Cronache

Richard Avedon a Palazzo Reale Milano: ritratto di un artista – a cura di Monica pelizzetti

Cronache Di Cult

 

E’ ritornata a Milano dal 22 settembre 2022 al 29 gennaio 2023, a 27 anni di distanza (1994) e notevolmente arricchita, una mostra interamente dedicata all’opera innovativa ed imponente di uno tra i più significativi ed importanti fotografi della seconda metà del ‘900 che ha dedicato il suo lavoro in egual misura alla fotografia di moda ed alla ritrattistica.

“Richard Avedon Relationships” mette in mostra le fotografie che hanno segnato come pietre miliari l’intenso percorso professionale dell’artista che in 60 anni ed oltre di scatti ha determinato un nuovo stile nella fotografia di moda ed un approccio diretto ravvicinato e personale all’analisi della società e della cultura a lui contemporanee attraverso i ritratti di personaggi famosi quanto di cittadini anonimi dell’America dagli anni 50 in poi.

Avedon già all’esordio del suo percorso professionale nell’ambito dell’editoria della moda (1945) dimostra una inventiva rivoluzionaria nel trasferire le modelle da fotografare in ambienti esterni quali strade o piazze trasformandole in protagoniste di racconti immaginari; non più statici manichini ma donne reali in cui si possono immedesimare tutte le donne che sfoglieranno le patinate pagine di Harper’s Bazar o Vogue. Anche quando le modelle saranno fotografate all’interno di locali come pubs o casinò la messa in scena sarà quella della narrazione di un momento di svago e divertimento.

 

 

Già in queste prime immagini di fotografia di moda si nota la ricerca della plasticità della posa e del movimento degli indumenti quasi come se egli volesse che l’attenzione dell’osservatore fosse attirata più dal contesto generale e dalla “storia” suggerita piuttosto che dall’abito, oggetto che in fondo dovrebbe essere l’elemento da pubblicizzare.

Si può cogliere in queste immagini l’embrione che si svilupperà poi negli anni 60 ed in particolare a partire dagli anni 70 attraverso la collaborazione con i Versace: l’estrema dinamicità dei corpi delle modelle accompagnata dal movimento scomposto ma elegante di abiti, veli, capelli.

 

 

Ciò che cambia radicalmente in questa nuova interpretazione della fotografia di moda rispetto alla prima versione di Avedon, è il ritorno dello scatto in studio ma con l’assenza di uno sfondo definito ed una precisissima attenzione alle luci artificiali in modo da ridurre al minimo il gioco delle ombre, caratteristiche queste due ultime, mutuate dalle precedenti esperienze ritrattistiche. Il binomio Versace – Avedon ha caratterizzato tutto l’ultimo trentennio della vita professionale del fotografo e come traspare dalle stesse parole di Donatella Versace : ” Per Avedon le relazioni erano tutto. La relazione con colleghi e amici. La relazione con il soggetto della foto e la storia che raccontavamo. La relazione con lo spazio mentre costruiva forme incredibili usando abiti e corpi, ma soprattutto la relazione con l’osservatore”.

E’ indubbia la sua capacità di cogliere il mood del momento, i cambiamenti che hanno segnato gli anni 70 ed 80 di cui la moda si è fatta interprete, riuscendo a catturarne l’essenza: libertà, movimento, piacere, trasgressione, erotismo mediati da uno stile nell’abbigliarsi dettato dal design.

 

 

La fama ed il successo nell’ambito della fotografia di moda gli hanno permesso nel corso degli anni, di prendersi del tempo da dedicare ad altri progetti editoriali su temi riguardanti l’ambiente americano del suo tempo con un approccio fotografico profondamente differente da quello utilizzato per i servizi di moda.

Egli ha indagato gli aspetti più vari della società americana della seconda metà del secolo scorso, dai diritti civili negati, alle conseguenze della guerra del Vietnam, dalle condizioni dei ricoverati negli ospedali psichiatrici, alla quotidianità della gente comune non ricorrendo alla classica fotografia di reportage, ma ritraendo in prima persona i protagonisti stessi di questo mondo variegato e facendone lo specchio rivelatore di una realtà non sempre nota. Vedere dal vivo le fotografie in grande formato di personalità che hanno a vario titolo segnato la storia del ‘900 come pure di anonimi protagonisti del quotidiano vivere, significa immergersi completamente in uno spazio al di fuori del tempo.

