Saggistica

AUTORITRATTO: Due artisti a confronto – a cura di Andrea Biondo

Saggistica

Cos’è l’autoritratto se non la rappresentazione del sé? Di quella proiezione interiore che interroga noi stessi ed il nostro vissuto, che ci porta a rappresentare la nostra immagine come di fronte ad uno specchio. Al contrario di uno specchio però, che ci restituisce un’immagine “temporanea”, la fotografia la fissa per sempre, insieme al mondo delle emozioni del conscio e dell’inconscio. E così l’autoritratto diventa parte di noi, un modo per osservare il corpo e la mente da un punto di vista privilegiato, a distanza dal proprio io.

Quello che propongo con la visione di questi artisti, sono due modalità di approcciare a sé stessi attraverso l’autoritratto, modalità fotografica che appartiene alla natura dei due fotografi e che trova in loro la massima espressione personale della rappresentazione fotografica.

LAURO GORINI

 

 

Cosa si cela dietro gli Autoritratti di Lauro Gorini? Con chi sta comunicando l’autore? Queste domande ci accompagnano nella lettura delle sue sequenze fotografiche e sorgono spontanee quando la visione della auto rappresentazione dell’artista si mostra in tutta la sua teatralità scenica, in quella che possiamo definire a tutti gli effetti una “performance”.

Come dice Cristina Nuñez “Ogni autoritratto, al di là dello sguardo sulla propria interiorità, è sempre una sorta di performance”, un travestimento del corpo mediato per apparire agli altri nelle forme di ciò e solo ciò che vogliamo mostrare in quel momento personale ed artistico.

E cosi ci appare, nelle fotografie di Lauro Gorini, questo sguardo riflesso che ritrae sé stesso e la propria visione del mondo sopra un palcoscenico interiore, dove il cambiarsi d’abito diventa un modo per scrutare il proprio io. Gli oggetti ci raccontano l’uomo, il vissuto come esperienza fotografica non più attraverso una rappresentazione diretta ma piuttosto secondo il linguaggio fatto di segni e simboli.

Dentro gli autoritratti ritroviamo l’autore in continuo dialogo con sé stesso, con gesti, posture, dove riaffiorano storie tramutate in immagini per andare oltre quel confine che lo separa dal pubblico, oltre il teatro dell’essere. L’affermazione del sé si dipana lungo il filo che lega l’intimo dell’artista e la comunicazione con l’osservatore.

Ogni sequenza è costruita come una conversazione aperta, dove però il messaggio dell’autore si sottrae, come se non ci fosse una fine ma solo un inizio. Tutto è lasciato all’indeterminatezza alla sospensione del pensiero, perché come scrive Susan Bright l’autoritratto “avrebbe il potere di conferire una sorta di immortalità all’artista”.  E allora forse la visione di Lauro Gorini travalica il suo essere, per divenire contatto con il mondo presente e sguardo verso il futuro di uomo prima che di artista.

 

 

 

CINZIA BATTAGLIOLA

 

 

Si osserva nello stile fotografico di Cinzia Battagliola, la leggerezza al femminile, un velo di delicatezza (come quello che compare sullo sfondo) che accompagna ogni immagine e che ci trasporta dentro i suoi temi più cari, che sono poi i temi della donna di oggi.

Diceva Augusta Amiel Lapeyre: “Tendiamo nel vuoto molteplici fili di ragno per formare la tela che possa trattenere la felicità”. E non è forse questa gabbia in cui è rinchiusa Cinzia, una tela intessuta sull’introspezione del suo essere, del suo vissuto come donna e come artista?

L’artista a mio parere ci conduce lungo un percorso riservato, interiore che come nella vita attraversa varie fasi: dalla scoperta, all’abbattimento fino ad arrivare alla liberazione che passa dal rompere le sbarre, dal poter osservare questa ragnatela che ci intrappola da una certa distanza, con distacco perché ormai non ci appartiene più.

Cinzia Battagliola con le sue immagini scruta l’ambiente che più gli appartiene, quello delle emozioni e le trasfigura in immagini dove lei stessa è la protagonista. La sequenza in prima persona, che è tratto principale delle sue molte opere, mostra una vicenda per restituirci il proprio sé, dove il corpo e l’anima sono messi in gioco.

La gabbia che ci mostra Cinzia non è solo la proiezione personale di un sentimento che in qualche modo tocca la sua persona, e nella quale trova la forza per liberarsi, ma è anche la cornice per raccontare il tema dell’emancipazione della donna oggi, della sopraffazione maschile.

 

 

La sua storia diventa il tema di tante donne, trasformando una ricerca interiore e personale in un messaggio universale rivolto ad un pubblico vasto, non solo al femminile.

Andrea Biondo 
Gardone Riviera (BS)

 

 

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