Serena Vasta – Giampilieri
Giampilieri 2012
Giampilieri è un paesino medievale arroccato su una collina a pochi chilometri da Messina, un posto in cui si alternano balconi barocchi e antenne paraboliche, dove le macchine sono tutte piccoline perché altrimenti non passano nelle strade, dove le case sono fatte con le pietre del 1200. Il 1° ottobre del 2009 a Giampilieri tutto cambia, una brutta giornata come tante si trasforma in una catastrofe. Una colata di fango spazza via una parte della città, la zona più antica viene travolta, le persone restano intrappolate in casa, molte vengono strascinate via dal fango, le case vengono distrutte, il fango copre tutto. Il bilancio è di 18 morti.
A Giampilieri nulla è più come prima eppure la vita torna a scorrere. Un paese che un tempo era diviso in vie e piazze adesso è diviso in zone: verde, gialla e rossa. La macelleria, il panificio e il bar con tanti sacrifici sono riusciti a riaprire, le case sono state ripulite e rimbiancate, i vetri sono stati sostituiti. La vita scorre, va avanti, si vive per chi non c’è più, nonostante la paura.
Il brigadiere De Luca è riuscito a salvare tante persone, ma non ha trovato sua mamma, e allora torna tutti i giorni nella sua casa, spazza a terra, pulisce e costruisce nuovi ricordi sulle macerie, si prende cura delle piante, le coltiva con amore, per lei. Don Gaetano in quella terribile notte ha accolto i vicini nella sua casa, li ha salvati, ma adesso non può più viverci, ci torna tutti i giorni, apre porte e finestre, la tiene viva e ospitale nella speranza di poterci ritornare presto. E’ la sua casa, anche se non ci può più stare. Pippo Panarello è riuscito a tornare a casa appena in tempo, ma la sua casa non è più sicura, l’ha dovuta lasciare ed adesso vive in affitto, insieme alla moglie, in un’altra casa ma sempre a Giampilieri. La signora Lina non passa più dalla via Puntale, non ce la fa ad affrontare quelle macerie. Rosa invece ci deve passare per forza per tornare a casa sua, ma non esce più la sera, ha paura.
Giampilieri è un paese che lotta per non essere abbandonato, le persone seppur impaurite, disilluse e arrabbiate, hanno tanta speranza, hanno fede, vanno avanti con forza e combattono per tornare nelle loro case, tra i loro ricordi, tra i profumi e gli odori della quotidianità. Sarebbe più facile andare via, trasferirsi, dimenticare, ma il posto in cui si mettono le radici e si coltivano fiori e sogni è impossibile da abbandonare. Anche tra le macerie e gli schizzi di fango “Giampilieri è il posto più bello del mondo”.
Serena Vasta
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un lavoro rigoroso e toccante,frutto di un coivolgimento emotivo intenso….i ricordi e le icone della quotidianità intrappolati nel fango che tutto sembra cancellare,ma non la speranza e la voglia di rivivere…
Tanti complimenti a Serena
Sono stato in Sicilia solo due volte, ma sono bastate per lasciarmi un profondo desiderio di tornare.
Tornare per essere nuovamente ”immerso nel suo colore”.
Le foto di Serena evidenziano con il bianconero la “maschera di fango” che soffoca questi colori, e ancora attende di essere tolta, lavata.
Come per gli avvenimenti di questi giorni in Emilia, è ben difficle proporre soluzioni, però riuscire a “interessare” i cuori di tanti con le nostre fotografie, è già un primo importantissimo passo!
Molto toccante questo portfolio di Serena, la fotografia b/n sottolinea ancora di piu’ il dramma, annullando il colore drammatizza la catastrofe ,significativi i primi piani degli oggetti, dei quadri,delle masserizie.Nel 2009 un giorno qualunque questa ondata di fango cambiò per sempre la vita di tante persone. La sintesi fotografica rende piu’ di tante parole. Mi complimento con l’autrice.
Grazie mille a tutti voi e al direttore per questa opportunità. Ci tenevo tanto a raccontare questo paesino, a pochi chilometri da casa mia, che in un giorno come tanti è stato distrutto, al di la delle montagne e dei terremoti, dei pericoli più o meno prevedibili, il posto in cui viviamo è sempre il più bello, anche se ci lamentiamo e ci sta stretto, ed è doloroso non poterci tornare.
La fotografica non ha la capacità di raccontare l’attualità ma solo il passato, tramite la fotografia si ottiene sempre una visione parziale e non globale. La riprova si ha in questi giorni per un’altra tragedia riconducibile a quella testimoniata da Serena , il terremoto nella pianura padana. I mas media hanno usato molte immagini, divenute simbolo, per mostrare cose era successo dopo la violenta scossa, ma ora vanno alla ricerca dei video prodotti dalle telecamere di sorveglianza per documentare il “momento”. Inoltre i reportage mostrano gli edifici con i segni evidenti del disastro, che ricordo pur nella tragedia immane di chi ha subito il danno, sono in numericamente una minoranza nel confronto degli altri integri.
Sulla scrivania ho il libro di più di duecento pagine di Michel Poivert “La fotografia contemporanea”, delle centinaia di foto in esso contenute le immagine in bianco & nero sono una piccola minoranza, lasciando completa liberta di scelta all’autrice non posso però evitare di pensare la sua scelta espressiva finisce inevitabilmente nella nostalgia, la forza della denuncia ne venga pertanto sminuita e perde d’attualità.
Inviato il 27/05/2012 alle 09:38
Serena Vasta ha ben narrato col linguaggio dei segni i suoi intimi sentimenti provati attraversando Giampilieri ferita.
