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Soglie – di Dario Apostoli

“Soglie”

di Dario Apostoli

da Face to Face di Carpi (MO)

Questo progetto ancora in atto, è un’indagine sulle relazioni, una visione personale e introspettiva dal nome “SOGLIE”. Attraverso l’immaginario, cerco d’interpretare con immagini fotografiche un modo di percepire luoghi ordinari urbani, normali, abituali, di visita o di semplice passaggio. Luoghi in cui, anche se apparentemente insignificanti, si manifestano dinamiche di solitudine collettiva, disinteresse reciproco fra moltitudini umane.

Situazioni sempre più marcate del vivere, nelle quali la marea umana tende a manifestare il proprio ego chiudendosi al mondo esterno e maturandone uno proprio, nel tentativo di sfuggire alle relazioni col prossimo, col proprio ambiente, con se stessi. Un processo simile porta inevitabilmente ad avere una percezione distorta del mondo, con l’ovvia conseguenza di volerne costruire uno a proprio piacimento, illusorio, fittizio, in un luogo immaginario, lontano e inaccessibile. Tutto ciò non crea valore e causa inevitabilmente sofferenza.

Soglie parla di una visione della vita qui ed ora, nei luoghi che si frequentano abitualmente o meno, in cui vi è la possibilità di risvegliare la propria autocoscienza, col desiderio di apprezzare ogni singolo istante. L’intento sta nel voler restituire la lucentezza andata perduta e sostituita dall’ordinarietà e dal torpore quotidiano, attraverso le immagini. Rappresentare un mondo cristallizzato dove l’uomo occupa fisicamente e spiritualmente ogni spazio. Ogni luogo può essere una soglia, dalla quale si può cogliere tutto ciò che vi è d’essenziale nel mondo ordinario.

 

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7 commenti

  1. Con l’opera “Soglie”, Dario Apostoli persegue l’antico orientamento espressivo dell’”Idealismo artistico” che è quello opposto al “Realismo artistico”. Nell’Idealismo l’immagine del reale è trasformata in “cosa altra”. Il processo creativo inizia dal mondo e culmina in un significante visivo figlio della realtà e dell’azione creativa del fotografo che la trasforma secondo le proprie intenzioni. Ciò avviene con tutti i linguaggi artistici, realizzarlo con la fotografia ci appare con particolare evidenza. In genere questo stile fotografico è chiamato “Pittorialismo”, infatti (come in pittura) in esso viene conservata tutta la somiglianza all’icona della realtà ma idealizzata attraverso l’immagine della sua essenza, ottenuta detraendo informazioni e segni.
    “Soglie” ci appare essenziale come un disegno colorato, che con i toni alti, pur nelle sue peculiarità, appartiene al gusto storico del “Chiarismo”. Fu l’opera di Giuseppe Cavalli che negli anni 40’ e 50’ diede dignità artistica alla fotografia nell’epoca del “Chiarismo italiano”. Ma mentre Cavalli trasformava il reale antichizzandolo, Dario Apostoli ci rende percepibile nel paesaggio urbano l’energia creatrice della modernità.

  2. Si mi piace molto fotografia con pochi segni essenziali l’autore trasforma una visione in qualcosa di idealizzato,le persone sembrano abitanti di un altro luogo non chiamato terra, inoltre evidenzia anche in un certo modo la solitudine umana.

  3. Un lavoro molto interessante”Soglie”, in cui viene enfatizzata la semplicità e la linearità compositiva a significare e a porre inrisalto la solitudine e l’alienazione dell’uomo, in un contesto metafisico, che per certi versi richiama alla mente certe opere di Carrà o di De Chirico.
    Molti complimenti all’autore anche per l’eccellente e fondamentale lavoro di postproduzione.

    1. Complimenti Dario, sono molto contenta di questa importante pubblicazione. Conosco ed apprezzo SOGLIE da tempo…
      Antonella Monzoni

  4. Complimenti Dario,sto lavorando anch’io sulla solitudine umana in questa nostra “civilta’”, anche se con un approccio completamente diverso. Del tuo lavoro ho apprezzato molto l’uso sapiente delle alte luci e del colore.
    Colgo l’occasione per fare i miei complimenti ad Antonella Monzoni per il suo prestigioso premio.

  5. Queste non sono fotografie. Finalmente. Non è il calco della realtà (quale?) ma altro. Vivaddio.
    Bianche ed esangue, per niente rassicuranti ancor di più in quelle vedute con oggetti animati, insomma ai richiami di Ghirri. Poi morto, non a caso di cancro: il simbolo malattia, la particella che esce “pazza”. La disgregazione del tessuto, non a caso chiamato così come la carne, o quell’estraniarsi da sé come direbbe il buon Veronesi (vegetariano non a caso). Tutto pianificato a tavolino da menti che traggono nutrimento ideologico già dai campi di sterminio. E santificato nelle pietre del “Georgia rule stone”.
    Immagini dall’alto, poi, che non paiono autosufficienza, per capirci di quella moda sadomaso, dove il soggetto è ripreso quasi ai piedi di chi fotografa. Sottomissione.
    Il bianco è a tratti numinoso abbacinate come il Sonno eterno, che si riverbera in quella teoria di occhi, che sono finestre. In quella soglia, le porte arcate che aspetta paziente il gruppetto di individui (vai a sapere se umani o droni).
    Tutto di un bianco come l’ultimo respiro, quando il mondo va vaporizzandosi dissolvendosi come i sogni.
    Ps. Se all’immagine degli alberi scheletrici la donna che guarda una delle porte, quella a sinistra dell’inquadratura e di colore verde bottiglia, si toglie un’anta o la si “dipinge” di nero con Pshop, alè il gioco è perfetto. Molto di Giacomelli.

  6. Sono già passati 3 anni da quando ho commentato questo post! incredibile! Fa sempre piacere rivedere un ottimo lavoro perchè ogni volta è sempre una nuova scoperta e un nuovo arricchimento. Questa volta la mia attenzione è stata polarizzata dall’atmosfera algida di ogni scatto, quasi che i luoghi si conformino al pensiero delle persone che lo vivono, divenendo essi stessi spazi inospitali che non favoriscono la comunicazione.

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