La fotografia di Emilian Avrămescu è intrisa di poesia, anzi è poesia scritta con la fotografia. Sarà certo un caso che a Costanza dove vive, e che un tempo si chiamava Tomi, nell’8 d.C. Ottaviano Augusto spedisse in esilio il sommo Ovidio che qui compose i cinque libri delle “Tristezze” e le “Lettere dal Ponto”, come a quei tempi si chiamava il Mar Nero. Anche Emilian Avrămescu coglie la poesia di questo mare in paesaggi velati di tristezza, come incompiuti, indefiniti, ancora irrisolti. E da anni raccoglie tutto nel blog “PhozEme”, il suo progetto di scrittura, non importa con quale strumento sia composta. La fotografia per lui è uno “stato latente”: «L’immagine fotografica – dice – non è in realtà nella fotocamera con cui si sta lavorando, ma da qualche parte, molto prima del momento dello scatto, nella propria mente, ma anche in un’area che, in larga misura, non si può controllare, perché è nel subconscio.»
Il fotografo ha compiuto studi giuridici. È infatti assistente legale ed ha iniziato a fotografare tardi, nel 2012, quando aveva 38 anni, iscrivendosi ad un corso di fotografia. Ha iniziato senza l’assillo di cercare la foto perfetta. Anche perchè non ritiene sia possibile. «La fotografia – spiega – non è fine a se stessa, ma è piuttosto un percorso, un passaggio continuo, una strada in tutte le direzioni. La foto perfetta è sempre quella che non è ancora stata scattata. Sono uscito da questo circolo vizioso di orgoglio artistico e, finalmente liberato dall’ossessione di costruire un’opera fotografica, continuo a “scrivere” PhozEme.»
Però Ovidio, passione della sua gioventù, c’entra nella sua formazione perché ha iniziato, una volta diventato padrone della tecnica fotografica, a coniugare versi e fotogrammi. Nel marzo 2020, in una mostra personale intitolata appunto “PhozEme“ ha esposto una serie eclettica e retrospettiva delle sue fotografie al Museo d’Arte di Costanza: una sorta di poetica visiva della vita quotidiana.
Le sue “poesie visive“ introducono in un mondo quotidiano con un’atmosfera particolare, spesso assumendo la forma di composizioni grafiche, minimaliste o geometriche.
“PhozEme“ è il contenitore di questa esperienza: «Dopotutto – spiega – una poesia è una costruzione di immagini create dalle parole, proprio come una fotografia crea nella mente di ognuno un’interpretazione, una storia, una successione di percezioni. Spesso non capisci perché ti emozioni quando leggi o ascolti una poesia: ti piace semplicemente quella serie di parole che ti affascinano. È lo stesso con la fotografia: non riesci a spiegare perché un’immagine particolare ti rimane impressa nella mente. E non credo che abbia senso cercare di spiegare l’emozione che la poesia o la fotografia evocano in te. Se lo fai uccidi l’emozione. Poesia e fotografia sono stati ineffabili. Lo dico perché nella mia giovinezza ho flirtato con la poesia.»
(Testo di Giovanni Ruggiero)