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Famadihana – di Giulio Brega

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Nel periodo da Giugno a Settembre sugli altopiani che vanno da Antananarivo a Antsirabe i Madagascar le popolazioni Betsileo e Merina organizzano i Famadihana cerimonie tradizionali di esumazione e risepoltura dei cadaveri dei propri defunti.
La morte rappresenta il passaggio ad un’altra vita. Un nuovo mondo dove gli antenati continuano a vivere e, ai quali, viene attribuito il ruolo di intermediario tra i vivi e dio.
Sono occasioni gioiose e allo stesso tempo toccanti e suggestive che ogni famiglia celebra all’incirca ogni 7 anni.
Un gruppo di sgangherati musicisti seguiti dalla folla festante   si incammina verso la tomba di famiglia mostrando le foto dei propri defunti, nei pressi sono allestiti piccoli banchetti su alcuni tavoli improvvisati.
Donne anziane dai cappelli di paglia e bambini assistono alla cerimonia mentre uomini di mezza età e giovani donne ballano con movimenti convulsi sotto l’effetto del micidiale rum distillato in casa.
Ad uno ad uno i corpi vengono portati fuori dal sepolcro avvolti in stuoie di paglia e sollevati in una gioiosa processione al di sopra delle teste dei partecipanti.
Le salme vengono riavvolte in nuovi lenzuoli e e meticolosamente catalogati con il nome scritto con un pennarello. Alcuni lembi delle vecchie lenzuola vengono prelevati dalle giovani donne come amuleto di fertilità.
Tutti vogliono toccare i propri antenati e dire loro qualcosa.
Segue un momento di raccoglimento, i membri della famiglia siedono vicino alla testa del proprio caro in una forma di comunicazione silenziosa piangendo ma allo stesso tempo pervasi di felicità.
L’aria è carica di emozioni.
Tutti i parenti fanno baldoria e chiacchierano senza trascurare di controllare gli antenati rendendoli partecipi di quanto accade e assicurandosi che partecipino alla festa.
Dopo questo i corpi dei defunti vengono nuovamente condotti a passo di danza alla tomba, si dà lettura di alcuni versi tradizionali e infine la pietra viene sigillati con il fango.
Oggi circa la metà della popolazione malgascia è cristiana; tuttavia i malgasci non hanno abbandonato i propri riti e le proprie credenze animiste. Le religioni cristiane non osteggiano il rito Famadihana attribuendone loro un significato che esula dalla religione.
Per tali motivi la tradizione della riesumazione dei morti ancora resiste allo scorrere del tempo.
Giulio Brega
 
 

Famadihana (Voltare le ossa)

 di Giulio Brega

 
 

 
 
 
 

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6 commenti

  1. Complimenti all’autore, tutto quello che prima mi ha raccontato nello scritto, l’ho trovato ben rappresentato. Riesce a farmi partecipare alla cerimonia, sono in mezzo a loro. E’ una festa, la celebrazione della morte, ma il fare ancora parte di questa vita, di una famiglia. Il rispetto per chi non è più tra noi, ma c’è, non solo nel cuore e nei pensieri, ma anche fisicamente ancora, almeno una volta. Vedo sui volti le rappresentazioni di tutti i sentimenti, alcuni controversi, gioia, dolore, serenità, specie negli occhi dei bambini, che qui sono partecipi alla tradizione, mentre con rammarico, in alcuni paesi vengono tenuti lontani da questa celebrazione, come se i morti potessero arrecare loro un danno.
    Ottima la scelta del B/N per una testimonianza senza tempo, che non distrae da quello che realmente si vede.

    1. Grazie Annalisa per l’apprezzamento e per l’interessante lettura di questo mio lavoro. Sono felice che si colgano attraverso le immagini le emozioni di questa cerimonia.
      Giulio

