Critica fotografica- Opere

ALLORA NIENTE _di Daniela Borsari – a cura di Giuseppe Vitale

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Questo lavoro nasce dalla lettura di una poesia di Chandra Livia Candiani, tratta dalla raccolta “La precisione dell’amore – La bambina pugile”:
 
Niente, è che a me piacciono da sempre
le cose mute,
quando l’io zittisce
e si alza il volume della voce
non solo degli uccelli
ma anche del silenzio dell’armadio
e del tavolo
della lampada e del letto.
Allora niente,
vivo in una nuvola di luce
dove tutto rabbrividisce
e fa parola, allora bevo
all’orlo del mondo
alla sua fontana.
 
La poesia, senza titolo, ha fatto risuonare in me il desiderio di mettermi in ascolto del “sound of silence”,  di andare alla ricerca della musica che emana da ogni semplice oggetto o elemento naturale e che mi parla di connessioni tra me ed il mondo.
(Daniela Borsari)
 

Allora niente

di Daniela Borsari

 

 
 

Poesia e fotografia:

«Un confronto di linguaggi artistici per ristabilire il contatto perduto con la propria appartenenza all’essere del mondo»
(Yves Bonnefoy.)
Durante gli incontri settimanali del “Laboratorio fotografico” del CFM  Daniela Borsari ha presentato il proprio lavoro “Allora niente” dimostrando, in modo convincente, che parole e immagini possono tra loro comunicare per esprimere pensieri ed emozioni.
Un flusso continuo può legare i due mondi.
Nel nostro caso da un pensiero frutto di parole nasce l’idea di una fotografia.
Un’impresa di grande fascino, una scommessa sulle proprie capacità di reinterpretazione. Siamo in presenza di un progetto tematico coerente che nasce, così ci dice l’autrice, da un’urgenza interiore non casuale.
Possiamo considerare ogni immagine come una storia stratificata, in superficie appare una fotografia molto semplice ma ciò a cui rimanda, in profondità, è un altro mondo.
Il portfolio di Daniela, inoltre, richiede un osservatore attento, è una fotografia che coinvolge il suo spettatore, il suo lettore che viene, inevitabilmente, “a farne parte”.
Crediamo, per questo, sia un esempio riuscito di fotografia concettuale e siamo desiderosi di conoscere il pensiero del direttore.
Giuseppe Vitale
Laboratorio del CFM (C.F. Milanese)
 

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7 commenti

  1. L’ambiente del Laboratorio, in fotografia, è per definizione creativo.
    Esso si regge su una coalizione di appassionati fermamente orientati alla ricerca di nuovi ed efficaci soluzioni espressive del proprio linguaggio fotografico; spingendosi oltre al “già fatto”, sia individualmente che a livello di gruppo.
    Il tema del rapporto “Poesia e fotografia” ha radici profonde nella cultura fotografia italiana, l’esempio più immediato è Mario Giacomelli nell’interpretare le poesie di Giacomo Leopardi. E’ bene, nel momento in cui si studia un aspetto della pratica fotografica, spingersi alla conoscenza dell’opera di chi è stato prima noi affascinato da questo processo creativo che trae ispirazione dalla poesia. Nell’eopca di internet è imperativo allargare questa ricerca a livello mondiale.
    Lo studiare ciò che è già stato fatto è strategico per l’efficienza di un laboratorio: si evita di ripercorrere strade già battute e grazie al nutrimento ricevuto, dall’opera di altri fotografi, proseguire l’evoluzione già da loro intrapresa.
    Spesso mi interrogo se nasce prima l’immagine o la parola, perché se è vero che le poesie ispirano il fotografo, è anche vero il contrario che il fotografo ispiri il poeta.
    L’opera realizzata con lo stimolo della poesia ha una radice concettuale perché il processo creativo si avvia da un concetto tratto dalla poesia, ma il risultato non necessariamente è concettuale, può anche essere una narrazione artistica come avviene in questo caso.
    Sarebbe stato concettuale puro se il significato delle immagini fosse comunicato da simboli, mentre in questo caso l’autrice ci mostra metafore. Se fossero stati simboli ci saremmo trovati di fronte a significati definiti dalla convenzione, per icona o similitudine all’icona.
    Il linguaggio metaforico ha un significato aperto, nel senso che chi legge l’immagine attraverso il meccanismo della “proiezione psichica” le attribuisce un significato personale che si dipende della cultura e del vissuto personale.
    A mio avviso c’è un solo aspetto simbolico che è coerente in tutte le immagini: la loro connotazione in toni alti. In questo caso l’high key non diventa idealizzazione della realtà come avveniva nel “Chiarismo”, ma ci introduce in uno spazio simbolico pervaso dalla trasfigurazione delle cose che le separa da ogni narrazione realistica e quindi le rende mute.
    La scelta del soggetto diventa la parte metaforica che sollecita l’immaginazione del lettore e lo porta a contatto del sentito dell’autrice e qui si potrebbe aprire il dialogo con Lei, per dar forma a quel suo mondo interiore che l’ha portata alla scelta di ritrarre una cosa piuttosto che un’altra.
    Grazie per la condivisione e attendiamo gli sviluppi del laboratorio del CFM.

    1. Ringrazio il Direttore per l’attenzione dedicata al mio lavoro e per gli spunti di approfondimento. Ho realizzato questo piccolo portfolio a Dicembre 2019, perchè molto colpita dalla poesia di Chandra Livia Candiani.
      Ho sentito che spegnendo il flusso dei pensieri legati alla vita quotidiana, potevo mettermi in ascolto di ciò che mi circonda e che partecipa alla mia vita. Allora è diventato un gioco cogliere nella mia casa le vibrazioni ed i suoni potenziali, come se gli oggetti o gli elementi naturali potessero avere una voce e sussurrarmi a loro modo delle melodie. Così ho raccolto fruscii, note, chiaroscuri, tintinnii, texture e toni che sembravano parlarmi e suggerirmi la possibilità di mettermi in connessione profonda con il mondo.

  2. Rumori, non suoni, lievi come il fruscio del vento tra le foglie o lo scorrere dell’acqua o lo svolazzare di una tenda mossa dall’aria. Molto bello ed evocativo, magico direi. Brava!

  3. Forse per troppo tempo con le nostre fotografie abbiamo cercato di documentare, spiegare, dare risposte. Come in un racconto abbiamo cercato di definire e delineare con precisione i nostri soggetti pensando di avere tra le mani lo strumento per raccontare obiettivamente il mondo. Poi qualcuno ha insinuato in noi l’idea che quello che stavamo rappresentando era solo il nostro punto di vista, una inquadratura nella quale era di più quello che nascodevamo di quello mostrato, ma in quel piccolo ritaglio di mondo anche le cose e i volti di sempre assumevano nuova forza e dignità. Così la nostra fotografia ha abbandonato la presunzione di dare risposte. Come i versi di una poesia si è rimpita di pause di silenzio, cose da mettere a fuoco, domande a cui chi guarda viene lasciato lo spazio di trovare una propria risposta.

  4. Da sempre sono un po’ spaesato di fronte a lavori fotografici che non hanno l’intenzione di documentare, nonostante sia consapevole di quante contraddizioni porti con se la volontà di rappresentare il vero con la fotografia.
    Grazie dunque a Daniela per il suo lavoro tanto diverso da quelli che di norma commentiamo, grazie a Giuseppe per la sua presentazione e al Direttore per la sua analisi così attenta.

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