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Distese di Antonietta Ferrante
Distese di Antonietta Ferrante
Questo luogo è la meta del mio viaggio. Qui la mia anima si spoglia e si libera dentro al mio respiro.
Amo respirare questo luogo dove il tempo scalfisce le sue forme e il vento disegna lieve, il suo passaggio. Sento l’odore del freddo; osservo l’immenso candore della neve disegnare graffiti di vita e il biancospino generare nuova vita; intravedo le creoci e un senso di pace pervade la mia anima. Amo respirare questo luogo perché è pieno di sentimento che mai morirà.
Opera vincitrice 25° edizione di lettura Portfolio Aternum Pescara.
Biografia
Mi sono avvicinata alla fotografia circa cinque anni fa; il mio sguardo è sempre rivolto all’interiorità dell’uomo, alle sue contraddizioni. Amo osservare e condividere tutto ciò che mi circonda con semplicità.
Una silenziosa ed al tempo stesso profonda osservazione di una specifica realtà circostante porta l’autrice ad immergere completamente lo spirito in una riflessione intima ai margini dell’assoluto.
Sguardo e anima si fondono dando origine ad un’opera visiva di forte connotazione emozionale.
Un lavoro fortemente grafico dove i riferimenti reali si perdono e si ritrovano tra i segni, fino quasi a scomparire nel bianco della neve che copre e inghiotte ogni traccia. Tale è l’uomo, di cui le croci e le lapidi testimoniano il passaggio:”l’uomo è come l’erba”,”come fiore del campo”, fisicamente esiste per un tempo e poi scompare, come “vapore che passa”. Queste immagini riportano alla mente certi paesaggi interiori del reggiano Varini, o del marchigiano Papa, o di altri autori che nella semplificazione massima dell’immagine, connotata solo da pochi indizi, induce chi guarda ad andare oltre a cio’ che è rappresentato e a cercare il proprio personale significato in cio’ che vede
Fa bene Giancarla a chiamare in causa Varini che è sicuramente il punto di partenza (al di là del fatto che Antonietta Ferrante si sia ispirata effettivamente o meno a lui) perché è di questo che abbiamo bisogno quando ci troviamo davanti ad immagini così fortemente “sintetiche” ed iconiche ad un tempo: un punto di leva. Su di esso facciamo perno per indirizzare sia il nostro sguardo sia la nostra memoria.
Eccola quindi la parola magica che trovo qui: “memoria”. Dell’uomo e di ciò che ognuno di noi significa e quindi ricorda e quindi proietta davanti a sé. Memoria di ciò che abbiamo avuto la ventura di vedere, nel cercare. Memoria quasi anteriore di vedere dove finiremo, senza infingimenti.
Il bianco e il nero non sono allora soltanto segni grafici ma sono vere e proprie tracce che ci guidano. A differenza però della “mappa”, qui ciascuno di noi troverà il suo percorso, la sua libera camminata, tra gli ostacoli o le vie che la sua formazione gli ha lasciato. Mi vado sempre più convincendo che quando guardiamo, guardiamo prima di tutto noi stessi e cosa di meglio che queste immagini libere, per sovrapporci sopra il senso personale, individuale. E’ altrettanto vero che nessun senso individuale si fa, senza il senso della storia, e così possiamo tracciare noi la linea che ancòra, nel lucore del vuoto, non vediamo. Ogni sguardo è una traccia, ogni segno un significato e quindi un colpo battuto sull’uscio del nostro stare sulla terra leggeri. Più leggeri possibile e, allora, senza se e senza ma, bianco sia.