Le Comunioni del Cuore – di Giuliana Traverso
Le Comunioni del Cuore – di Giuliana Traverso,
a cura di Orietta Bay
Siamo nel 1987, sono passati gli anni del boom economico, l’eco delle rivendicazioni femministe è ormai lontano ma ha prodotto una maggiore considerazione e autonomia “dell’altra metà del cielo”. I figli dei fiori hanno abbandonato le loro contestazioni e sono diventati padri e madri felici.
Ma è certo che dagli sconvolgimenti del trentennio precedente, pur nelle incertezze che si stanno ancora vivendo, con parecchi problemi ancora non risolti, ci è rimasta la preziosa eredità della maggior attenzione al sociale. Una più responsabile presa di coscienza sulle necessità di valorizzazione di tutte le persone, anche, e soprattutto di quelle, che vivono nel disagio, nelle più diverse accezioni.
La Traverso, che come abbiamo avuto modo di dimostrare, in altri momenti di questo blog di Agorà, è autrice che ha spaziato tra i vari temi della fotografia, pubblica in quest’anno “Le Comunioni del Cuore”; un racconto-reportage che si svolge al “Villaggio di Camaldoli”, situato sulla collina di san Fruttuoso, nella parte orientale di Genova.
Complesso edilizio che era un tempo oasi di preghiera , poi trasformato in luogo di villeggiatura, e finalmente nel 1940, da don Orione, nel grande villaggio della carità.
È un lavoro a colori che già dal titolo e dalla foto di copertina, mette in chiara evidenza il fulcro del messaggio. Ma è lungo tutto lo svolgersi del racconto, attraverso la scelta compositiva e poetica, che vengono esaltati i valori di cui l’autrice si fa portavoce e paladina.
È una storia che ci parla di amore, di quello che questa parola, usata a volte superficialmente, vuole veramente significare.
Nelle fotografie, che Giuliana Traverso ci propone, il pensiero dominante, quello che scaturisce dalla sua decisione di cosa e come inquadrare, è che “amore” significa guardare nella stessa direzione, avere lo stesso scopo finale. È condivisione, desiderio di farcela insieme, di non sentirsi mai abbandonati nonostante gli isolamenti che la malattia o il disagio possono tentare di produrre.
Ci presenta uomini e ragazzi che pur vivendo in condizioni di evidente difficoltà personale perché, in molti casi, hanno perduto forza ed autonomia, conservano nel cuore il desiderio, forte, di sentirsi amati e di amare.
Ci sono abbracci il cui trasporto emotivo ci arriva diretto e ci coinvolge.
In altri scatti sono evidenti nei sorrisi incerti e in qualche risata forzata le paure che ancora devono superare .
Ma è l’atmosfera generale, la sensazione di serenità che l’autrice è riuscita a catturare, che ci fa capire che in questa comunità, con volontà e passione, si è riusciti a raggiungere una “unione-con” l’altro.
E l’altro è il compagno di viaggio in cerca di recupero, l’operatore che custodisce e vigila e che considera il lavorare lì, come è sapientemente evidenziato dalle immagini, non un qualsiasi impiego ma il modo per condividere e servire.
L’autrice è una presenza attiva tra i protagonisti ma che sa rendersi partecipe senza interferenze. È riuscita ad inserirsi nell’ambiente, è con loro, è una di loro che prende parte a questo “girotondo di sentimenti scambiati” per trovare la gioia di vivere e andare avanti.
Le sue fotografie sono testimonianza intensa e toccante di momenti unici, che sentiamo felici.
Per questo nello scorrere del volume pubblicato dalla Microart’s di Recco anche noi ci sentiamo coinvolti, ancora una volta l’autrice riesce a catturaci, a portarci dentro la storia che ci racconta, non da spettatori, che anche se attenti restano estranei, ma da co-protagonisti.
Credo che la forza del grande autore sia proprio questa.
