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Note dal Forum dei Collettivi di Bibbiena

Per coloro che non hanno potuto prendere parte al Forum di Bibbiena credo sia utile un breve riepilogo della nostra chiacchierata, iniziata interrogandosi sulle ragioni che hanno portato all’organizzazione di questo incontro.

E la prima questione non poteva che riguardare l’analisi dei collettivi, considerati come uno dei fenomeni fotografici più interessanti degli ultimi anni, cercando di capire il perché si scelga questa forma associativa che in un panorama fotografico in rapido mutamento, rappresenta sicuramente una risposta a qualcosa o, molto più facilmente, ad esigenze diverse.

             

Se a Polaroads e Collettivo42 – provenienti dall’esperienza dei circoli fotografici – è stato chiesto il perché di questa trasformazione, e in cosa risieda la differenza, con gli altri presenti si è discusso della possibilità di considerare il collettivo come una sorta di agenzia, dalla forma più agile, che consente ai fotografi di distribuire e trovare sbocchi – luoghi espositivi, editoria, finanziamenti – per i progetti prodotti dai propri membri sia in forma singola che collettiva. In altri termini, comprendere se il collettivo non sia soltanto una vetrina promozionale per i singoli autori, quali siano le opportunità per i membri di un collettivi, e qual’è il contributo alla fotografia.
Conseguentemente, altro argomento affrontato è la dimensione progettuale e le possibili articolazioni espressive di questa particolare modalità creativa – dal semplice rapporto di scambio e confronto, alla condivisione – portando ad esempio le realizzazioni di Mignon e Spontanea. E, considerato che portare avanti un lavoro collettivo è un processo lungo e complesso che comporta l’elaborazione e la scrittura del progetto, budget compreso, il contatto degli editori, la ricerca dei fondi, fino alla produzione delle immagini – ovvero una serie di fasi rispetto alle quali ognuno dei membri partecipa con sue precise responsabilità -, ci si è chiesti se quella del collettivo sia un’esperienza per tutti. Ma anche se i collettivi non siano un po’ mitizzati.
Alla luce poi dei mutamenti che stanno trasformando i media e il nostro modo di informarci – o di consumare informazione -, che passa sempre di più dalla rete, ci si è chiesti se non sia limitativo pensare che l’unico modo di veicolare progetti fotografici sia oggi la realizzazione di un libro o una mostra, o se piuttosto no si debba pensare anche all’uso di audiovisivi o comunque al multimedia.
Altra ragione che ha portato all’organizzazione del Forum è il tentativo di fare il punto della situazione sulla street, un genere diventato mainstream.

                  

Iniziando da un termine strattonato e allargato al punto che oggi appare come un contenitore omnicoprensivo che sconfina in altri generi, ci si è chiesti se questa grande diffusione di massa faccia bene o male alla street , se cioè al di là di una reale intenzione fotografica, questa diffusione della pratica non definisca piuttosto l’atto del voler esserci, del voler far parte comunque del club.

La provocazione successiva, che proviene dal blog di uno streepher, Tim Huynh Photography, è l’interrogativo se non ci siamo “ Troppi collettivi di street photography?” (…) “nati con l’idea di vendere dei workshop, il che è triste. Ad ogni modo, tutti questi collettivi di strada hanno davvero bisogno di smettere di promuovere se stessi e trovare un modo per  rendere di nuovo grande la fotografia di strada”.

Quanto ai contenuti, abbiamo riproposto l’eterno interrogativo del rapporto con il reportage, chiedendoci se possa dirsi che  fra le tante forme di reportage,  la street non sia una di queste che si rinomina. E, nelle pieghe della discussione, se non esista una sensibilità, una via italiana alla street.

Si è affrontato anche quello che appare come un paradosso, ovvero, la denuncia di una street sempre più costretta entro certi cliché, e la difficoltà di uscirne trovando nuovi linguaggi: due gli esempi proposti. Da un lato, l’ultima edizione di Bystander (il libro di Meyerowitz e Westerbeck che per primo ha tentato una storicizzazione della street), nella quale è stato inserito un nuovo capitolo intitolato “Now and then: in defense of traditional Street Photography”, nel quale gli autori sostengono di non essere d’accordo con molte declinazioni che il genere sembra aver assunto negli ultimi anni, prendendo le distanze rispetto a proposte che si allontanano dai tradizionali valori estetici d’intuizione, invisibilità e spontaneità, perdendo di vista l’obiettivo principale della fotografia di strada: raccontare l’uomo nel suo tempo .; dall’altro, il caso di Nick Turpin, il noto fondatore del primo e più importante collettivo internazionale di street photography, “inPublic”, che poco tempo fa ha di fatto sciolto quel collettivo perché non ha accettato la sperimentazione fatta da un autore, la cui foto era stata eletta dal collettivo stesso come “foto del mese”. Si è trattato di atto di personalismo spinto,  o piuttosto della difficoltà di uscire dalle “regole”?

Purtroppo il tempo a nostra disposizione è finito molto rapidamente rispetto ai tanti interventi che hanno arricchito la discussione con punti di vista diversi, al punto che ci siamo lasciati con l’impegno di organizzare un’altra occasione di confronto, che si realizzerà già nel we del 12/13 ottobre a Genazzano, in occasione della manifestazione “Più FotograFIAF”, con la partecipazione del collettivo Italian Street Eyes.

Ma ci siamo lasciati anche con la proposta di realizzare un progetto fotografico collettivo al quale lavorare tutti insieme, che i presenti  hanno accolto con grande favore, dandoci come tempi tutto il 2020 per la realizzazione, e la primavera del 2021 per l’inaugurazione della mostra nazionale presso il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore, e la contemporanea inaugurazione di circa 200 mostre in tutta Italia.

Ma di questo parleremo in una prossima occasione…

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