Per un testo narrativo fotografico


L’articolo può essere stampato dal Notiziario n° 66/2014    –    Back

di Walter Turcato

Da tempo su Facebook e sui “Social” in genere, circolano post in cui viene messo a confrontolo stile di vita del passato con quello attuale, in una chiave nostalgica del “si stava meglio quando si stava peggio”. Come a dire che molte delle soluzioni tecnologiche odierne, che dovrebbero migliorare il nostro quotidiano, di fatto possono anche complicarlo provocando a volte un rifiuto, con un tentativo di “ritorno/rifugio alle origini”.Turcato 1 Anche nel nostro Hobby le dinamiche operative che adottiamo risentono molto dell’influsso di questa mentalità (è – ad es. – ancora viva la diatriba tra “analogico” e “digitale”) e, se si aggiungono la precarietà e l’incertezza economica dell’attuale momento storico, risulta difficile giustificare il nostro impegno in fotografia che dovrebbe richiedere – tra le altre cose – profonda riflessione preventiva, dedizione e applicazione costanti, gusto estetico disciplinato dallo studio, attenzione elevata a contemplazione, disponibilità economica… in due parole: passione incondizionata!
E allora anziché chiederci se stavamo meglio prima o adesso, se il “rullino” fosse meglio della “scheda”, vale la pena di chiederci “cosa” vogliamo fare, e “perché”.
Cosa vogliamo fare: fotografia innanzitutto! Se un tempo le arti dette dello “spazio” (la pittura, la scultura, l’architettura…) erano ben distinte da quelle del “tempo” (la danza, il teatro, la musica…), oggi l’interazione delle due aree ci sembra naturale e spesso indissolubile e possiamo verificare come l’equilibrio tra loro diventi il termine ultimo di riferimento per valutarne l’efficacia comunicativa.
 
Un esempio banale: osservare un monumento, un paesaggio, un oggetto, implica un tempo che coincide con il tempo impiegato a scorrerne la superficie, l’area di visione, al fine di elaborarne una successiva “narrazione”. Risulta evidente come questa narrazione potrà esprimersi secondo il sentimento dell’autore… in ogni caso la qualità della fotografia sarà un fattore determinante per una corretta comprensione: anche una piccola mancanza nel contenuto o un’incertezza formale verranno sicuramente rilevate e disorienteranno o distrarranno il nostro interlocutore. I contenuti e la loro modalità di espressione si rimescolano fino a generare nuovi testi iconici e nuovi linguaggi visivi che confluiscono in un “testo narrativo fotografico”, che deve svilupparsi secondo regole “grammaticali” corrette per poter essere compreso e apprezzato.
Il primo consiglio che mi sento di dare è quindi di non avere premura, anche se incitati da un nuovo “entusiasmo creativo”, ma spendere del tempo per creare le necessarie basi formative che sostengano questa grammatica. Ad esempio, la disciplina del “portfolio fotografico” nelle sue varie declinazioni (v. Face-to-Face, in cui l’autore delle immagini – sempre raccolte a portfolio – si rapporta direttamente con una platea di ascoltatori attraverso la mediazione di due lettori accreditati, che ne indagano le qualità tecniche ed espressive), sempre più apprezzata e praticata soprattutto negli incontri promossi dalla Fiaf, potrebbe essere un valido banco di prova in cui sperimentare le proprie capacità narrative e di sintesi fotografica, ancor prima di cimentarsi con un audiovisivo vero e proprio.

La promozione della nostra fotografia può avvenire anche tramite l’Annuario Fiaf, spesso criticato per le immagini che propone, ma poco conosciuto nelle sue dinamiche e per la valenza storica che assume nel tempo. È necessario uscire dalla nostra “nicchia”, conoscere altri autori (visitando mostre, partecipando a concorsi, non solo per proiezioni…) e farci conoscere da loro. Sarà un modo per vivere più autenticamente quest’epoca “Social-virtuale” e un’ulteriore motivazione al “perché” fare fotografia.

 

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