NO – Panic, di Teresa Nuzzo – a cura di Federica Cerami
.
.
.
.
.
Come si vive con la paura di aver paura?
Come si entra in una giornata nella quale nulla è come sembra?
Come si apre la porta al mondo, sapendo che, forse, quel mondo potrebbe caderci addosso come una valanga?
Mille e più domande si insinuano, maledettamente, in ogni goccia di sangue di chi vive con tutti i sensi perennemente allertati.
Nulla, ma proprio nulla, sarà più come prima, quando il panico entra dalla tua bocca e dal tuo naso, passa per i bronchi, accelera terribilmente il battito del cuore e poi, trasformandosi in un pesante macigno, si arresta nello stomaco, impedendoti qualsiasi movimento.
Un giorno scopri che quest’intruso è diventato parte dominante di te e delle tue azioni, ci impari a convivere e provi a far finta che tutto sia normale, mentre sai bene che il concetto di normalità oramai l’hai perso nel vento e ti abitui a questa malsana idea che la tua vita sarà sempre così terribilmente spaventosa.
Faccio un piccolo passo indietro nel tempo.
Teresa Nuzzo l’ho incontrata, tempo fa, all’interno dell’Associazione fotografica Bunker di Caserta, in un corso di fotografia nel quale tenevo una lezione sulla costruzione del Portfolio.
L’anno successivo ho accolto l’invito del presidente Giorgio Cappiello a tenere un corso per seguire i suoi studenti nella realizzazione del loro primo portfolio fotografico.
Così è nato il Corso “Storytelling – Il Portfolio Fotografico”, provando a discutere, assieme, di tutto ciò che contribuisce a rendere unico il proprio Portfolio Fotografico, costruendo un tragitto a partire dalla Storia della fotografia, passando per i temi della composizione fotografica e del linguaggio, entrando in punta di piedi in sessioni di fotografia terapeutica, per poi chiudere tutto nel Modulo sulla carta curato da Marco Casciello.
Il percorso, della durata di nove mesi, ha avuto al suo interno tantissime letture portfolio con una modalità aperta in circle time, perché credo tantissimo nell’idea di rete all’interno del processo creativo; una rete nella quale ogni partecipante ha potuto liberamente sperimentare il proprio flusso di idee.
In questo contesto ho visto e accolto tutto il percorso compiuto da Teresa.
I suoi primi autoritratti hanno catturato, da subito, l’attenzione del gruppo perché sono stati autentici, senza filtri, senza alcuna richiesta di approvazione e sono entrati nella monotonia della nostra quotidianità costringendoci ad aprire gli occhi per cercare, dentro noi stessi, il meraviglioso dono dell’empatia.
Con una progressione inarrestabile, gli autoritratti si sono trasformati in una storia che ha tolto il fiato, lasciando il gruppo in un tempo sospeso, pronto ad accogliere tutta la tempesta di emozioni che ne è seguita.
Teresa ha raccontato un suo attacco di panico mostrandosi, fotogramma dopo fotogramma, in una successione di immagini sincera e dolorosa, nella quale ha lasciato cadere ogni barriera difensiva, ogni minima forma di pudore, fino a restare immobile con il suo sguardo fisso, dentro gli occhi della sua paura.
Un attacco di panico è un episodio di ansia forte e intollerabile che dura un tempo infinito per chi lo vive, anche se questo tempo lo può misurare in poco più di venti minuti, nei quali i sentimenti di apprensione, paura e terrore che la persona affronta restituiscono una idea di ineluttabile catastrofe.
Questo nemico invisibile sembra arrivare all’improvviso, senza bussare alla porta ed è per questo che spaventa così tanto chi ne soffre.
In realtà l’attacco di panico presenta sempre un forte fattore scatenante, anche quando non si è in grado di riconoscerlo come tale, come si vedrà meglio all’interno di un percorso di terapia.
Attraverso questa considerazione riconosco ancora più bellezza al lavoro di Teresa, perché nel guardarsi dentro e nel trovare le forme della sua paura ha messo a fuoco, con dolcezza e determinazione, la sua capacità trasformativa.
La paura della paura è diventata la sua possibilità per comprendere che, tutto quello che le stava prepotentemente accadendo erano dei campanelli di allarme per mostrarle che qualcosa nella sua vita non stava funzionando al meglio delle sue possibilità.
Mi viene in aiuto un pensiero di Proust quando afferma: “L’arte è una ferita che diventa luce” ed è proprio con questa luce che ogni artista può guardare e rappresentare la sua ferita e mettersi in cammino per venirne fuori.
Lì dove termina, con la sua ultima immagine, il racconto di Teresa, inizia in tutti noi, silenti spettatori, un percorso di meravigliosa apertura verso quel mondo che troppe volte per distrazione non riusciamo a vedere.
No-Panic si congeda da noi trasformandoci in attori del medesimo palcoscenico sul quale la rete di solidarietà può farci cambiare il nostro modo di guardare, aprendoci alla possibilità di trovare, ogni volta che ne avvertiamo il bisogno, il nostro nuovo punto di osservazione.
Federica Cerami
“No – Panic”
Viaggio dentro agli occhi della paura
di Teresa Nuzzo
Lavoro straordinario
“No-Panic”, di Teresa Nuzzo, è un’opera narrativa artistica per la libera rappresentazione fotografica dell’esperienza di panico.
L’attacco di panico è generato dalla personale perdita di capacità nell’affrontare la realtà.
La sequenza delle immagini si incentra sul volto della protagonista secondo un percorso narrativo che dalla prima immagine, in cui inizia la manifestazione di disagio, culmina con l’ultima della ripresa di controllo del rapporto col reale.
Portfolio che affrontano sofferte patologie di vario genere si moltiplicano alle letture dei tavoli di portfolio. Questo condividere il dolore con la fotografia ha sicuramente aspetti positivi nel contrastare con l’informazione l’isolamento sociale in cui l’ammalato si sente confinato. Di certo il tema “malattia” di per se non conferisce al portfolio nessun particolare valore fotografico, quindi quando si affrontano questi temi non bisogna farlo mai con lo scopo di suscitare pietismo nel lettore; quel che importa in un’opera è il valore del linguaggio ideato dall’autore per esprimere il proprio sentito.
Questo portfolio è strutturato da una consapevole finzione che segmenta visivamente le quattro fasi considerate dall’autrice: la perdita di controllo con la “deformazione del volto”, la paura di morire con l’ausilio del “soffocamento”, la reazione estrema “staccandosi” dal diaframma soffocante, la ripresa di “controllo” del comportamento.
La fotografia diventa terapia nel dare una dimensione e concretezza al sentimento angoscioso che nel provarlo sembra sia incommensurabile. L’effetto terapeutico è più efficace in misura della capacità dell’immagine di rappresentare autenticamente la malattia.
Ringrazio Teresa Nuzzo e Federica Cerami per aver condiviso quest’opera che affronta un disagio che ha assunto dimensioni sociali, in modo efficace nell’attrarre l’attenzione in chi non lo conosce e nel dare speranza in chi ne soffre.