Cronache Di Cult
Luigi Ghirri, l’omino sul ciglio del burrone
a cura di Antonio Desideri
Luigi Ghirri (Scandiano, 1943 – Roncocesi, 1992) è stato uno dei principali fotografi italiani e, molto probabilmente, uno dei più grandi innovatori dello ‘sguardo’ contemporaneo. Questo piccolo libro, che ne vuole celebrare la figura e, soprattutto, il pensiero critico, ruota tutto intorno alla sua figura: da brevi ma precisi cenni biografici fino alla corposa bibliografia che cerca di dar conto in maniera più completa possibile della vastissima produzione editoriale, sia fotografica che teorico-critica, di Ghirri stesso. La figura del fotografo emiliano viene introdotta da un saggio del curatore Antonio Desideri ed è poi delineata da una serie di citazioni significative tratte appunto dal lavoro di riflessione ghirriano: questa parte intitolata “Parole e immagini” è suddivisa in sette argomenti (il paesaggio, l’architettura, il Ghirri recensore dei suoi colleghi, la musica, ecc) che servono a tracciare l’identikit del fotografo e fungono da mappa per muoversi tra i suoi scritti. Il volumetto è aperto da una breve ma illuminante prefazione di Marco Fantechi, Presidente del circolo Rifredi Immagine e grande esperto ghirriano. Qui di seguito alcuni passi tratti dalle varie sezioni del libro.
«Personalmente non ho mai incontrato Luigi Ghirri (…) Però, anche se lo avessi incontrato, in quegli anni avrei forse avuto difficoltà a seguire il suo pensiero. Non erano i chilometri che separano la Toscana dall’Emilia la distanza da superare, ma una idea di fotografia, la sua, che per molti di noi era ancora ben più lontana. (…) Ci sono voluti molti anni di cammino per smettere di cercare di meravigliare il mondo con le nostre immagini ed iniziare a lasciare che fosse la nostra fotografia a meravigliarsi davanti al mondo. (…) Così pian piano ci siamo avvicinati al valore fortemente connotativo dei lavori di Ghirri, a quelle domande che, tra luci e colori lievi, muovono dalla superficie delle sue fotografie. Interrogativi senza tempo, e quindi sempre attuali (…)» (dalla prefazione di Marco Fantechi).
«Breve, troppo breve la parabola umana ed artistica di Luigi Ghirri. Che pure, dai primissimi scatti degli anni ’70, in appena un ventennio di lavoro è riuscito a lasciarci spunti e materiali critici e saggi e testi e riflessioni (oltre al corpus delle immagini, naturalmente) per chissà quante generazioni di fotografi. (…) Già da subito ci mise in guardia dal rischio «di giungere a un punto di scomparsa, a una insensatezza dello sguardo per eccesso di visibilità (…) C’è un’anestesia dello sguardo dovuta ad un eccesso di descrizione».
Non so se di questa premonizione puramente culturale Luigi sarebbe stato oggi felice, lui che ha cercato l’infinito in fondo ad ogni scatto. Non ha avuto il tempo di costruire il monumento di se stesso né di godere dei frutti della fama che gli arrise forse più a posteriori ma, per nostra fortuna, il suo lascito è vivo e pulsante. (…) possiamo intendere la ricerca ghirriana come il tentativo di strappare un velo, il perenne cercare nettezza (del processo) della visione, restituendo allora non un mondo statico ma la fremente trasformazione che sta dietro ogni cosa. Il nostro sguardo, col suo, si trova a indagare, a cercare il senso nel punto di fuga, non soltanto nella prospettiva classica (che anzi nella sua opera non è quasi mai determinante), quanto soprattutto nello spazio disteso dentro l’inquadratura. Il suo è un campo d’azione, una chiamata all’osservazione a cui si deve rispondere con l’attenzione e la meraviglia della scoperta.» (da “L’omino sul ciglio del burrone” di Antonio Desideri).
