di noi, è in qualche modo legato e affezionato.
    La fotografia concettuale merita più spazio e, da parte nostra, più studio! Mi unisco ai complimenti del Direttore perché ogni piccola goccia può fare grande il mare di Agorà!

  3. Il lavoro concettuale di Antonio Fiocchi si pone a pieno diritto nel solco della ricerca fotografica sintetica e sintattica più pura: pochi elementi, illuminazione uniforme e frontale, studio della contrapposizione e del doppio. Nelle fotografie di Antonio possiamo intuire un racconto, ma possiamo vederci tutt’altro…non è poi così importante, quello che è importante è la sua coerenza di pensiero e la sua purezza stilistica.
    Complimenti vivissimi!

  4. Gabbia concettuale strettissima dal taglio ardito, che mette in evidenza in ogni immagine la figura retorica della sineddoche.
    Una parte per il tutto.
    Sapientemente l’autore ci lascia libera la metà sinistra del fotogramma per completarlo mentalmente mettendoci nei panni del protagonista.
    Uno splendido lavoro, perfettamente composto, in cui i pochi elementi sono più che sufficienti per far lavorare la nostra fantasia e immaginazione.
    Complimenti Antonio!

  5. Ritorno a questo lavoro perché m’intriga così come i commenti postati. Quando si fotografa SEMPRE si fa un ritaglio di qualcosa di più grande, anche per esempio fotografando l’intera Terra dalla Luna si esegue un ritaglio di una cosa più grande. Quindi mi sfugge il significato che in questo caso siamo al cospetto di un lavoro di tipo concettuale in quanto l’autore fa quello che fanno tutti, sceglie solo una parte di qualcosa. Sarebbe veramente originale e concettuale se ci avesse mostrato solo quello che solitamente viene lasciato all’eterno del perimetro inquadrato, il non ritaglio! La non scelta, il tutto. Leggere di fotografia concettuale oggi mi lascia un poco perplesso, il movimento è nato a metà degli anni 60 ed è terminato pochi anni dopo.
    Resta però sempre un argomento molto amato dai lettori e dai critici, anche ai nostri giorni come ampiamente dibattuto durante l’Happening di Sestri, perché consente e obbliga all’uso della parola per dare un significato a quello che si sta guardando. In questo modo consente la rivincita della parola e della letteratura sui significati iconici dell’immagine, che se ben fatta non ne ha mai bisogno. Fornisce più spunti e argomentazioni un’immagine indefinita (sfuocata, mossa, monca, assente) di una fotografia dove qualsiasi suo dettaglio è ben visibile. Ma poi ai fotoamatori anche se stimolati piace di più la fotografia della memoria, quella che ricorda le figurine da attaccare agli album, quella dei cataloghi. Le foto precisine, quadratine, con le cornicine. Se le metti vicine sembrano praline.

    1. L’Idea è concettuale quando le immagini sono ottenute attraverso un processo creativo governato da un preciso concetto che le giustifica.
      Ho utilizzato il termine “gabbia”, poiché l’autore ha mantenuto il “ritaglio” degli oggetti inquadrati in maniera seriale all’interno di tutto il lavoro; una scelta non casuale quindi, utilizzando la retorica della sineddoche, “una parte per il tutto”.
      Sarebbe stata la stessa figura retorica anche se, all’inverso, non avesse “ritagliato” lasciando “il tutto per una parte”.
      La scelta stilistica dell’autore mi sembra presentata in maniera più incisiva in questo modo, che lascia adito a varie interpretazioni.
      La fotografia è un linguaggio incompleto, come tutti del resto.
      Senz’altro in alcuni casi l’immagine non ha bisogno di commenti, ma in altri un titolo, una minima didascalia può veramente costruire un ponte di comunicazione con il fruitore decisivo per l’interpretazione, senza per questo pregiudicarne il merito.

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