Nino Migliori a Palazzo Fava – di Cinzia Busi Thompson, 1° parte
NINO MIGLIORI A PALAZZO FAVA
di Cinzia Busi Thompson, prima parte
Dal 17 gennaio al 28 aprile 2013 si è tenuta a Bologna la più ampia e articolata antologica – composta di oltre 300 opere – degli ultimi decenni dedicata al fotografo Nino Migliori.
“Cos’è per lei la fotografia? Un’avventura continua, una necessità di esprimere”.
È nelle parole stesse di Migliori che si trova la chiave per capire il suo universo fotografico che scorre davanti ai nostri occhi, dispiegando la storia della fotografia dai suoi albori ai giorni nostri.
La complessità della sua opera non può sottostare a una mera distinzione tra “realismo” e “sperimentazione”.
Riprendiamo da un’altra intervista le sue parole: “Non rappresento il reale, lo interpreto”. Ecco dunque che la pretesa diversificazione tra “realismo” e “sperimentazione” viene a cadere poiché il reale non può essere rappresentato (non c’è oggettività ma solo soggettività), ma solo interpretato.
Facciamo un passo indietro per cercare di spiegare e capire meglio.
Migliori nasce a Bologna nel 1926 e comincia a fotografare nel 1948. Le prime Ossidazioni e i Pirogrammi (tecniche off-camera, cioè senza l’uso di una fotocamera) risalgono proprio a quell’anno.
A un paio di anni di distanza comincia la serie “realistica” “Gente”, dove fotografa persone, ambienti, situazioni in maniera diretta, senza interventi a posteriori.
Possiamo affermare con certezza che esista un discrimine tra questi due filoni? Credo che la risposta sia negativa per almeno due motivi. Il primo, il più semplice, è perché siamo comunque davanti a un’interpretazione. Il secondo, un po’ più complesso, si colloca nella definizione indicale di fotografia come segno. Che cosa significa? Secondo molti studiosi, la fotografia è un segno-indice (gli altri segni sono l’icona e il simbolo) poiché mantiene sempre con la realtà un rapporto diretto; in altre parole, è una traccia della realtà, come l’alone che un recipiente pieno di liquido lascia sul tavolo dove è appoggiato.
Se da un punto di vista estetico si può notare una diversità, spostandosi a un livello più complesso di póiesis, questa differenza è annullata. In altre parole, cambia la Forma ma la Sostanza rimane inalterata e la poetica di Migliori rimane costante e coerente nel corso degli oltre 60 anni di carriera; ciò è quello che fa di lui un Maestro della fotografia.
Passiamo ora a “guardare” assieme le opere esposte.
Partiamo dai lavori degli anni ’50 “Gente” incentrati sulle persone e che si articolano in “Gente dell’Emilia” (1952-59), “Gente del Sud” (1956) e “Gente del Delta” (1958).
Racconta Migliori: “Non sono foto di reportage. Io sono nato nel 1926 e ho sofferto la guerra, la paura dei bombardamenti e dei rastrellamenti. Non era vita quella. Appena è finita, sentivo il bisogno di riappropriarmi di un’identità che ci era stata strappata, di conoscere gli altri. Andavo in giro, vivevo con le persone, dormivo e mangiavo con loro, le fotografavo”.
Siamo negli anni del Neorealismo cinematografico che cercava le immagini di un paese che la fotografia di propaganda del XX fascista aveva censurato perché diseducative e non rispecchianti i modelli proposti dal regime.
Negli stessi anni arrivano in Italia le immagini della Farm Security Administration (di Dorothea Lange, Walker Evans, ecc.) che documentavano la disastrosa situazione economico-sociale che aveva colpito gli Stati Uniti durante la Grande Depressione. Sono anche gli anni in cui i grandi maestri stranieri arrivano in Italia – sulle tracce del Grand Tour ottocentesco – per cercare quell’Italia pittoresca, legata alle radici di un tempo antico che pareva essersi fermato. I risultati sono spesso impregnati di un umanitarismo superficiale fatto, per lo più, di stereotipi visivi e culturali.
Le fotografie di Migliori, invece, sono molto più vicine a quelle di “Un paese” di Paul Strand: costituiscono uno sguardo lucido sulla realtà, una rappresentazione genuina della gente.
I soggetti sono e rimangono spontanei anche quando guardano verso la macchina fotografica. Le immagini frutto di questo lavoro mostrano gente orgogliosa – anche se vive in ristrettezze economiche – che vuole dimenticare il passato e guarda verso il futuro. Non c’è mestizia o rassegnazione nei loro sguardi, nei loro gesti, ma solo il desiderio di voler vivere una vita normale (i vestiti della festa, le camicie bianchissime).
