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Immagini dal grande freddo: la fotografia al servizio dell’esplorazione. Parte Prima – a cura di Renza Grossi.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

Iceberg, fotografia di Robert Edwin Peary

Robert Peary e l’invenzione del Polo Nord

 

Alcuni anni fa mi capitò tra le mani un romanzo in cui si narravano le vicende di uno sfortunato esploratore inglese, Robert Falcon Scott, il quale morì nel tentativo di conquistare il Polo Nord sfidando in una lotta contro il tempo il norvegese Roald Amundsen.
Quella di Scott e del suo contendente era solo una delle tante vicende di coloro che nel corso della storia avevano subito il fascino ammaliante del ghiaccio ed inseguito il bruciante desiderio di entrare per sempre nell’Olimpo dei grandi esploratori. Forse è proprio per lo stupore e la meraviglia suscitati dal pensiero di un mondo in cui le condizioni ambientali si impongono perennemente contrarie alla vita stessa, che addirittura gli antichi greci rivendicarono il primato nell’esplorazione nell’estremo nord.
Più mi appassionavo a queste storie di eroismo estremo più mi rendevo conto di quanto fosse centrale il ruolo della fotografia come testimonianza e documentazione delle avventure narrate. In questa serie di articoli cercherò di raccontare le vite di questi eroi e del loro rapporto con la fotografia.

Robert Edwin Peary con abiti Inuit. Autoritratto
Robert Edwin Peary in abiti Inuit sul Roosvelt

Uno dei primi episodi che evidenziò la funzione delle immagini nei viaggi di scoperta, fu la vicenda che portò Robert Edwin Peary verso la conquista Polo Nord.
Robert Edwin Peary (1856-1920) fu un ingegnere e ammiraglio navale americano di grande fama. Il suo lavoro lo condusse in varie parti del mondo fino a che nel 1896 si trovò in Nicaragua per ispezionare i territori interessati all’imminente costruzione del Canale di Panama. Fu proprio durante questo viaggio che si materializzò nella sua mente l’idea di concedersi un anno di congedo dal lavoro per dedicarsi alla sua più grande passione: l’esplorazione.  La sua intenzione era quella di perlustrare il territorio della Groenlandia e successivamente raggiungere il Polo Nord. Fin dalla giovinezza l’esploratore americano sognava di vedere il suo nome accanto a quelli di grandi personaggi come Colombo, Cortez, Livingstone, De Soto, e proprio come loro essere ricordato come scopritore di un territorio ancora inesplorato.
Cosi, una volta tornato dal Nucaragua, compì la sua prima spedizione in Groenlandia. Ad accompagnarlo in questa avventura c’era Matthew Henson, un giovane afroamericano di 20 anni del Maryland che divenne ben presto uno dei suoi più stretti collaboratori.
 

Mattew Henson, fotografia di Robert Edwin Peary
Peary, Henson e gli altri membri della spedizione iniziarono a trascorrere lunghi periodi in Artide affinché i loro corpi potessero adattarsi alla rigidità del clima, all’alimentazione e all’abbigliamento degli Inuit, sfruttando il tempo a disposizione per raccogliere più informazioni possibili sulla natura del territorio. I successivi viaggi gli permisero di accertarsi per primo della natura della Groenlandia, finalmente riconosciuta come isola, avvicinandosi così sempre di più alla meta. Peary si dimostrò ben presto un uomo disposto a pagare un prezzo molto alto per raggiungere i propri scopi: la prima spedizione venne compiuta dall’esploratore con una gamba fratturata.
Nel 1902, Peary raggiunse la latitudine 87°17’, ma a causa di un congelamento agli arti dovette desistere dall’impresa. Nel 1909 durante il viaggio finanziato dalla National Geogrphic Society, e compiuto a bordo del Roosvelt, un piccolo ma robusto rompighiaccio, riuscì ad arrivare a 322 miglia dal Polo.
 
Il rompighiaccio Roosvelt della spedizione finanziata dalla National Geogrphic Society, nel 1909
Nel mese di marzo, all’età di 52 anni, Peary iniziò il viaggio in slitta verso il nord con un equipaggio composta da 24 uomini (di cui 17 Inuit) e 133 cani. Il Polo distava 765 km dal punto di attracco della nave. Il 1 aprile, a causa della mancanza di cibo, Peary fece rientrare al campo base la maggior parte degli uomini mentre rimasero con lui solo Henson e quattro guide eschimesi. Una volta raggiunta la meta Peary e i suoi uomini restarono presso il punto in cui venne conficcata nel suolo ghiacciato la bandiera americana per 30 ore. Poi, esausto a causa di una infezione alla gola, decise di ripartire verso l’accampamento principale.
Il 6 settembre del 1909 l’esploratore americano raggiunse un ufficio telegrafico a Indian Harbour, nel Labrador, dal quale inviò un messaggio al New York Times: “Ho raggiunto il Polo il 6 aprile”, e ne inviò uno anche all’Associated Press “La bandiera a stelle e strisce sventola sul Polo”.
 