Orietta Bay
Con “Le comunioni del cuore”, di Giuliana Traverso, Orietta Bay riprende il suo progetto antologico sulle opere di Giuliana Traverso (MFI). Ricordo che chi tra gli iscritti al Dipartimento Cultura volesse presentare un analogo progetto di studio su altri importanti autori italiani sarebbe una bellissima scelta. Il tema della follia trova, nella realtà e quindi anche nella fotografia, lo spartiacque con la Legge Basaglia del 1978. Prima le opere sono generalmente improntate alla denuncia di una realtà di segregazione violenta, dopo è tornare negli ospedali psichiatrici vuoti per tentare di elaborare un pensiero su quanto è stato compiuto in quei luoghi di dolore. La Traverso realizza quest’opera 9 anni dopo la riforma e si avverte chiaramente il cambiamento del clima sociale ormai orientato verso l’accettazione del malato mentale e non alla sua segregazione. L’opera tende al realismo, è quindi a colori (che è una scelta espressiva inedita rispetto alle opere realizzate fino ad allora tutte in B/N), e ci rappresenta la sdrammatizzazione del rapporto con la malattia mentale fino a dare alto valore simbolico all’aspetto affettivo come giustamente evidenzia l’analisi di Orietta Bay.
La follia, tema trattato da sempre in letteratura e in fotografia si presta a considerazioni di tipo sociale e culturale. Quante sono state le immagini che hanno denunciato le condizioni disumane dei malati psichiatrici in manicomio colpendoci spesso come un pugno allo stomaco. Qui invece troviamo altro. Sembra che Giuliana Traverso abbia voluto mettere in luce ciò che prima della riforma non sarebbe stato possibile fare. Ci ha raccontato il lato fanciullesco della follia, quello che nel nostro immaginario corrisponde ad un’idea di gioco e libertà senza barriere. La follia, in fondo, quando non fa troppo soffrire , forse è anche questo e l’autrice sembra dirci che così non fa paura . E allora, come dice Orietta Bay, gli abbracci che vediamo ci rendono partecipi e catturati.
Il psichiatra/politico Basaglia ha posto un paletto fondamentale nella trattazione dell’argomento delle malattie mentali e la sua lotta in tale direzione ha cercato di far vedere anche altri lati, quelli meno oscuri, della disabilità. Si è passati da un tipo di segregazione militare, di punizione, di cura senza remore, ad una “segregazione” più soft più vicina alla vita normale con il riconoscimento dell’individuo … si è passati dalle mura ai villaggi ed ad altre forme di convivenza “normale”. Questo lavoro fotografico potrebbe risultare banale vederlo ora, queste foto e questa costruzione con molta probabilità non la prenderebbe in considerazione nessuno se non per il fatto che sono frutto di un lavoro realizzato nemmeno 10 anni dopo l’entrata in vigore della legge Basaglia (1978) – Dopo una miriade di scatti raffiguranti quello che dietro le mura accadeva e che in alcuni casi accade ancora oggi la Traverso segue una direzione opposta, coglie e vuole cogliere il buono, documentarlo e renderlo pubblico per dimostrare, a mio avviso, che c’è dell’altro che la disabilità mentale è un’altro modo di esprimersi e di vivere. E’ un lavoro che avevo già visto e sono felice che venga proposto qui su Agorà, un lavoro di bella fotografia e di grande significato.
Ho passato gli 80 anni e scopro in questi ultimi tempi che ancora mi batte il cuore quando qualcuno parla di me, e mi permette di camminare sul mio passato. Mi fa pensare a mio padre che nel tribunale di Verona era Pubblico Ministero e le poche volte che sentivo il suo pensiero, papà parlava poco con me, ero piccola, io capivo che ero proprio il suo opposto. Non mi è mai interessato un giudizio netto, ho sempre cercato di scoprire i fili che portano alle azioni. Ma tutto questo era nell’inconscio.
Con la fotografia, oggi sono gli altri a sottolinearlo, ho fatto questo.
Giuliana Traverso
Le immagini de “Le comunioni del cuore” mi toccano profondamente perché mette a fuoco e valorizza il rapporto con l’altro, con chi vive nel disagio, e ne scaturisce l’amore, forza dirompente che alimenta e trasforma la vita.
Grazie Giuliana Traverso e un grazie ad Orietta che ha ben saputo cogliere l’essenza del lavoro.