Libertinia – a cura di Eletta Massimino e Stefania Licciardello
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Cronache Di Cult
Libertinia
foto di Eletta Massimino e poesie di Stefania Liciardello
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Nota dell’Editore
Da viaggiatore a viaggiatore, fuori dal percorso turistico delle vestigia greco-romane e poi bizantine e poi arabo-normanne e poi e poi.
Qualche millennio prima, e ancora prima, c’era la terra. E tutto era incerto, poco rassicurante, la vita umana era un miracolo di sopravvivenza sempre a rischio di catastrofi e fame. Si sopravviveva insieme, sommando il sapere di uno a quello di un altro, barattando frumento con uova olio ricotta formaggio. Si sopravviveva in quanto comunità. Niente di pacifico e idilliaco, tutt’altro. Ancora meno pacifico se si considera quanto accadeva all’interno della suddetta comunità umana. Di terra e di vita umana parliamo, di sangue troppo spesso versato come cattivo, non necessario, fertilizzante.
Le coordinate di questo viaggio sono le persone e, di tutta la terra, un lotto del CREA.
Stefania Licciardello, poeta, ricercatrice al CREA da 28 anni, precaria da 28 anni. “Precaria” è, in questo libro, titolo onorifico e patente di corrispondenza alla stagionalità della terra. I suoi versi sono scrosci di parole su corpi e campi.
Eletta Massimino, fotografa, testa occhio e cuore in linea, e la sua decisa trasversale visione delle cose del mondo in relazione agli esseri umani. “Visione” che non può prescindere dalla dimensione poetica, metaforica, connaturata alla partecipazione silenziosa e appassionata alla vita.
Pippo Pappalardo, ogni incontro con lui è una lectio magistralis, prismatica e onnicomprensiva. A lui va il merito, uno fra i tanti, di avere catalizzato la composizione del libro sul Mito di Demetra.
Libertinia è un gruppo di case e poche strade e poche persone che ci vivono, il borgo ignoto e ignorato, come tanti luoghi dentro la Sicilia ignota e ignorata. Al primo suono del nome ri-suonano possibili accostamenti ideali, storici, liberali. Ma è il nome del fondatore. Basta cercare su Google.
Su Google non si trova questo libro, e neppure su Amazon.
Piero Ristagno
Nèon edizioni
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Alcune immagini e poesie del libro (cliccare sulle sequenze per ingrandirle)
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Libertinia è la scena – e il libro – laddove due anime, per nutrire le loro emozioni, legano liberamente le parole agli sguardi, le poesie alle immagini.
Lo storico borgo di fondazione, politicamente incistato sulle terre lambite dal corso del Dittaino, è l’odèon (e quindi l’ascolto, e quindi la visione), tessuto e narrato tra l’oro delle spighe pungenti e il suono aspro del vento che bacia il frumento maturo.
Un odèon dove ascoltare ancora le dichiarazioni, le confidenze, le confessioni di un amore che si fa povero per insegnare alla gemma un canto nuovo, che si fa puro nell’attesa del reciproco riconoscimento, che si fa sacro perchè ogni poesia d’amore è un dramma.
Cerere, intanto, ascolta, vede, danza e canta; raccoglie, invoca, si commuove, si nasconde.
Libertinia è il tempo di questi canti; è il tempo dei versi come il tempo delle immagini che, complementari, da lì provengono per raccogliere le inquietudini della storia.
Le immagini recupereranno la mimesis come un contatto nuovo, un nuovo desiderio di curare il mondo nella consapevolezza che finché c’è inquietudine c’è speranza.
Hanno compreso, infatti, che il tempo delle stagioni e dei sentimenti, del krònos come del kairòs, è solo un velo che occorre sollevare. Ma l’àion sarà ancora lì?
Dioniso, intanto, sogghigna.
Pippo Pappalardo
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Cara Eletta,
La sublimazione della realtà agreste, operata dai testi sempre pregnanti di Pappalardo e le poesie penetranti di Stefania Licciardello, si integra in modo simbiotico alla tua narrazione per immagini.
La mia lettura pone una riflessione sul libro essenzialmente riposta sul tuo linguaggio iconico, rivolta alla comprensione del senso che Tu hai composto con la narrazione per fotografie, senza aggiungere immagini alle tue immagini.
La prima foto, della stazione abbandonata, è il simulacro della realtà di Libertinia che stabilisce il fattore di scala storico del presente. Essa diventa la soglia antropologica dalla quale si anima la tua visione rivelatrice e salvifica di storie: di terra, di case, di spinte insopprimibili verso un respiro arioso di nuova vita che sa amare il lavoro e ogni frutto che la terra severa misteriosamente dona.
