La Scuola di Düsseldorf_ prima parte – a cura di Maurizio Cintioli
Saggistica
Tra il 1976 e il 1997 l’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf è stata il centro del rinnovamento della produzione artistica fotografica europea. L’estetica della Scuola di Düsseldorf pone l’accento sull’esperienza spersonalizzata post-industriale indagata in modo oggettivo dall’autore che si pone di fronte al soggetto delle sue opere in modo asettico. L’apparente “scomparsa” del fotografo produce effetti a volte stranianti, amplificati dal grandissimo formato delle stampe realizzate e dall’estrema nitidezza dei numerosi particolari presenti nell’opera.
Una nuova visione caratterizzata dal rigore formale e dal distacco con il soggetto riprodotto.
Da questa scuola sono usciti i principali esponenti dell’oggettivismo fotografico. Allievi dei coniugi Hilla e Bernd Becher, Thomas Struth, Candida Höfer, Thomas Ruff, e Andreas Gursky, sono riusciti, più di altri e ognuno con percorsi autonomi, nell’affermazione della fotografia come opera d’arte, anche con l’utilizzo di rielaborazioni digitali e formati di stampa monumentali.
Per circa vent’anni i coniugi Becher hanno insegnato nel dipartimento di fotografia dell’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, ribattezzata scuola di Düsseldorf, proprio a indicare quella nuova oggettività fotografica divulgata e praticata dai Becher. Oltre all’attività di insegnamento, la coppia tedesca ha anche portato avanti un importantissimo lavoro di ricerca sull’architettura industriale europea e americana. Una ricerca in qualche modo influenzata dall’opera del fotografo August Sander, che negli anni successivi alla prima guerra mondiale aveva catalogato con metodo e distacco, il popolo tedesco, procurandosi non pochi problemi con il regime nazista.
Per i Becher la rappresentazione, se vuole essere moderna, deve essere meccanica e l’arte deve essere realistica, oggettiva.
“Attraverso la fotografia cerchiamo di sistemare queste forme e renderle confrontabili. Per fare ciò, gli oggetti devono essere isolati dal loro contesto e liberati da associazioni”.
Sono isolati e liberati da associazione i soggetti del loro primo libro fotografico “Sculture anonime: una tipologia di edifici tecnici”, che raccoglie le immagini di edifici industriali, altoforni, silos e serbatoi. Nelle fotografie è impossibile ravvisare la traccia di uno stile, le inquadrature sono il più possibile neutre, il punto di vista è collocato all’incirca a metà dell’altezza del soggetto e la luce è diffusa, priva di ombre nette. L’utilizzo per la ripresa del banco ottico assicura la mancanza di distorsioni prospettiche e una elevata qualità dell’immagine. Dalla rappresentazione è bandita ogni presenza umana e il tempo appare sospeso.
Una metodologia rigorosa che può essere ravvisata anche nella particolare attenzione posta all’allestimento espositivo, spesso articolato in griglie che raggruppano le stampe del medesimo formato, permettendo il confronto diretto di forme e materiali rappresentati. Le singole architetture decontestualizzate possono così, grazie alla molteplicità della griglia, dar vita ad un nuovo soggetto, ad un nuovo ambiente artificiale di riferimento.
Non deve meravigliare l’attribuzione nel 1991 del Leone d’Oro per la scultura alla Biennale di Venezia. Tutto il lavoro dei coniugi Becher ha, infatti, messo in risalto e guardato alle architetture industriali come a delle sculture anonime. Una catalogazione e un approccio enciclopedico attraverso il quale hanno dato vita a delle vere e proprie tipologie.
È paradossale notare come le loro immagini, nelle quali il fotografo scompare, siano riuscite nella realtà a creare un vero e proprio stile, l’oggettivismo, che negli anni successivi ha segnato il cammino artistico di numerosi fotografi, tra i quali ovviamente gli allievi della scuola di Düsseldorf.
L’esperienza dei coniugi Becher rappresenta un momento di svolta per la fotografia e per la sua inclusione a pieno titolo nel sistema arte contemporanea.
Le opere dei fotografi della scuola di Düsseldorf hanno oggi raggiunto quotazioni estremamente elevate e fanno parte di collezioni pubbliche e private di grande prestigio.
Maurizio Cintioli