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Distese di Antonietta Ferrante

Distese  di  Antonietta Ferrante
Questo luogo è la meta del mio viaggio. Qui la mia anima si spoglia e si libera dentro al mio respiro.
Amo respirare questo luogo dove il tempo scalfisce le sue forme e il vento disegna lieve, il suo passaggio. Sento l’odore del freddo; osservo l’immenso candore della neve disegnare graffiti di vita e il biancospino generare nuova vita; intravedo le creoci e un senso di pace pervade la mia anima. Amo respirare questo luogo perché è pieno di sentimento che mai morirà.
Opera vincitrice 25° edizione di lettura Portfolio Aternum Pescara.
 


 
Biografia
Mi sono avvicinata alla fotografia circa cinque anni fa; il mio sguardo è sempre rivolto all’interiorità dell’uomo, alle sue contraddizioni. Amo osservare e condividere tutto ciò che mi circonda con semplicità.

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3 commenti

  1. Una silenziosa ed al tempo stesso profonda osservazione di una specifica realtà circostante porta l’autrice ad immergere completamente lo spirito in una riflessione intima ai margini dell’assoluto.
    Sguardo e anima si fondono dando origine ad un’opera visiva di forte connotazione emozionale.

  2. Un lavoro fortemente grafico dove i riferimenti reali si perdono e si ritrovano tra i segni, fino quasi a scomparire nel bianco della neve che copre e inghiotte ogni traccia. Tale è l’uomo, di cui le croci e le lapidi testimoniano il passaggio:”l’uomo è come l’erba”,”come fiore del campo”, fisicamente esiste per un tempo e poi scompare, come “vapore che passa”. Queste immagini riportano alla mente certi paesaggi interiori del reggiano Varini, o del marchigiano Papa, o di altri autori che nella semplificazione massima dell’immagine, connotata solo da pochi indizi, induce chi guarda ad andare oltre a cio’ che è rappresentato e a cercare il proprio personale significato in cio’ che vede

  3. Fa bene Giancarla a chiamare in causa Varini che è sicuramente il punto di partenza (al di là del fatto che Antonietta Ferrante si sia ispirata effettivamente o meno a lui) perché è di questo che abbiamo bisogno quando ci troviamo davanti ad immagini così fortemente “sintetiche” ed iconiche ad un tempo: un punto di leva. Su di esso facciamo perno per indirizzare sia il nostro sguardo sia la nostra memoria.
    Eccola quindi la parola magica che trovo qui: “memoria”. Dell’uomo e di ciò che ognuno di noi significa e quindi ricorda e quindi proietta davanti a sé. Memoria di ciò che abbiamo avuto la ventura di vedere, nel cercare. Memoria quasi anteriore di vedere dove finiremo, senza infingimenti.
    Il bianco e il nero non sono allora soltanto segni grafici ma sono vere e proprie tracce che ci guidano. A differenza però della “mappa”, qui ciascuno di noi troverà il suo percorso, la sua libera camminata, tra gli ostacoli o le vie che la sua formazione gli ha lasciato. Mi vado sempre più convincendo che quando guardiamo, guardiamo prima di tutto noi stessi e cosa di meglio che queste immagini libere, per sovrapporci sopra il senso personale, individuale. E’ altrettanto vero che nessun senso individuale si fa, senza il senso della storia, e così possiamo tracciare noi la linea che ancòra, nel lucore del vuoto, non vediamo. Ogni sguardo è una traccia, ogni segno un significato e quindi un colpo battuto sull’uscio del nostro stare sulla terra leggeri. Più leggeri possibile e, allora, senza se e senza ma, bianco sia.

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