«(…) la fotografia diventa un linguaggio che opera per accumulo diretto e grazie al cambiamento di significato che nasce quando il mondo dei segni si fonde con il mondo fisico; questi due elementi, combinandosi, permettono una contemplazione che va oltre quella originaria. La fotografia non è pura duplicazione o un cronometro dell’occhio che ferma il mondo fisico, ma un linguaggio nel quale la differenza fra riproduzione e interpretazione, per quanto sottile, esiste e dà luogo a un’infinità di mondi immaginari». (L.G., Topographie-Ikonographie / Topography-Iconography, in Camera Austria, n. 7, 1982)
«Io lavoro con la memoria, una memoria collettiva che inevitabilmente ha dei riscontri con la memoria personale. Mi spiego meglio: lavoro su una memoria personale però all’interno di un mondo in cui le informazioni sono di carattere collettivo. Le due cose combaciano perfettamente. Del resto anche Giordano Bruno diceva che pensare è speculare per immagini. Quel grande aveva concepito le stanze della memoria, luoghi di penombra, che per me, oggi, possono tranquillamente essere paragonati alla camera oscura. All’interno di ogni stanza sono depositate determinate memorie, concatenate le une alle altre». (da Ritratto 1 Ghirri, intervista a L.G. di Sergio Abelardi, in Progresso Fotografico, rivista, maggio 1982)
«Il paesaggio è per noi l’incrocio tra la natura e la cultura quindi anche il luogo della distruzione, in un certo senso. (…) Forse alla fine il paesaggio è proprio il luogo della tensione infinita, in questo senso non riesci mai a collocare o a trovare un punto definitivo per determinare un ambiente. In questo senso non è delimitabile ed ha una specie di circolarità anche della visione, che non finisce mai». (Luigi Ghirri nel film La strada provinciale della anime, di Gianni Celati, 1991).
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Antonio Desideri, “Luigi Ghirri. L’omino sul ciglio del burrone”, Edizioni Clichy, pagg. 112, euro 7,90. In libreria dal 13 ottobre.
Ringrazio Silvano per lo spazio che ha dedicato alla pubblicazione dell’amico Antonio Desideri alla quale, con enorme piacere, sono stato chiamato a scrivere la prefazione.
Penso che, al di là di tutte le risposte che ci giungono preconfezionate dai vari canali di comunicazione, oggi più che mai abbiamo bisogno della libertà di porci delle domande e di trovare le nostre risposte.
Sento la necessità di superare la diffidenza, il sospetto e la paura che porta alla chiusura culturale, per aprire ad una nuova visione, anche fotografica, sul mondo che è intorno a noi.
Forse proprio per questo le domande e le riflessioni alle quali ci accompagna lo sguardo meravigliato sul quotidiano di Ghirri sono sempre più attuali.
Condivido con Antonio Desideri e Marco Fantechi la soddisfazione di produrre un libro che nasce dal flusso di sollecitazioni che il nostro ambiente FIAF induce nei propri soci. Un libro lo si produce se si attribuisce valore al messaggio che tenta di formulare. “Luigi Ghirri, l’omino sul ciglio del burrone” è un libro che diffonde Cultura fotografica e in qualche misura la definisce.
Esiste una Cultura fotografica? Esiste una specificità del pensiero che è generata da questo processo tecnologico che crea immagini tecniche?
Luigi Ghirri con le sue immagini ha cercato ciò che la fotografia poteva produrre per risvegliare il proprio rapporto con la realtà, e ha messo, questa ricerca, in prima priorità nel proprio disegno esistenziale. Egli con le parole ha argomentato in modo profondo la sua pratica, aprendo la mente propria e di chi lo ha seguito, verso percorsi che si dilatano infinitamente nell’ambito della Cultura generale.
Antonio pubblicando brani tratti dagli scritti suddetti, offre, a chi non conosce il fascino e le problematiche della pratica fotografica e la lettura della fotografia, la possibilità di entrare a contatto con questo linguaggio misterioso che più si conosce è più si ampia nelle rivelazioni e problematiche ancora da comprendere.
Oggi gli smartphone chiedono a tutti di fotografare e tutti si pongono il problema di scegliere la rappresentazione del proprio soggetto. Non è mai successo nella storia umana avere affiancato, in modo così immediato, agli altri strumenti di comunicazione la fotografia.
Oggi tutti la praticano e non si accorgono che in quel momento in cui inquadrano mettono in moto il proprio immaginario creativo.
Certo siamo di fronte a un fenomeno di dimensioni impressionanti se visto nella globalità e, anche se presenta aspetti critici, io mi soffermerei sull’aspetto che comunque ogni foto è un piccolo atto creativo di persone condizionate più a consumare che a creare.Questo non è poco!
La cultura fotografica ha l’energia tecnologica della modernità e generando memoria forza della tradizione, ha un’ampiezza di tematiche enormi che dal processo di comunicazione attraversano quello espressivo e quindi artistico. Luigi Ghirri è stato tra i primi fotografi italiani (dagli anni 60′) a lavorare a progetto e a improntare il propio lavoro con poetica concettuale. Egli ha saputo accompagnarci a vivere la nostra società postmoderna con un respiro culturale aperto a tutti i linguaggi espressivi, è importante continuare questo percorso collettivo che presenta ancora tanto da intraprendere e capire.