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Sindoni Contemporanee, di Marco Ferreri – a cura di Isabella Tholozan

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Dio creò l’uomo a sua immagine;

a immagine di Dio creò;

maschio e femmina li creò.

(Genesi, 1:27)

 
 
Nella sua presentazione Marco Ferreri scrive che nel passo della Genesi 1:27 compare il termine “zelen” che, tradotto, significa “immagine”, dalla cui radice in ebraico moderno deriva la parola “fotografia”.
La fotografia quindi non ha solo il compito di riprodurre una immagine ma, anche, quello di mostrare il significato che di quella immagine si vuole dare al mondo. Per questo, io credo, il dovere etico del fotografo dovrebbe essere superiore alla qualità dell’immagine stessa.
Partendo da questo concetto, abbastanza semplice ed intuitivo e per il quale, per logica, verrebbero naturalmente escluse tutte quelle opere figlie dell’ego, nate al solo scopo di raccogliere consensi, desidero proporvi “Sindoni Contemporanee”.
 
L’opera, come avete modo di vedere, si sviluppa nella ripetizione di diciannove ritratti dedicati ad altrettanti soggetti, posti tutti nella stessa posizione e dei quali sono visibili solo il volto e le braccia, distese, con le mani leggermente conserte, a ricordare la posizione del Cristo posto sulla Sindone.
Un richiamo quindi ad un’immagine sacra divenuta, nell’immaginario collettivo, simbolo della cristianità.
Aldilà del significato religioso è del linguaggio fotografico che desidero parlarvi, ponendo l’attenzione all’uso concettuale che il fotografo ha voluto adottare, partendo proprio dall’immagine: zelen.
 
Fotografia intesa quindi come riproduzione ma, principalmente, come “Immagine” del concetto di “uomo”, quello creato a somiglianza del Divino.
È dunque ancora questo l’uomo contemporaneo? È questa la domanda che nasce in noi, che osserviamo quest’opera, raccogliendo il messaggio espresso grazie al linguaggio fotografico scelto dall’autore, nel suo sviluppo minimalista e asciutto.
Il concetto viene quindi espresso attraverso la rappresentazione degli uomini e delle donne che compongono la sequenza, non pone attenzione o evidenza su null’altro che i volti e le braccia, le diversità ci sono ma non definiscono nulla se non l’appartenenza geografica.
Siamo tutti differenti ma, in realtà, siamo uguali al concetto di “divino”, questo, deve porci di fronte alla domanda: siamo ancora degni di questo “dono”?
La risposta non è contemplata nella volontà dell’autore che, in realtà, si è predisposto alla creazione di un’opera aperta, che non vuole denunciare ma solo metterci di fronte al quesito.
A questo punto spetta a noi farci carico del messaggio, cercando di entrare nella volontà profonda dell’autore di mostrare una sacralità che ci appartiene e della quale, probabilmente, oggi non siamo più coscienti.
La conclusione è che la direzione intrapresa può essere cambiata, modificata, finalizzata al raggiungimento di una esperienza vitale consapevole, volta ad una crescita che aiuti a diventare quell’uomo creato a somiglianza.
 
Isabella Tholozan
Lettore della Fotografia FIAF
 
 

Sindoni Contemporanee

di Marco Ferreri

 
 
 

 



















 

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2 commenti

  1. Bianco puro. Mi cattura di prepotenza.
    Inaspettati sono i volti che emergono e in essi, gli zigomi e la fronte divengono, nel loro voluto chiarore, piedistallo per occhi il cui sguardo calamita e quasi sbalordisce il nostro.
    E’ uno sguardo che punta dritto verso chi sta dietro la macchina fotografica e così, costui diviene tutti Noi. Ognuno di noi si sente guardato.
    Questi sguardi così disarmati, perché fiduciosi verso colui che li ha ricambiati a lungo e senza giudizio, se si posassero direttamente su ognuno di noi, resterebbero tali, mi chiedo?
    E questo, ha forse a che vedere con il Sacro?
    La mancanza di contorni dei corpi, non ha solo l’effetto di evidenziare, ma di rendere palpabile quel Tutto che è la nostra stessa Essenza/Umanità e che ci accomuna. In questo siamo tutti uguali e al contempo siamo Singolarità, la stessa che si ritrova in quegli sguardi, così diversi l’uno dall’altro, ma in cui è possibile riconoscere l’intera umanità, e anche oltre.
    Non è un caso se l’autore ha lasciato che alcuni protagonisti continuassero a indossare quelli che non sono ornamenti bensì elementi sicuramente significativi per ognuna di quelle Singolarità.
    Non è certo un caso se come matrice unificante ha scelto il bianco che nello spettro della luce visibile, contiene tutte le frequenze che nell’incontro con le cose del mondo vengono diversamente restituite ai nostri occhi e dal nostro cervello trasformate in colore.
    Le tonalità dei colori sono infinite e uniche.
    Allora è possibile che il Sacro abbia a che vedere con il vivere pienamente la comune Essenza/Umanità ma nel modo che è peculiare di ogni Individuo
    e, al contempo, rispettare come sacro ogni “In-dividuus” quindi, accolto nella sua interezza.
    Braccia e mani, uniche ad emergere assieme ai volti, se sono tutte nella posa del Cristo della sindone, sono anche in quella di chi attende, di chi non può che attendere, di chi sa attendere.

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