L’efficace dispositivo del dittico, che fonde insieme i due opposti significati dello scenario e del frammneto, dilata la nostra percezione e costruisce una chiara idea centrale imperniata sull’identità paesana della comunità che ha vissuto in questo paese. L’osservazione di Maurizio Tieghi sulla scelta del bianco e nero o colore è pertinente perchè la postproduzione digitale fornisce oggi al fotografo un controllo cromatico straordinariamente potente. Sicuramente oggi la scelta connotativa da compiere non è più tra il bianco e nero o colore, che nell’analogico era compiuta prima dello scatto con la scelta della negativa, ma invece quale profilo colore è efficace a comunicare l’idea centrale perseguita dall’autore. Ovviamente l’opera può essere anche in bianco e nero, oppure negli infiniti equilibri cromatici possibili, l’importante è che la connotazione abbia coerenza espressiva e quindi rafforzi la sua capacità di comunicare il sentito dell’autore.
Mi ricollego all’intervento di Maurizio Tieghi per sottolineare che la scelta di Serena per il b/n è quanto mai pertinente ,proprio per la sua capacità di dare una connotazione( perchè no? )nostalgica alle immagini: il rimpianto e la tristezza per quello che era e adesso non è più è reso perfettamente dalla forza espressiva del b/n che sicuramente non sminuisce nè deattualizza la forza della denuncia. Non riesco a capire in cosa il b/n penalizzi l’argomento del lavoro. Ribadisco il mio pieno e sincero appoggio a Serena e alla sua ricerca.
Complimenti Serena,le immagini esprimono in pieno la forza violenta della natura abbattutasi sul piccolo centro del Messinese..un disastro annunciato già altre volte ma rimasto inascoltato…ottima la scelta del b/n…complimenti ancora.
Io questo posto l’ho subito inquadrato in bianconero, mi piace come il bn sia diretto e incisivo, forse astrae ma ti obbliga a guardare con attenzione. Sul fattore attualità non mi ci sono soffermata più di tanto anche perchè purtroppo l’attualità è in emilia, a giampilieri tutto questo è successo quasi 3 anni fa, la mia idea era di far presente che ci sono posti così anche se non se ne parla più.
Comunque grazie per tutti i punti di vista, sono preziosi.
Oltre alle foto mi è piaciuta molto anche la scelta del dittico, la trovo maggiormente efficace.
La testimonianza diretta di chi ha vissuto,
sulla propria esistenza,
una calamità naturale,
è sempre attuale.
Trovo efficaci i dittici che mostrano immagini esterno/interno senza la presenza umana in quanto già dense di dettagli che raccontano la macrostoria della calamità e le microstorie di quanti l’hanno subita, ecco perchè il dittico in cui compare l’uomo con le foto in mano ha in me più un effetto disturbante nel flusso della storia. La scelta del b/n non la trovo affatto nostalgica. La nostra percezione della realtà non è in b/n perciò associare questa scelta ad un racconto “particolare” che potrebbe essere astrazione di un rapporto di impotenza uomo/natura, senza tempo,per me ha un senso.
Le foto sono splendide. Complimenti all’autore.
Quanto segue non si riferisce specificamente a queste foto, ma al discorso sull’efficacia del reportage fotografico.
L’istante della sciagura è passato. Resta l’ambientazione, drammatizzata dal B/N, di un evento generico: un terremoto, un maremoto, una catastrofe nucleare… Una delle tante disgrazie che passano sulle TV ogni giorno.
Ogni reportage fotografico necessita di una presentazione. A meno che l’autore non riesca a cogliere qualcosa di particolare, di specifico; che caratterizzi il singolo evento, andando oltre la semplice rappresentazione drammatica, che il B/N riesce a rendere in modo efficace, ma che tuttavia sembra sempre spettacolarizzare la poetica quasi compiaciuta della distruzione, della morte; in un romanzo che non ha mai inizio e mai fine; sempre toccante, ma sempre uguale a se stesso e sempre sterile; perché da quelle immagini non nasce mai lo stimolo a dire basta; ma solo il compiacimento della bella immagine.
Il video-audio è molto più efficace. Il commento vocale e/o musicale manifestano un maggior numero di sfumature, con una maggiore possibilità creativa di muovere le coscienze e la consapevolezza. La foto resta statica; confinata nelle gallerie o in qualche rivista letta da pochi e da pochi compresa.
La splendida foto della ragazza afghana di Steve McCurry, del 1984, è efficace ed eloquente. Eppure occorre un commento per comprendere l’ambientazione.
Infatti National Geographic successivamente produsse il documentario Search for the Afghan Girl. Perché la foto aveva detto molto, ma non tutto. E tutti si chiedevano chi fosse e che fine avessero fatto quegli occhi allucinati, incisivi.
Trovo questo lavoro molto interessante, in particolare molto belli i primi piani su oggetti semplici della quotidianità, solo sfiorati e lambiti dal disastro e rimasti così, immobili, a testimoniare che la vita e i ricordi sono fatti di piccole cose, un disegno sulla carta da parati, una vecchia felpa, una foto sbiadita, una lettera spiegazzata nel portafolio.
La sensibilità femminile si percepisce e si respira, tanto che, nonostante la tragedia, questo posto appare “bellissimo” …. proprio come dichiara Serena .
Io ho vissuto la tragedia delle ultime inondazioni in Liguria, ed ho visto il posto per me più bello del mondo (Vernazza), risucchiato in un attimo da un gorgo impazzito di acqua e fango!
Purtroppo noi italiani siamo abituati ad immagini terribili come queste, il pathos e la potenza dell’immagine fotografica può forse aiutarci a continuare, ogni volta, a credere che sarà l’ultima.