Vedo che Tu parli prevalentemente col linguaggio consapevole ed essenziale della “sineddoche” nelle sue due declinazioni: “il tutto per la parte” e “la parte per il tutto”. In questo modo la tua narrazione resta fermamente legata al tema, mostra i simboli dell’identità contadina e avvia nuovi processi simbolici rivelatori, con la tua protagonista che annuncia una nuova condizione sociale della donna.
Una donna in jeans, in uno scenario indifferente allo scorrere del tempo, che brandeggia la falce con uno spirito ribelle verso un segreto passato ancora presente, che scrive immersa nel campo di grano, che con portamento austero prende coscienza di una nuova libertà dell’essere in questa condizione sociale cristallizzata.
Una donna che non si preoccupa di essere bella… ha tolto la maschera sessista preparata per la sua parte nella commedia del mondo. È Madre affettuosa, fiera e forte… e con lo stesso accudimento è contadina: si immerge nel campo; sente la terra premere sul suo corpo; apre le spighe e misura i chicchi di grano; sbroglia la paglia intrecciata dal vento; osserva ogni pianta del suo campo e la vita silenziosa che vi impera; infine tra le mani gioisce del raccolto.
Il maschio, colto nelle diverse età, ci appare prigioniero di un patriarcato disarmato.
Il fanciullo è la speranza di un diverso futuro della Madre, e sospeso nel tempo… innocente cammina in un mondo arcaico che lo accoglie con i suoi silenziosi spazi e forti presenze.
L’adulto è ingessato in una storia già scritta che non annuncia un futuro.
Il paesaggio è l’archetipo imprescindibile, dove pulsano le dinamiche intime e sociali da Te narrate.
Il fascino della sua bellezza geometrica che chiama l’amore per l’armonia essenziale della forma, o la sua forza metaforica sprigionata quando il cielo si gonfia di nubi e il vento agitando il grano fa sentire il respiro dell’eterno. La tua immagine di donna è connaturale ad esso, e nello stesso mistero genera vita.
Silvano Bicocchi
Nonantola, 29/09/2019
Riporto la mia lettura dell’opera fuori dall’opera, perché è lì che deve stare come voce di risposta ai messaggi accorati di questo libro denso di visioni, di sentimenti e di manifestazioni di vita vera di siciliani particolarmente sensibili e attenti alla loro terra.
(Il libro è disponibile in: ibs.it – Amazon)
Grazie Silvano delle tue parole e delle relazioni che metti in evidenza in questo mio lavoro.
Eletta
Silvano Bicocchi, mettersi esterno ad una periferia, cancella i margini che saranno nuovi continuamente; i suoi occhi e dietro tutto il resto hanno preso quel treno, ne sono certa, viaggia a un ritmo lentissimo quasi una vecchia corriera, sceso in stazione ha guardato e ha compreso, sì volevo principalmente ringraziarla per la Comprensione, cosa rara che avvalora. Grazie ancora La donna in jeans
L’amore per la terra e per i suoi frutti.
L’amore per il figlio.
Essere donna senza condizionamenti.
I volti scavati di una dura vita agreste.
Un piccolo nucleo di casette così timidamente ordinate che sembrano quasi non voler ferire un paesaggio che parla di terra coltivata, comunque trasformata rispetto al suo antico passato ma che ora mostra segni effimeri del lavoro dell’uomo.
Un tempo che sembra sospeso e silenzioso e che tuttavia fa i conti con i cicli della natura.
Di questo mi parlano le foto Eletta che corredate dai testi di Stefania, vedono aggiungere ulteriori elementi che completano una sensazione finale.
È una sensazione positiva, di lotta per la vita e per questo mi piace molto.
Complimenti ad entrambe.
VG
Libertinia, come altri borghi contadini nati in epoca fascista, è un’isola senza tempo, eppure attuale, dimenticata ma ancora viva.
Il bianco e nero non nasconde il sole, la terra bruciata, i colori forti di una natura selvaggia, e rafforza la sensazione di isolamento e durezza della vita a contatto con la terra.
Ma poi ci arrivano la poesia e la dolcezza di una mano che raccoglie, di due visi che si sfiorano, di un abbraccio: la madre e la madre terra si sovrappongono lasciando in noi una sensazione di eterna gratitudine per la vita che continua.
Vedere queste foto, per me, equivale a sentire nel cuore e sulla pelle la mia Sicilia, e in un attimo rivivo scene dell’infanzia, di vecchie stazioni ferroviarie immerse nella campagna, di campi di grano a perdita d’occhio.
Complimenti a Eletta e Stefania per la loro delicata ma intensa “visione” corale.