Cultura fotografica

IL MERAVIGLIOSO PLURALISMO DELLA FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA, di Fulvio Merlak

 

Roue de bicyclette (Ruota di bicicletta) è l’opera, prodotta nel 1913 da Marcel Duchamp, che rappresenta una sorta di spartiacque fra il sistema dell’arte ufficiale riconosciuto tradizionalmente e la sua riscrittura trasferita dal piano fisico-figurativo a quello intellettuale-iconoclasta. Per l’autore francese, qualsiasi oggetto separato dal contesto che lo genera, purché convalidato dalla firma dell’artista, diventa opera a tutti gli effetti. Ed è stato lui ad avviare il processo che ha portato all’arte concettuale dei vari Joseph Kosuth (Toledo, Ohio, 1945), Mario Merz (Milano, 1925 – Torino, 2003), Gilbert & George (San Martino, 1943 & Plymouth, 1942), On Kawara (Kariva, 1932 – New York, 2014), Bruce Nauman (Fort Wayne, 1941), ecc… (perché la lista sarebbe davvero troppo lunga). Orbene, l’arte concettuale ha indubbiamente liberato il medium fotografico dall’obbligo di rappresentare la realtà; però, è anche vero che la fotografia ha affrancato l’arte dallo stallo di un suo possibile affrancamento dall’espressività materica.

Marcel Duchamp, Roue de Bicyclette, 1913

 

«La fotografia – ha affermato il docente Marco Ceccaroni (Roma 1964) – viene in aiuto all’arte poiché essa sembra scongiurare il pericolo di una sua smaterializzazione concettualista. Il concetto, l’idea prendono il sopravvento rispetto alla forma. […] Il significato, il concetto, nel mondo dell’arte concettuale, perdono il loro riferimento con la forma in modo determinante. […] La fotografia incarna ciò che resiste alle categorie canoniche delle belle arti. La fotografia funziona come punto di rottura, permettendo all’arte di essere ciò che non poteva essere: un’altra cosa da se stessa.» In altre parole, con l’avvento dell’arte concettuale, le argomentazioni estetiche originate dalla fotografia si sono rivelate liberatorie per l’arte allorché i principi propri dell’arte sono stati messi in dubbio; e ciò ha dato vita a una provvidenziale relazione fra le due forme espressive, rendendo attuali le parole profetiche di Walker Evans (St. Louis 1903 – New Haven 1975), che nel 1947 affermò: «La fotografia non ha assolutamente nulla a che vedere con l’“Arte”. Ma proprio per questo è arte.»

 

Walker Evans, Labor Anonymous, in Fortune, novembre 1946

 

Fu dunque alla fine degli anni Settanta che la fotografia fu accolta dagli artisti come un’effettiva forma espressiva autoriale. È peraltro vero che la legittimazione della fotografia, come pratica artistica, è stata possibile soltanto nel momento cruciale di quello che è stato il crepuscolo dei valori artigianali e materici dell’arte; ma è altresì reale che tale processo è avvenuto quando la fotografia è riuscita a stimolare un mutamento dei tradizionali criteri artistici. In pratica, il rinnovamento è iniziato quando la fotografia si è rivelata capace di colmare il vuoto lasciato dalla pratica pittorica. «La fotografia artistica – ha affermato lo storico, docente all’Università di Parigi 8, André Rouillé (1948) – ha contribuito a secolarizzare l’arte, a inventare le relazioni che essa può intrecciare con questo mondo, con la sua originalità, con la sua diversità e con la sua estrema complessità. In un momento in cui le certezze di ieri si stavano sgretolando.»

 

Gilbert & George, Street meet, 1982

 

Non più dunque «serva, la più umile serva, delle scienze e delle arti», così come l’avrebbe voluta il poeta e critico artistico francese Charles Baudelaire (Parigi 1821 – 1867 – articolo pubblicato il 20 luglio 1859 sulla Révue Française), bensì un medium coinvolto nella cultura, nella conoscenza e nell’arte, responsabile di svariati progressi che si sono rivelati determinanti per l’evoluzione dell’odierna umanità. «La fotografia – come hanno scritto l’accademico e saggista Enrico Menduni (Firenze, 1948) e il professore associato presso l’Universitas Mercatorum di Roma, Lorenzo Marmo, nel saggio Fotografia e culture visuali del XXI secolo  immagine immobile, densamente sintetica di eventi e concetti, si conferma la culla, lo stadio seminale delle culture visuali di oggi contribuendo in modo sostanziale allo smantellamento delle identità ferme e salde che caratterizza il mondo sempre più secolarizzato della modernità, grazie alla capacità di far circolare ovunque, con un’accentuata riproducibilità e molteplici regimi della visione, le immagini di oggetti e fenomeni, luoghi e geografie, persone e corpi sociali.»

 

Wendy McMurdo, Helen, Backstage, Merlin Theatre, 1996

 

Orbene, oggigiorno la fotografia è stata definitivamente accolta nel mondo dell’arte contemporanea. Ma capire il significato di tale accettazione e i relativi confini, non è un esercizio scontato. La panoramica della fotografia prodotta dalla fine degli anni Settanta a oggi, è talmente vasta da lasciare realmente interdetti. La curatrice di importanti raccolte di fotografia, come quella del Victoria & Albert Museum di Londra, nonché scrittrice indipendente Charlotte Cotton (Cotswold, Regno Unito, 1970), ha cercato, con il libro La fotografia come arte contemporanea (quarta edizione, tradotta nel 2021 da Einaudi), di esplorare lo spettro di motivazioni e manifestazioni che vengono impiegate nel campo della fotografia contemporanea. In pratica ha tentato (parole sue) di restituire «una sorta di indagine, il genere di panoramica che si può incontrare se si visitano delle esposizioni […] dagli spazi artistici indipendenti alle istituzioni pubbliche ai musei alle gallerie private.» Ne è uscito un quadro composito (formato da una rassegna di 350 fotografi), «meravigliosamente pluralistico» (Charlotte Cotton), multiforme, ed «esteticamente anarchico» (Arthur Coleman Danto).

Fulvio MERLAK, Presidente d’Onore della FIAF

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