
Antonio Schiavano, ovverossia la fotografia che ad un certo punto decide di non essere più fotografia e si trasforma in qualcos’altro. L’opera finale si completa quando il fotografo e visual-artist Schiavano, facendosi artigiano e manipolatore, dà una nuova forma ed un nuovo contenuto alla fotografia classica.
Ha creato il neologismo “fotomorfia” per indicare un linguaggio visivo nuovo che supera la fotografia, quella tradizionalmente intesa, per trasformarla in un oggetto/arte fisico e concettuale. Lo fa ricorrendo ad abrasioni, sovrapposizioni e contaminazioni con gli strumenti della pittura. Eccolo intervenire con oli e vernici che alterano e rielaborano la fotografia da cui è iniziato il percorso. La fotografia/oggetto così ottenuta diventa un’opera unica, irripetibile nella stessa forma. Stampata su alluminio dibond di 3mm, si ottiene un’icona, immagine simbolica, dotata di una consistenza fisica che ne fa un manufatto e non più un’opera fotografica.







«La sua produzione – è stato detto di lui – si sviluppa lungo il confine tra estetica e decostruzione dell’immagine, interrogando il concetto stesso di bellezza e il modo in cui viene costruita ed interiorizzata. Le sue opere spaziano dalla fotografia all’installazione immersiva con un’attenzione particolare alla distorsione e alla frammentazione dell’immagine.» Sicché, ad esempio, i suoi nudi non sono più definibili perché oscillano tra il visibile e l’invisibile, tra il reale e l’irreale. Sembrano ora in nuce, ora in atto.
Antonio Schiavano si è formato in anni di lavoro intenso sulla fotografia commerciale e pubblicitaria (ha collaborato con importanti brand di cosmetica), poi con la moda e lo still-life. Brindisino, è tornato di recente nella sua città natale con l’imponente mostra “Il Silenzio delle Ombre” con cui ha presentato oltre 140 opere.
È un lungo percorso, il suo, puntellato con i temi a lui più cari: la bellezza del corpo, la memoria e l’identità per creare immagini che fondono la poetica con una grammatica materica.
Tra i suoi lavori, quelli della serie “Languishing” nati durante la pandemia del Covid-19 che l’artista definisce un viaggio interiore, un’invocazione a spogliarsi delle catene delle incertezze per immergersi nei meandri più profondi dell’esistenza.



Poi, ecco “The Beauty and the Bane” che è un po’ la morale che si ricava dall’esasperazione delle esistenze rese tutte glamour, smaglianti, preziose, luccicanti. Con la tecnica della manipolazione, della destrutturazione e della ricomposizione delle immagini, ecco l’altra medaglia della bellezza ottenuta a tutti i costi. Questo suo progetto vuole infatti denunciare il crescente abuso della chirurgia estetica che trasforma i corpi in oggetti idealizzati: aspirazione irraggiungibile. Il bello mortificato: The Beauty and the Bane, la bellezza e la rovina, per l’appunto.








(testo di Giovanni Ruggiero)