  2. Un lavoro di grande impatto visivo e comunicativo, capace di documentare con efficacia questa antica usanza del popolo malgascio e nello stesso tempo di donare all’osservatore emozioni e possibilità di riflessione sul senso della vita e della morte. Di fronte a queste immagini non si può non porsi il problema della differente considerazione della morte, e quindi della vita che ne è il preludio e il grembo in cui si forgia tale considerazione, tra la nostra cultura e quella malgascia. Il ricordo dei morti è circonfuso di una sacralità semplice e genuina, priva di paludamenti di vario tipo, che esprime l’ottimismo di una speranza che si fa certezza nel credere che il defunto sia passato veramente a miglior vita. Ma in un certo senso il defunto è ancora vivo, ancora su questa terra, tanto che lo si fa partecipe di ciò che avviene durante la cerimonia, delle emozioni e dei sentimenti espressi dai partecipanti, anche nella speranza che assolva al meglio il suo ruolo di tramite tra l’uomo e Dio. Una visione forse primitiva ma più naturale della nostra. In questo modo la paura della morte si stempera in un afflato di umanità. Si balla al suono dell’orchestrina, si mangia, si ride, alternando questi momenti di allegria ad altri di raccoglimento in cui si entra in un contatto più intimo col defunto. Giulio utilizza un gran bel b/n capace di toccare corde emotive profonde e quindi particolarmente adatto alla situazione. L’uso che fa dell’obiettivo ci porta dentro la cerimonia, accanto alle persone, come se anche noi fossimo lì a ricordare e a festeggiare la morte di un nostro caro. E in fondo colpisce l’atmosfera di serenità che si respira in un lavoro che parla della morte.

    1. Ringrazio Massimo per l’attenzione al mio lavoro.
      Massimo ha colto in modo puntuale il senso delle immagini e scrive un testo molto interessante.
      Grazie
      Giulio

  3. Leggere fotografia sembra un esercizio semplice e immediato, dato che è sensoriale. Spesso lo sguardo sull’immagine si ferma alla superficie del primo colpo d’occhio “mi piace, mi emoziona, mi cattura… o no”.
    In particolare il reportage se si pone a narrare onestamente l’evento, cioè senza attribuire elementi emozionali indotti dal fotografo, facilmente può scivolare via nel già visto. Il reportage deve essere immediatamente captante per essere apprezzato?
    Questo reportage in B/N di Giulio Brega si presenta con una gamma tonale equilibrata, come d’altra parte è l’atmosfera della storia narrata che è sospesa tra il dramma e la festa: la festa irrompe nel sonno eterno della morte.
    Il racconto fotografico scorre coerente alla successione della celebrazione, la rappresentazione ha sempre la chiave di significato mediato dell’esperienza corale ove ogni figura ci appare come un elemento che porta un frammento di significato.
    Altro elemento determinante della grammatica narrativa è il tutto a fuoco, pur determinando una scala gerarchica di senso con la composizione: il punto di ripresa misura per bene la soglia, maschera con l’espressione dei volti e poi le pose che stigmatizzano i sentimenti nella forma assolutamente statica.
    Leggere un’opera come questa occorre affiancarsi al fotografo e porsi parimenti nel suo ruolo di interlocutore, come l’ha definito Salgado.
    In che senso il fotografo può essere un interlocutore in una realtà a lui estranea? E’ proprio qui l’aspetto determinante, sarebbe estranea se il suo ruolo fosse solo di testimone che assiste e basta, ma nel momento che la fotografa il fotografo definisce dei significati e dei valori (dal suo punto di vista) è quindi diventa parte in causa di un processo di significazione.
    Penso che questa responsabilità Giulio Brega se la sia sentita tutta addosso, nel narrare con toni moderati questa storia che affidando ai protagonisti il ruolo di trasmetterne il senso, quello che loro sentivano non quello che il fotografo poteva indurre nell’immagine per stimolare la nostra percezione indurita perché sutura di immagini seducenti.

    1. “Il punto principale di scattare foto è di non dover spiegare le cose con le parole” diceva Elliott Erwitt. Probabilmente la mia difficoltà a parlare in pubblico mi fa preferire le immagini alle parole per raccontare fatti ed emozioni di cui sono partecipe. Quando un mio lavoro riesce a trasmettere in modo efficace storie e sensazioni, senza il bisogno di tante parole, sento di aver raggiunto l’obbiettivo. Quello che scrive Silvano Bicocchi sul mio reportage Famadihana oltre che lusingarmi mi conferma la bontà della scelta di far raccontare, sempre attraverso il mio modo di fotografare, la storia e le emozioni di questa cerimonia dai protagonisti stessi.
      Ringrazio infinitamente Silvano per l’attenzione che ha posto al mio lavoro e per i suoi straordinari spunti di riflessione e per il suo prezioso lavoro su questo blog.
      Grazie
      Giulio

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