Come lui stesso ebbe a dire: ”Le mie fotografie non vogliono andare al di là della superficie, sono piuttosto letture di ciò che sta sopra” e ciò nonostante in molti casi rivelano aspetti dei soggetti inquadrati che vanno ben oltre l’apparenza pur nella staticità statuaria della maggior parte degli scatti. “Io cerco la contraddizione e la complessità in un volto”, è forse questa la chiave per riuscire ad intravedere ciò che sta sotto alla superficie?

 

 

Un esempio particolare, a mio parere, di questa possibile lettura del personaggio attraverso la superficie sta in questo ritratto di Marilyn Monroe che esprime tutta la  fragilità della donna nascosta dietro alla maschera della diva perché scattata in un momento di distrazione della modella come racconta lo stesso Avedon. Resta il fatto comunque che a prescindere da ciò che l’osservatore può pensare guardando queste immagini, libertà che resta appannaggio assoluto del fruitore, egli stesso disse :” My portraits are more about me  than they are about the people I photograph, (i miei ritratti parlano più di me stesso che delle persone che fotografo)”. Il  ritratto riprende solo un momento della vita del soggetto  e non tiene conto di tutto ciò che è successo prima o accadrà poi, chi sta di fronte all’obiettivo è consapevole di essere fotografato e questa conoscenza ha un peso rilevante sul risultato finale. Al contrario ogni scelta del fotografo tiene conto del suo sentire delle sue idee e delle sue relazioni con il soggetto diventando così un riflesso diretto del fotografo stesso; questo il suo pensiero in più occasioni espresso e sovente concretizzato fotografando lo stesso personaggio a distanza di anni o in situazioni e compagnie totalmente differenti ma sempre costruite ad arte.

L’abilità innovativa di Richard Avedon nello scattare i ritratti è centrata sull’utilizzo del famoso “telo bianco” che fa da sfondo ai suoi soggetti. Il vuoto creato dall’assenza che circonda le persone per finire entro i bordi dell’immagine, modalità consolidata nei tre anni di lavoro in esterno per il progetto IN THE AMERICAN WEST, permette di concentrare tutta l’attenzione dell’osservatore e del fotografo stesso sul soggetto ripreso che diventa protagonista assoluto con tutte le sue caratteristiche fisiche ed espressive.

 

 

“Il bianco aiuta a separare il personaggio dal resto. Il grigio invece protegge, abbraccia, riscalda, ti fa emergere dall’ombra alla luce. Racconta un’altra storia. Nel bianco sei solo.”

In questa sua famosa frase è racchiusa tutta la potenza evocativa della ritrattistica di Richard Avedon, bastano i volti di tutte queste persone per raccontare le luci e le ombre del sogno americano per come lui lo ha interpretato attraverso i soggetti/personaggi nei lunghi anni della sua attività.

 

 

La fama non gli risparmiò talvolta forti critiche che toccarono anche duramente alcuni suoi lavori ritenuti inappropriati o troppo crudi. Ritrasse la soprano Marian Anderson a cui era stato impedito di esibirsi a Washington perché di colore, fu il primo fotografo a proporre una modella nera per una rivista di moda ed immortalò Andy Wharrol con le profonde ferite all’addome dopo le operazioni che gli salvarono la vita in seguito ad un attentato.

 

 

Si può certamente dire che il valore di questa mostra consiste anche nel  raccontarci in modo completo le molteplici sfaccettature della personalità di Richard Avedon; dall’infallibile tecnica alla precisione ripetitiva quasi maniacale fino alla dirompente creatività manifestata dall’esplosione di corpi forme e colori in decisa opposizione con il bianco/nero e la staticità della sua ritrattistica.

Grazie alla collaborazione della Richard Avedon Foundation e del Center for Creative Photography con la direzione di Palazzo Reale ed il Comune di Milano, è possibile ammirare dal vivo le opere di questo artista che ha segnato un’epoca formidabile ispirando molti fotografi professionisti ed amatori.

Monica Pelizzetti
Tutor Fotografico FIAF

 

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