Henson e le guide Inuit davanti alla bandiera americana che delimita il Polo Nord, fotografia di Robert Edwin Peary
E’ interessante notare come Peary riconoscesse alla fotografia un ruolo di primaria importanza nei suoi viaggi.  Avendo necessità di raccogliere fondi per poter allestire la sua spedizione, concepì l’impresa come una missione di carattere scientifico, oltre che di grande valore politico. La fotografia poteva quindi testimoniare la correttezza delle proprie ipotesi e contemporaneamente coinvolgere un pubblico sempre più ampio tra i sostenitori del suo viaggio. Peary ambiva ad allargare il suo raggio di azione catturando l’approvazione popolare attraverso pubblicazioni e conferenze, cosi la fotografia divenne uno strumento essenziale per veicolare le sue scoperte, poiché riassumeva in sé sia il carattere di immagine scientifica che di rappresentazione per la massa.
Non dobbiamo dimenticare che ancora per lungo tempo dopo la metà del XIX secolo realizzare fotografie durante i viaggi esplorativi risultava estremamente complesso. L’equipaggiamento fotografico era grande e pesante, i processi per ottenere le immagini macchinosi, i supporti, ovvero le lastre di vetro erano estremamente delicati e il mantenimento delle immagini, una volta sviluppate, necessitava cura e protezione. Peary descrisse spesso nei suoi diari le difficoltà dell’ambiente artico. I banchi di ghiaccio che improvvisamente emergevano dalle acque rendendo impervio ed imprevedibile il percorso, ma anche la fragilità della superficie congelata, le inaspettate tempeste di neve, il vento che soffiava atrocemente sui volti, l’accecante luce riflessa dal ghiaccio e l’infinita e cupa notte artica influivano pesantemente sull’andamento del cammino.
 
Il controllo del territorio nel vento artico, fotografia di Robert Edwin Peary
Dalle fotografie realizzate durante la spedizione di Peary affiora tutto questo. Non solo l’eroismo degli uomini ma anche la loro fragilità davanti ad un ambiente respingente. Emergono le singole storie delle persone fotografate. Ed ecco i ritratti e gli autoritratti di Peary, abbigliato con pelli e pellicce per proteggersi dalle temperature proibitive, il cui sguardo penetrante colpiva per forza e fierezza, per la consapevolezza profonda del proprio ruolo.
Ed ancora Mattew Henson, il giovane aiutante di Peary, che lo accompagnò fino al momento in cui la bandiera americana venne conficcata nel ghiaccio e che per il suo impegno e la sua dedizione ottenne un posto di rilievo posando al centro della fotografia accanto alle guide Inuit, con alle spalle il Polo Nord finalmente conquistato.
Le immagini di Peary però erano soprattutto dominate dal ghiaccio. Da quel bianco immenso, infinito, incontenibile, che sembrava fagocitare tutto, persone, oggetti, animali.
 
Il viaggio in slitta sul ghiaccio, fotografia di Robert Edwin Peary
 
Peary fu il principale autore delle immagini realizzate che per la loro bellezza, pulizia e rigore, appaiono ancora oggi come esempi straordinari e irripetibili. In alcune fotografie le figure umane sembrano quasi smaterializzarsi nell’ambiente, diventarne parte, acquisire la stessa concretezza del ghiaccio che le circonda.
Eppure, furono proprio le immagini scattate durante il viaggio ad essere al centro di un contenzioso che durò per decenni.
Compiuta infatti la missione e rientrato ad Indian Harbour, Peary scoprì solo dopo aver comunicato il successo della sua missione che, cinque giorni prima di lui, il compatriota Frederick Cook aveva spedito dalle scozzesi isole Shetland un telegramma in cui affermava di aver raggiunto il Polo il 21 aprile del 1908. Un anno prima di Peary. La sua delusione, dopo ben otto spedizioni polari in 23 anni di carriera fu cocente.
Da quel preciso istante tra i due esploratori iniziò una battaglia che trovò una conclusione solo due anni dopo, grazie all’intervento del Congresso degli Stati Uniti che decretò definitivamente sulla querelle. Nel 1911 venne infatti stabilito che il primato spettava a Peary anche se ancora oggi, a più di cento anni di distanza, molti sostengono che in realtà l’esploratore americano non abbia raggiunto la meta per una manciata di miglia. Durante la fase più accesa della controversia con Cook, Peary venne attaccato specialmente riguardo alla descrizione che rilasciò dell’ultima parte del viaggio. Il suo racconto infatti risultava frammentario e pieno di inesattezze, e poiché nessuno del suo equipaggio possedeva le conoscenze scientifiche necessarie per confermare ciò che avvenne, Peary fu accusato di aver alterato a suo favore parte dei dati raccolti.
Membri della spedizione impegnati nella raccolta di dati scientifici, fotografia di Robert Edwin Peary
Molti ritennero anche le sue fotografie dei falsi, creati a tavolino per poter confermare le sue affermazioni. Peary, fotografo ed esploratore, aveva scelto, salvo alcuni scatti realizzati dagli altri membri della spedizione, di occuparsi personalmente della documentazione del suo viaggio. E questo aumentò ovviamente la mole dei dubbi nei suoi confronti.
Grazie alle sue fotografie oggi possiamo conoscere i volti degli uomini che con lui condivisero la fatica e la gioia della grande impresa, ma solo qualche anno più tardi i grandi pionieri dell’Antartide scelsero invece di ingaggiare dei fotografi professionisti incaricati di testimoniare con esattezza incontestabile le loro conquiste. La contesa sul Polo Nord aveva fatto scuola e la fotografia diventava essenziale per diffondere la conoscenza dei grandi viaggi d’esplorazione.
Il Polo Nord era stato conquistato.
Da quel momento in poi l’attenzione si spostò freneticamente verso l’ancora intoccato Polo Sud.
 
Renza Grossi
Tutor Fotografico FIAF
Lettore della Fotografia FIAF
 
 
Ultimo giorno di marcia verso il Polo Nord, fotografia di Robert Edwin Peary
 
 
 

Campagna di tesseramento alla FIAF 2021

 

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2 commenti

  1. Lavoro estremamente interessante che ci permette di conoscere foto “storiche” e “querelle” antiche. Grazie Renza!

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