Nascono le prime ministorie (che oggi chiameremmo portfolio) e cioè un piccolo racconto fatto d’immagini in sequenza.
Quando nel 1956 Migliori va nel Sud il suo occhio-positivo – pur guardando a una realtà geografica e sociale differente – coglie soprattutto l’orgoglio della gente e, ancora una volta, la vivacità del tessuto sociale.
Soprattutto qui ritroviamo la lezione di Paul Strand (ma non è detto che Migliori ne conoscesse il lavoro) nei gruppi familiari che si aggregano sui gradini fuori dalle loro abitazioni (usanza tipica di quell’epoca che perdurava da nord a sud).
Nel 1958 va a fotografare la gente del Delta del Po, terra dove la natura governa sovrana e non concede nulla alle persone.
Guardando queste immagini il ricordo va a un altro grandissimo fotografo bolognese, Enrico Pasquali, che lavorò a lungo in questi luoghi ma, mentre egli era un fotografo politicamente impegnato a documentare soprattutto il lavoro, lo sfruttamento e i disagi, Migliori, ancora una volta, cera le situazioni “positive”. Ecco allora che fotografa la locandina del cinema, i ragazzi che giocano, la bambina che riceve le due bambole, quelle che si mettevano poi al centro del letto rifatto.
Una convergenza con Pasquali c’è e la troviamo nella fotografia dei bambini che guardano rapiti i cavallucci di legno in una vetrina.
I suoi bianconeri sono sempre ben calibrati e non stravolgono la realtà ma, la luce che avvolge le persone è magica sì da renderli icone del loro tempo.
Dopo la propria entusiasmante scoperta che Serena Vasta ci ha manifestato tre mesi fa sulla sua mostra milanese di Nino Migliori, oggi Cinzia Busi Thompson inizia ad accompagnarci nelle profondità dell’opera del grande artista e fotografo bolognese riflettendo sui contenuti della mostra antologica allestita nella primavera di quest’anno a Palazzo Fava di Bologna. Saranno due Post ricchi di immagini che permetteranno anche a chi non conoscesse l’autore di riceverne un’ampia presentazione scritta da una concittadina dell’autore che lo conosce e segue da tempo. Ringraziamo Cinzia per questo bel regalo che ha fatto agli appassionati fotografi di Agorà Di Cult.
Ringrazio Cinzia Busi Thompson del post su un grande autore come Nino Migliori , sono andata l’ultimo giorno di chiusura sapendo che c’era anche l’incontro con il maestro stesso nella sala del Giasone . Straordinaria persona due occhi vispi e intelligenti ,un sorriso aperto, cordiale, mi sono avvicinata a lui (mai avevo avuto occasione di conoscerlo personalmente ) stringendogli la mano con tutte e due le mie , un gesto che voleva ricalcare la stima che ho di questo artista – gli dico — lui si alza in piedi e con un gesto nobiliare mi bacia il dorso della mano, come i nobili facevano alle dame e guardandomi in faccia mi dice Le opere distribuite,, con molta sapienza, nelle varie sale e piani del palazzo Fava , ti coinvolgono , ti emozionano , arte della fotografia che dialoga con scultura, pittura e installazione , per citare il video nella sala a terra che accoglie “”Gli orantes “”un acume, una straordinaria intuizione, creatività, fantasia, che straordinaria idea e profonda ricerca da una semplice bottiglia di plastica. Un percorso esauriente che caratterizza e testimonia una grandiosa personalità artistica . Io mi sono arricchita in tutti i sensi.
un bellissimo racconto di Cinzia Busi Thompson
riguardare i lavori di Migliori è sempre emozionante
Condivido pienamente il pensiero di Franca Castellani; Nino Migliori: un uomo straordinario umanamente ed artisticamente. Forse in Italia non ancora pienamente apprezzato e compreso; Il suo modo di concepire la fotografia era sconvolgente negli anni ’50 come lo è ancora oggi per molti fotografi. Un geniale artista, questo è per me Nino Migliori. Quando si travalica la riga dell’ovvio e si sconfina in altri linguaggi inconsueti è chiaro che all’inizio ci possa essere perplessità, perchè l’artista arriva a vedere dove altri ancora non possono vedere, ma questo ci permette di aprire i nostri gli orizzonti su nuove mete, di interrogarci, di metterci in discussione, di arrivare a nuove scoperte. Quello che mi ha colpito del suo sguardo è la giovinezza interiore; la continua capacità di meravigliarsi e di divertirsi nella sua ricerca. Grazie Nino per tutto quello che ci hai regalato!